“E’ giusto che un’organizzazione come l’Unesco accetti un membro che minaccia e distrugge il patrimonio culturale altrui? Immaginate se i beni culturalmente più importanti del vostro Paese finissero in mano a chi non ha partecipato alla loro creazione e ha più volte cercato di distruggerli”. È questa la reazione del presidente della Repubblica serba, Tomislav Nikolić, alla notizia di una possibile adesione del Kosovo all’organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura. Un’adesione sulla quale la Conferenza Generale arriverà a una decisione definitiva il 9 novembre, ma che fa ben sperare il governo di Pristina, dopo la votazione favorevole del Consiglio Esecutivo, il 21 ottobre, con 27 sì, 14 no e 14 astenuti. Ma la Serbia si oppone: “L’ammissione del Kosovo nell’Unesco sarebbe una decisione unilaterale che non facilità il dialogo già precario tra Pristina e Belgrado”.
#KosovoInUnesco, la campagna per valorizzare le eccellenze culturali del Paese
Già da mesi il ministero degli Esteri kosovaro e numerosi gruppi d’appoggio hanno dato il via alla campagna per l’adesione del più giovane Stato d’Europa all’Unesco. Una mobilitazione che sta avendo buon seguito sui social network, grazie anche al sito web dedicato del ministero, e che è stata seguita dalla richiesta formale dell’Albania, visto che il Kosovo non è membro dell’Onu. “Il Kosovo ha molto da offrire al mondo – scrive sul sito il ministro degli Esteri, Hashim Thaçi – Chiese medievali ortodosse, antiche moschee ottomane, splendide località sciistiche e altri habitat naturali che aspettano di essere scoperti”. Ma un’ammissione del Kosovo non permetterebbe solo la salvaguardia dei beni culturali e lo sviluppo scientifico del Paese. Rappresenterebbe anche un importante passo in avanti per il definitivo riconoscimento della neonata Repubblica e il suo avvicinamento all’Unione Europea. Prospettiva che Belgrado, che considera ancora Kosovo i Metohija una provincia serba, cerca in tutti i modi di scongiurare.
Serbia: “Così si falsifica la storia per creare un nuovo Stato”
Per motivare il suo “no” all’adesione del Kosovo all’Unesco, nel suo discorso Nikolić elenca gli attacchi subiti dal patrimonio culturale serbo nel Paese dopo la fine del conflitto. “Dal 1999 – dice – 236 tra chiese, monasteri e monumenti di proprietà della Chiesa Ortodossa serba sono stati attaccati in Kosovo. Circa 174 simboli religiosi e 33 monumenti storico-culturali sono stati distrutti e oltre 10 mila icone rubate. Nei cimiteri serbi, 5261 lapidi sono state distrutte o danneggiate. Non esiste più un monumento della storia serba sopravvissuto a sud dell’Ibar (il fiume che attraversa la città divisa di Mitrovica, ndr)”. Tutto questo, sostiene il Capo di Stato, ha uno scopo preciso: cancellare la secolare presenza serba in Kosovo, “falsificando la storia per creare un nuovo Stato”. Secondo i dati forniti dalla Presidenza della Repubblica, l’80% dei beni culturali serbi in Kosovo sono di proprietà della Chiesa Ortodossa e “non possono finire nelle mani di altri Paesi o gruppi etnici”. A chi gli fa notare che la presenza dell’Unesco garantirebbe la salvaguardia di quei beni, il Presidente risponde che già nei primi anni dopo la fine del conflitto, quando l’organizzazione ha prodotto tre relazioni sui danni al patrimonio artistico del Kosovo, non sono mai stati presi in considerazione i monumenti serbi, ma solo quelli islamici, albanesi o dell’ex Impero Ottomano. Nikolić conclude dicendo che “l’Unesco ha sempre condannato la distruzione di monumenti di grande valore universale, ultimamente portata avanti dall’estremismo islamico. La Repubblica di Serbia condanna fortemente la dissacrazione di simboli religiosi appartenenti a qualsiasi credo. Dall’altra parte, dovremmo ricompensare i colpevoli della profanazione e lo sterminio del patrimonio culturale serbo e cristiano in Kosovo i Metohija?”.
