Se qualche anno fa, quando lavorava come operaio in una fabbrica di materiali ortopedici di Sheffield e giocava in ottava divisione (la nostra prima categoria), qualcuno gli avesse detto che sarebbe diventato il capocannoniere della Premier League, Jamie Vardy, avrebbe risposto sicuramente sbalordito con un: “Are you making a fool of me?”
Del resto, la carriera calcistica di questo ventottenne di Sheffield, figlio della working class sembrava già scritta, gli inizi nelle giovanili dello sconosciuto Stockbridge, poi il provino (fallito) allo Sheffield Wednesday, dove venne scartato in quanto considerato troppo basso. Nel 2012, sempre alternando il calcio al lavoro, sale di livello e veste la maglia del Fleetwood Town, in Conference, la quinta divisione, dove segna 31 reti in 36 partite. Jamie è immarcabile, un vero incubo per i difensori avversari, ma soprattutto è tenace. E’ il primo ad arrivare agli allenamenti e l’ultimo ad andarsene.
Successivamente per lui si presenta l’occasione giusta, squilla il telefono e dall’altra parte c’è Nigel Pearson, manager del Leicester City, che ha messo occhi e unghie su quel talento, non propriamente un bravo ragazzo e con un carattere decisamente ribelle, ai tempi dello Stockbridge, per sei mesi dovette indossare il braccialetto elettronico a causa di una rissa in un pub.
Il sogno di Vardy ai Foxes, inizia il 1 luglio 2012, quando acquistato per 1 milione di sterline, una cifra che fece tanto discutere, considerando che l’attaccante di Sheffield non aveva mai giocato nel calcio professionistico. Inizialmente, in un campionato difficile come la Championship, Vardy fa fatica ad ambientarsi, ma il tecnico Pearson, non smette di credere in lui e lo schiera quasi sempre titolare. Una scommessa da molti criticata che si rivela un successo. Jamie Vardy, il talento venuto dal basso, si inserisce bene in campo e se la prima stagione si conclude con un buon sesto posto, nella seconda il Leicester domina il campionato e viene promosso in Premier.
Oggi, nel campionato più interessante d’Europa e probabilmente del mondo, Vardy, ha raggiunto leggende come Alan Shearer e Thierry Henry, nell’Olimpo di quelli che hanno segnato per sette gare consecutive. Campioni che sino a qualche anno fa, probabilmente vedeva soltanto alla televisione. Non solo, il suo Leicester City, si è costruito la fama di “ammazza grandi” e ora sogna l’Europa, al quarto posto.
E l’operaio del gol? Guida la classifica dei capocannonieri con dieci centri. Appena sopra dei Foxes, al terzo posto, c’è il West Ham, l’espressione più pura della working class, la squadra dei costruttori navali che proprio ieri nel derby del Tamigi, ha battuto il Chelsea di Mourinho. La classe operaia inglese viaggia in paradiso a tempi di record.
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Premier League, trionfa la working class. Un ex operaio capocannoniere e il West Ham terzo in classifica
Jamie Vardy, ex dipendente di una fabbrica di materiali ortopedici di Sheffield, è diventato protagonista del campionato inglese con 10 reti. E la squadra dei costruttori navali, espressione più pura della working class britannica, è la sorpresa della stagione
Se qualche anno fa, quando lavorava come operaio in una fabbrica di materiali ortopedici di Sheffield e giocava in ottava divisione (la nostra prima categoria), qualcuno gli avesse detto che sarebbe diventato il capocannoniere della Premier League, Jamie Vardy, avrebbe risposto sicuramente sbalordito con un: “Are you making a fool of me?”
Del resto, la carriera calcistica di questo ventottenne di Sheffield, figlio della working class sembrava già scritta, gli inizi nelle giovanili dello sconosciuto Stockbridge, poi il provino (fallito) allo Sheffield Wednesday, dove venne scartato in quanto considerato troppo basso. Nel 2012, sempre alternando il calcio al lavoro, sale di livello e veste la maglia del Fleetwood Town, in Conference, la quinta divisione, dove segna 31 reti in 36 partite. Jamie è immarcabile, un vero incubo per i difensori avversari, ma soprattutto è tenace. E’ il primo ad arrivare agli allenamenti e l’ultimo ad andarsene.
