Se a decidere chi vince alle elezioni fossero i comizi politici, il candidato sindaco M5S per Milano sarebbe Patrizia Bedori. Disoccupata, mamma di 52 anni e consigliere di zona 3 (da Porta Venezia a Lambrate), alla presentazione stile “X Factor” degli 8 grillini in corsa per l’investitura ha convinto più degli altri. La sala dell’incontro è la stessa dove da 5 anni fa la portavoce: conosceva il campo, direbbe uno sportivo, e soprattutto non aveva il tifo contro. Ha vinto con tre applausi: l’ingresso gratis per i disabili agli impianti sportivi, la lotta per togliere la plastica dalle mense scolastiche e soprattutto la rivendicazione (non richiesta) di libertà: “I corridoi della Casaleggio associati? Noi non li abbiamo mai visti. Non esiste nessuno che ci dice cosa fare e cosa no”. Unica donna in una lista di uomini, il suo presunto successo però vuol dire poco: in sala ci sono circa 200 persone e rappresentano solo una parte del Movimento. A decidere alla fine saranno le urne “fisiche” (e non virtuali) di domenica 8 novembre: si vota dalle 11 alle 18 con metodo Condorcet, ovvero ogni candidato riceverà un voto da 1 a 8 e tutto è possibile.
Forse Bedori ha vinto una battaglia, ma la guerra certo è un’altra cosa. Il favorito, in giacca e cravatta rossa per l’occasione, resta Gianluca Corrado. E’ avvocato e sa parlare in pubblico. Ma sul più bello tira fuori due o tre parole dal suono aulico (vedi “ancorché”) che fanno diffidare i più. Corrado però convince: ha lavorato e lavora a fianco del consigliere Mattia Calise che, piaccia o meno, è quello che l’ha introdotto ai piani alti. Si fidano della sua esperienza e sa maneggiare cause e cavilli, che ai 5 stelle serve e non poco. Prima di lui arranca un po’ Livio Lo Verso. Favorito nei cuori grillini perché è colui che ha firmato il referendum deliberativo ed ha vinto la campagna per inserirlo nello statuto comunale di Milano, si emoziona un po’ ed emoziona meno. Poi si salva sul finale: lui nella Pubblica amministrazione ci lavora e ad esempio saprebbe da dove cominciare. Gli altri della lista ci sono, ma faticano a entrare in partita. Antonio Laterza sta simpatico a molti, ma a parte l’impegno per risolvere il problema delle esondazioni del Seveso fa innervosire la platea quando parla troppo. Fulvio Martinoia ha la concretezza dei più giovani e di campagne elettorali ne ha fatte già un bel po’, ma ancora una volta (era già stato candidato alle politiche) ha troppi ostacoli davanti a sé. Matteo Cattaneo lo dice: “Sono qui perché me l’hanno chiesto, dovere”. Ma nella mischia quasi nemmeno si butta. Monici è il designer pensionato che studia la mobilità sostenibile, però parla lontano dal microfono e a malapena si sente. Francesco detto Franz Forcolini tenta lo scatto: è il più anziano (70 anni), unico che parla di lotta alla corruzione e unico che invoca l esperienza, ma difficile capire chi sarebbe pronto a seguirlo davvero.
Dopo un’ora di presentazioni personali la parola passa al pubblico. Gli attivisti chiedono (in ordine di importanza): lavoro, reddito e se i candidati sono vegetariani (l’unico è Martinoia, ma tutti evocano il consumo consapevole). Per la cronaca il più ricco è Corrado (40mila euro all’anno) e la meno ricca è Bedori (500 euro di gettone di presenza nei consigli al mese). La preoccupazione principale, anche se un po’ irreale, è se sarebbero pronti a lasciare la poltrona se sfiduciati dagli attivisti e tutti in coro, naturalmente, rispondono “certo”. La domanda seria arriva alla fine ed è sul “come evitare il caso del sindaco di Parma M5S Pizzarotti”: promettere il cielo e poi non poterlo mantenere. Le risposte si appellano alla clemenza della corte: “Si vedrà, intanto iniziamo la campagna elettorale”.
A fine serata chi tira un sospiro di sollievo sono i registi: dal consigliere comunale Calise, al regionale Stefano Buffagni, ai parlamentari Daniele Pesco e Manlio Di Stefano: presentazioni senza infamia e senza lode, ma almeno senza figuracce. Gli 8 buttati in pasto alla stampa sembravano i parlamentari di due anni e mezzo fa. Quasi nel mezzo non fosse successo nulla. Nessuno li ha preparati. Il deputato Di Stefano li ha presi sotto braccio dieci minuti prima di iniziare: non parlate ai giornalisti per una settimana e, in sintesi, stasera niente cazzate.
Il clima in sala è di famiglia. E forse anche troppo. “Candidare me o un altro è lo stesso”, dicono gli 8 mentre si abbracciano e si stringono ricordando quando erano “quattro gatti in uno scantinato”. Parlano come chi deve amministrare un quartiere di periferia e non la capitale economica dell’Italia. Del resto comunque la si guardi sono i rimasugli delle elezioni politiche prima e delle europee poi. I talenti sono già andati e ora ci sono le retrovie che vanno formate. Calise, che pensa a finire l’università (e alla prossima tornata elettorale), lo dice: “Li seguirò giorno e notte almeno per i primi sei mesi dall’elezione”. Insomma nell’aria c’è la preoccupazione che il volto del prossimo candidato non sarà quello giusto per assecondare l’onda dei sondaggi che vogliono i 5 Stelle in continua crescita. Perché Milano resta la terra difficile da conquistare, specie senza la spinta giusta. “Avvocato, lei non ha capito: noi vinciamo a maggio 2016“, ha detto per chiudere il favorito numero 2 (Lo Verso) al numero 1 (Corrado) mentre tergiversava sul ruolo che avranno i grillini da opposizione. “Non ci crede nessuno”, ha gridato dalla prima fila un’attivista. Forse era una battuta, ma non ha riso nessuno.
*aggiornato da redazione web il 3 novembre alle 19