“Decisione unilaterale”. Paura per gli accordi di pace
L’imminente decisione della Conferenza Generale dell’Unesco potrebbe influenzare negativamente anche i già difficili colloqui di pace in corso tra Pristina e Belgrado, come ha dichiarato lo stesso Nikolić: “Si tratta di una decisione unilaterale che non facilità un dialogo già precario”. Un percorso pieno di ostacoli ma che stava portando i primi risultati dopo che, il 13 ottobre, i primi ministri di Serbia e Kosovo, Aleksandar Vučić e Isa Mustafa, si sono incontrati con l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la politica di Sicurezza (Pesc), Federica Mogherini, per ribadire la loro volontà di portare avanti i piani nati dagli accordi del 25 agosto. Questi prevedono la creazione di una linea telefonica indipendente per il Kosovo, una nuova autorità giudiziaria nel nord del Paese accettata da entrambe le comunità e la fine dei checkpoint sul ponte di Mitrovica. Idillio già rotto, però, dal partito nazionalista kosovaro Lëvizja Vetëvendosje che, in due occasioni, ha inscenato una protesta in Parlamento con l’accensione di fumogeni e lacrimogeni all’interno delle sale dell’Assemblea. Il leader del partito, Albin Kurti, è stato per questo arrestato, ma durante la sua detenzione, durata un paio di giorni, per le strade di Pristina si è scatenata una guerriglia tra manifestanti nazionalisti e forze di polizia.
Twitter: @GianniRosini
Mondo
Kosovo nell’Unesco: verso la decisione definitiva. Ma la Serbia si oppone
“E’ giusto che un’organizzazione come l’Unesco accetti un membro che minaccia e distrugge il patrimonio culturale altrui?”. È questa la reazione del presidente della Repubblica serba alla notizia di una possibile adesione del Kosovo all’organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura
“E’ giusto che un’organizzazione come l’Unesco accetti un membro che minaccia e distrugge il patrimonio culturale altrui? Immaginate se i beni culturalmente più importanti del vostro Paese finissero in mano a chi non ha partecipato alla loro creazione e ha più volte cercato di distruggerli”. È questa la reazione del presidente della Repubblica serba, Tomislav Nikolić, alla notizia di una possibile adesione del Kosovo all’organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura. Un’adesione sulla quale la Conferenza Generale arriverà a una decisione definitiva il 9 novembre, ma che fa ben sperare il governo di Pristina, dopo la votazione favorevole del Consiglio Esecutivo, il 21 ottobre, con 27 sì, 14 no e 14 astenuti. Ma la Serbia si oppone: “L’ammissione del Kosovo nell’Unesco sarebbe una decisione unilaterale che non facilità il dialogo già precario tra Pristina e Belgrado”.
#KosovoInUnesco, la campagna per valorizzare le eccellenze culturali del Paese
Già da mesi il ministero degli Esteri kosovaro e numerosi gruppi d’appoggio hanno dato il via alla campagna per l’adesione del più giovane Stato d’Europa all’Unesco. Una mobilitazione che sta avendo buon seguito sui social network, grazie anche al sito web dedicato del ministero, e che è stata seguita dalla richiesta formale dell’Albania, visto che il Kosovo non è membro dell’Onu. “Il Kosovo ha molto da offrire al mondo – scrive sul sito il ministro degli Esteri, Hashim Thaçi – Chiese medievali ortodosse, antiche moschee ottomane, splendide località sciistiche e altri habitat naturali che aspettano di essere scoperti”. Ma un’ammissione del Kosovo non permetterebbe solo la salvaguardia dei beni culturali e lo sviluppo scientifico del Paese. Rappresenterebbe anche un importante passo in avanti per il definitivo riconoscimento della neonata Repubblica e il suo avvicinamento all’Unione Europea. Prospettiva che Belgrado, che considera ancora Kosovo i Metohija una provincia serba, cerca in tutti i modi di scongiurare.