Successivamente per lui si presenta l’occasione giusta, squilla il telefono e dall’altra parte c’è Nigel Pearson, manager del Leicester City, che ha messo occhi e unghie su quel talento, non propriamente un bravo ragazzo e con un carattere decisamente ribelle, ai tempi dello Stockbridge, per sei mesi dovette indossare il braccialetto elettronico a causa di una rissa in un pub.
Il sogno di Vardy ai Foxes, inizia il 1 luglio 2012, quando acquistato per 1 milione di sterline, una cifra che fece tanto discutere, considerando che l’attaccante di Sheffield non aveva mai giocato nel calcio professionistico. Inizialmente, in un campionato difficile come la Championship, Vardy fa fatica ad ambientarsi, ma il tecnico Pearson, non smette di credere in lui e lo schiera quasi sempre titolare. Una scommessa da molti criticata che si rivela un successo. Jamie Vardy, il talento venuto dal basso, si inserisce bene in campo e se la prima stagione si conclude con un buon sesto posto, nella seconda il Leicester domina il campionato e viene promosso in Premier.
Oggi, nel campionato più interessante d’Europa e probabilmente del mondo, Vardy, ha raggiunto leggende come Alan Shearer e Thierry Henry, nell’Olimpo di quelli che hanno segnato per sette gare consecutive. Campioni che sino a qualche anno fa, probabilmente vedeva soltanto alla televisione. Non solo, il suo Leicester City, si è costruito la fama di “ammazza grandi” e ora sogna l’Europa, al quarto posto.
E l’operaio del gol? Guida la classifica dei capocannonieri con dieci centri. Appena sopra dei Foxes, al terzo posto, c’è il West Ham, l’espressione più pura della working class, la squadra dei costruttori navali che proprio ieri nel derby del Tamigi, ha battuto il Chelsea di Mourinho. La classe operaia inglese viaggia in paradiso a tempi di record.
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(Adnkronos) - Serie di attacchi aerei di Israele nella Striscia di Gaza, ripresi nella notte su ordine di Benjamin Netanyahu, che ha ordinato "la ripresa della guerra" contro Hamas, dopo che gli sforzi per estendere il cessate il fuoco sono falliti. Il bilancio delle vittime continua a salire. Secondo il direttore del ministero della Sanità della Striscia, Mohammed Zaqout, i morti sono saliti "ad almeno 330, per la maggior parte donne e bambini palestinesi, mentre i feriti sono centinaia"
Secondo quanto appreso dall'Afp da due fonti del movimento di resistenza islamico, tra le vittime c'è anche il generale di divisione Mahmoud Abu Watfa, che era a capo del ministero dell'Interno del governo di Hamas.
L'ufficio del primo ministro Netanyahu ha dichiarato che lui e il ministro della Difesa Israel Katz hanno dato istruzioni alle Forze di Difesa Israeliane (Idf) di intraprendere “un'azione forte contro l'organizzazione terroristica di Hamas” nella Striscia di Gaza. “Questo fa seguito al ripetuto rifiuto di Hamas di rilasciare i nostri ostaggi, così come al suo rifiuto di tutte le proposte ricevute dall'inviato presidenziale statunitense Steve Witkoff e dai mediatori”, ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu in un post su X. “Israele, d'ora in poi, agirà contro Hamas con una forza militare crescente”, ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu in una dichiarazione riportata dal Times of Israel, aggiungendo che i piani per la ripresa delle operazioni militari sono stati approvati la scorsa settimana dalla leadership politica.
Israele continuerà a combattere a Gaza "fino a quando gli ostaggi non saranno tornati a casa e non saranno stati raggiunti tutti gli obiettivi", ha affermato Katz.
La Casa Bianca dal canto suo ha confermato che Israele ha consultato l'amministrazione americana prima di lanciare la nuova ondata di raid. "Hamas avrebbe potuto rilasciare gli ostaggi per estendere il cessate il fuoco, invece ha scelto il rifiuto e la guerra", ha detto il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, Brian Hughes, al Times of Israel, dopo la ripresa dei raid israeliani contro la Striscia di Gaza.
Dal canto suo Hamas ha dichiarato che Netanyahu, con la sua decisione di "riprendere la guerra", "ha condannato a morte gli ostaggi" che si trovano ancora a Gaza. "Netanyahu e il suo governo estremista hanno deciso di sabotare l'accordo di cessate il fuoco - accusa il movimento in una nota - La decisione di Netanyahu di riprendere la guerra è la decisione di sacrificare i prigionieri dell'occupazione e di imporre loro la condanna a morte”. Hamas denuncia poi che il premier israeliano continua a usare la guerra a Gaza come "una scialuppa di salvataggio" per distrarre dalla crisi politica interna.
