Altro che piano digitale, banda larga in ogni classe e “laboratori mobili”. Nonostante le promesse del Ministero, la scuola italiana è ferma all’età della pietra: computer e tablet sono delle autentiche rarità in aula, il fascicolo elettronico degli alunni ancora un’utopia. Solo l’iscrizione online e il registro elettronico (neanche ovunque) funzionano davvero. Il piano di “dematerializzazione” avviato nel 2012 è in grave ritardo ed è stato attuato solo parzialmente. E la colpa è della mancanza di risorse, ma anche dei problemi del Cineca, finito al centro delle polemiche negli ultimi mesi.
La dura reprimenda nei confronti del Miur e della scuola italiana è della Corte dei Conti, che con una lunga e dettagliata relazione boccia l’operato di viale Trastevere in tema di informatizzazione delle procedure amministrative. In tutti i settori dell’Istruzione: non solo la scuola, ma anche uffici, università, infrastrutture e dipartimenti. Adottato con decreto nel novembre 2012 (sotto il mandato dell’ex ministro Profumo), per quanto riguarda la scuola il piano doveva concludersi entro la fine del 2013. Sono passati tre anni, ma siamo ancora in alto mare. Né “l’archivio virtuale” (la conservazione di tutti i documenti ufficiali in formato elettronico), o il “fascicolo elettronico degli alunni” (contenitore dei documenti personali ma anche dei prodotti degli studenti), o tantomeno la “scrivania semplificata” (piattaforma di formazione e gestione dei documenti) sono stati realizzati. Il desiderio di milioni di studenti di poter rivedere a distanza di anni un tema o un compito del liceo resta un sogno. Ma i numeri più preoccupanti riguardano la dotazione di computer e tablet: solo 12mila aule su quasi 180mila hanno un pc, cifra che si abbassa ad appena 3.900 per i tablet. Rispettivamente il 7% e il 2%. Con buona pace della scuola digitale.
Qualche risultato, invero, è stato portato a casa. L’iscrizione online è ormai una realtà acquisita in tutto il Paese: nel 2014/2015 il 98,9% delle iscrizioni è avvenuto su internet. Così come abbastanza diffuso è il protocollo informatico (presente nel 78,3% delle scuole), al pari dell’utilizzo del registro elettronico di classe, adottato dal 69% dei docenti. Qui, però, ci sono delle forti disuguaglianze geografiche: se Marche ed Emilia-Romagna toccano punte del 78%, Calabria e Sardegna si fermano sotto il 45%. Anche così è stato possibile realizzare dei risparmi importanti: circa 785 milioni di euro rispetto a quanto il Miur spendeva nel 2011. Ma su tutte le voci di spesa di tutti i dipartimenti (non solo la scuola). E – come sottolinea la Corte dei Conti – “in parte per il processo di dematerializzazione e in parte, forse la più consistente, per i tagli di spesa lineari” delle ultime spending review.
L’organo contabile si sofferma anche sulle responsabilità di questo parziale fallimento: in primo luogo, la mancanza delle risorse necessarie. Un paradosso, visto che il decreto prevedeva che il piano avrebbe dovuto essere realizzato “senza oneri aggiuntivi di spesa per lo Stato”. Il resto lo hanno fatto i problemi e le polemiche (ora dovrebbero essere risolte che hanno coinvolto negli anni il Cineca, il consorzio individuato come partner per lo svolgimento dei servizi informatici. Il rapporto arriva oggi ma colpisce l’operato delle gestioni precedenti di viale Trastevere: soprattutto quella di Francesco Profumo, in parte quella di Maria Chiara Carrozza. Adesso Stefania Giannini promette un cambiamento e lancia un piano ambizioso da un miliardo di euro. Prima di pensare a “challenge prize”, “stakeholders club” e “animatori digitali”, però, forse sarà il caso di portare qualche computer e tablet in più nelle scuole italiane. E definire tempi certi per tutto quanto promesso e non realizzato negli ultimi anni. Anche la Corte dei Conti lo chiede.