Serbia: “Così si falsifica la storia per creare un nuovo Stato”
Per motivare il suo “no” all’adesione del Kosovo all’Unesco, nel suo discorso Nikolić elenca gli attacchi subiti dal patrimonio culturale serbo nel Paese dopo la fine del conflitto. “Dal 1999 – dice – 236 tra chiese, monasteri e monumenti di proprietà della Chiesa Ortodossa serba sono stati attaccati in Kosovo. Circa 174 simboli religiosi e 33 monumenti storico-culturali sono stati distrutti e oltre 10 mila icone rubate. Nei cimiteri serbi, 5261 lapidi sono state distrutte o danneggiate. Non esiste più un monumento della storia serba sopravvissuto a sud dell’Ibar (il fiume che attraversa la città divisa di Mitrovica, ndr)”. Tutto questo, sostiene il Capo di Stato, ha uno scopo preciso: cancellare la secolare presenza serba in Kosovo, “falsificando la storia per creare un nuovo Stato”. Secondo i dati forniti dalla Presidenza della Repubblica, l’80% dei beni culturali serbi in Kosovo sono di proprietà della Chiesa Ortodossa e “non possono finire nelle mani di altri Paesi o gruppi etnici”. A chi gli fa notare che la presenza dell’Unesco garantirebbe la salvaguardia di quei beni, il Presidente risponde che già nei primi anni dopo la fine del conflitto, quando l’organizzazione ha prodotto tre relazioni sui danni al patrimonio artistico del Kosovo, non sono mai stati presi in considerazione i monumenti serbi, ma solo quelli islamici, albanesi o dell’ex Impero Ottomano. Nikolić conclude dicendo che “l’Unesco ha sempre condannato la distruzione di monumenti di grande valore universale, ultimamente portata avanti dall’estremismo islamico. La Repubblica di Serbia condanna fortemente la dissacrazione di simboli religiosi appartenenti a qualsiasi credo. Dall’altra parte, dovremmo ricompensare i colpevoli della profanazione e lo sterminio del patrimonio culturale serbo e cristiano in Kosovo i Metohija?”.
“Decisione unilaterale”. Paura per gli accordi di pace
L’imminente decisione della Conferenza Generale dell’Unesco potrebbe influenzare negativamente anche i già difficili colloqui di pace in corso tra Pristina e Belgrado, come ha dichiarato lo stesso Nikolić: “Si tratta di una decisione unilaterale che non facilità un dialogo già precario”. Un percorso pieno di ostacoli ma che stava portando i primi risultati dopo che, il 13 ottobre, i primi ministri di Serbia e Kosovo, Aleksandar Vučić e Isa Mustafa, si sono incontrati con l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la politica di Sicurezza (Pesc), Federica Mogherini, per ribadire la loro volontà di portare avanti i piani nati dagli accordi del 25 agosto. Questi prevedono la creazione di una linea telefonica indipendente per il Kosovo, una nuova autorità giudiziaria nel nord del Paese accettata da entrambe le comunità e la fine dei checkpoint sul ponte di Mitrovica. Idillio già rotto, però, dal partito nazionalista kosovaro Lëvizja Vetëvendosje che, in due occasioni, ha inscenato una protesta in Parlamento con l’accensione di fumogeni e lacrimogeni all’interno delle sale dell’Assemblea. Il leader del partito, Albin Kurti, è stato per questo arrestato, ma durante la sua detenzione, durata un paio di giorni, per le strade di Pristina si è scatenata una guerriglia tra manifestanti nazionalisti e forze di polizia.
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Mondo
Ucraina, telefonata Rubio-Lavrov. Zelensky: “testato” e “utilizzato” il Long Neptune, missile con gittata di 1000 km. Può colpire Mosca
Da Il Fatto Quotidiano in Edicola
Ecco perché il Piano di ripresa ancora non è decollato: il catalogo dei ritardi. Mancano 15 mesi al traguardo ma solo un quarto dei progetti avviati è completato
Cronaca
Papa Francesco: “Sto affrontando un periodo di prova”. Bambini in preghiera sul piazzale del Gemelli
Tel Aviv, 16 mar. (Adnkronos) - Un missile lanciato dagli Houthi è caduto a Sharm el-Sheikh, nella penisola egiziana del Sinai. Lo ha riferito la radio dell'esercito israeliano, aggiungendo che l'Idf sta indagando per stabilire se il missile fosse diretto contro Israele.