Hamas ha quindi esortato i mediatori internazionali a “ritenere l'occupazione israeliana pienamente responsabile della violazione dell'accordo” e ha sottolineato la necessità di “fermare immediatamente l'aggressione”.
Il cessate il fuoco era rimasto in vigore per circa due settimane e mezzo dopo la conclusione della prima fase, mentre i mediatori lavoravano per mediare nuovi termini per l'estensione della tregua. Hamas ha insistito per attenersi ai termini originali dell'accordo, che sarebbe dovuto entrare in vigore nella sua seconda fase all'inizio del mese. Questa fase prevedeva che Israele si ritirasse completamente da Gaza e accettasse di porre fine definitivamente alla guerra in cambio del rilascio degli ostaggi ancora in vita. Sebbene Israele abbia firmato l'accordo, Netanyahu ha insistito a lungo sul fatto che Israele non porrà fine alla guerra fino a quando le capacità militari e di governo di Hamas non saranno state distrutte. Di conseguenza, Israele ha rifiutato anche solo di tenere colloqui sui termini della fase due, che avrebbe dovuto iniziare il 3 febbraio.
Gli Houthi dello Yemen "condannano la ripresa dell'aggressione del nemico sionista contro la Striscia di Gaza". "I palestinesi non verranno lasciati soli in questa battaglia e lo Yemen continuerà con il suo sostegno e la sua assistenza e intensificherà il confronto", minaccia il Consiglio politico supremo degli Houthi, che da anni l'Iran è accusato di sostenere, come riportano le tv satellitari arabe.
Genova, 18 mar. (Adnkronos) - Tragedia nella notte a Genova in via Galliano, nel quartiere di Sestri Ponente, dove un ragazzo di 29 anni è morto in un incendio nell'appartamento in cui abitava. L'incendio ha coinvolto 15 persone di cui quattro rimaste ferite, la più grave la madre del 29enne, ricoverata in codice rosso al San Martino. Altre tre persone sono state ricoverate in codice giallo all'ospedale di Villa Scassi. Sul posto la polizia che indaga sulla dinamica.
Dalle prime informazioni si sarebbe trattato di un gesto volontario del giovane che si sarebbe dato fuoco.
Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Kiev, 17 mar. (Adnkronos) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato su X di aver parlato con il presidente francese Emmanuel Macron: "Come sempre scrive - è stata una conversazione molto costruttiva. Abbiamo discusso i risultati dell'incontro online dei leader svoltosi sabato. La coalizione di paesi disposti a collaborare con noi per realizzare una pace giusta e duratura sta crescendo. Questo è molto importante".
"L'Ucraina è pronta per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni - ha ribadito Zelensky - Tuttavia, per la sua attuazione, la Russia deve smettere di porre condizioni. Ne abbiamo parlato anche con il Presidente Macron. Inoltre, abbiamo parlato del lavoro dei nostri team nel formulare chiare garanzie di sicurezza. La posizione della Francia su questa questione è molto specifica e la sosteniamo pienamente. Continuiamo a lavorare e a coordinare i prossimi passi e contatti con i nostri partner. Grazie per tutti gli sforzi fatti per raggiungere la pace il prima possibile".
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - il presidente americano Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti che il leader cinese Xi Jinping visiterà presto Washington, a causa delle crescenti tensioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Lo riporta Newsweek. "Xi e i suoi alti funzionari" arriveranno in un "futuro non troppo lontano", ha affermato Trump.
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo quanto riferito su X dal giornalista del The Economist, Shashank Joshi, l'amministrazione Trump starebbe valutando la possibilità di riconoscere la Crimea ucraina come parte del territorio russo, nell'ambito di un possibile accordo per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina.
"Secondo due persone a conoscenza della questione, l'amministrazione Trump sta valutando di riconoscere la regione ucraina della Crimea come territorio russo come parte di un eventuale accordo futuro per porre fine alla guerra di Mosca contro Kiev", si legge nel post del giornalista.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo un sondaggio della televisione israeliana Channel 12, il 46% degli israeliani non è favorevole al licenziamento del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu, rispetto al 31% che sostiene la sua rimozione. Il risultato contrasta con il 64% che, in un sondaggio di due settimane fa, sosteneva che Bar avrebbe dovuto dimettersi, e con il 18% che sosteneva il contrario.