Passo del Tonale, 15 mar.(Adnkronos) - Che l’aspetto competitivo fosse tornato ad essere il cuore pulsante di questa quinta edizione della Coppa delle Alpi era cosa già nota. Ai piloti il merito di aver offerto una gara esaltante, che nella tappa di oggi ha visto Alberto Aliverti e Francesco Polini, sulla loro 508 C del 1937, prendersi il primo posto in classifica scalzando i rivali Matteo Belotti e Ingrid Plebani, secondi al traguardo sulla Bugatti T 37 A del 1927. Terzi classificati Francesco e Giuseppe Di Pietra, sempre su Fiat 508 C, ma del 1938. La neve, del resto, è stata una compagna apprezzatissima di questa edizione della Coppa delle Alpi, contribuendo forse a rendere ancor più sfidante e autentica la rievocazione della gara di velocità che nel 1921 vide un gruppo di audaci piloti percorrere 2300 chilometri fra le insidie del territorio alpino, spingendo i piloti a sfoderare lo spirito audace che rappresenta la vera essenza della Freccia Rossa.
Nel pomeriggio di oggi, dalla ripartenza dopo la sosta per il pranzo a Baselga di Piné, una pioggia battente ha continuato a scendere fino all’arrivo sul Passo del Tonale, dove si è trasformata in neve. Neve che è scesa copiosa anche in occasione del primo arrivo di tappa a St. Moritz e ieri mattina, sul Passo del Fuorn. Al termine di circa 880 chilometri attraverso i confini di Italia, Svizzera e Austria, i 40 equipaggi in gara hanno finalmente tagliato il traguardo alle 17:30 di oggi pomeriggio all’ingresso della Pista Ghiaccio Val di Sole, dove hanno effettuato il tredicesimo ed ultimo Controllo Orario della manifestazione.
L’ultimo atto sportivo dell’evento è stato il giro nel circuito, all’interno del quale le vetture si sono misurate in una serie di tre Prove Cronometrate sulla neve fresca valide per il Trofeo Ponte di Legno, vinto da Francesco e Giuseppe Di Pietra. L’altro trofeo speciale, il Trofeo Città di Brescia, ovvero la sfida 1 vs 1 ad eliminazione diretta di mercoledì sera in Piazza Vittoria, era stato anch’esso vinto da Aliverti-Polini.
Sana'a, 15 mar. (Adnkronos) - Gli attacchi aerei non scoraggeranno i ribelli yemeniti, i quali risponderanno agli Stati Uniti. Lo ha scritto sui social Nasruddin Amer, vice capo dell'ufficio stampa degli Houthi, aggiungendo che "Sana'a rimarrà lo scudo e il sostegno di Gaza e non la abbandonerà, indipendentemente dalle sfide".
"Questa aggressione non passerà senza una risposta e le nostre forze armate yemenite sono pienamente pronte ad affrontare l'escalation con l'escalation", ha affermato l'ufficio politico dei ribelli in una dichiarazione alla televisione Al-Masirah.
In un'altra dichiarazione citata da Ynet, un funzionario Houthi si è rivolto direttamente a Trump e a Netanyahu, che "stanno scavando tombe per i sionisti. Iniziate a preoccuparvi per le vostre teste".
Damasco, 15 mar. (Adnkronos) - L'esplosione avvenuta nella città costiera siriana di Latakia ha ucciso almeno otto persone. Lo ha riferito l'agenzia di stampa statale Sana, secondo cui, tra le vittime della detonazione di un ordigno inesploso, avvenuta in un negozio all'interno di un edificio di quattro piani, ci sono tre bambini e una donna. "Quattordici civili sono rimasti feriti, tra cui quattro bambini", ha aggiunto l'agenzia.
Sana'a, 15 mar. (Adnkronos) - Almeno nove civili sono stati uccisi e nove feriti negli attacchi statunitensi su Sanaa, nello Yemen. Lo ha dichiarato un portavoce del ministero della Salute guidato dagli Houthi su X.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - "Sono lieto di informarvi che il generale Keith Kellogg è stato nominato inviato speciale in Ucraina. Il generale Kellogg, un esperto militare molto stimato, tratterà direttamente con il presidente Zelensky e la leadership ucraina. Li conosce bene e hanno un ottimo rapporto di lavoro. Congratulazioni al generale Kellogg!". Lo ha annunciato su Truth il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - "Oggi ho ordinato all'esercito degli Stati Uniti di lanciare un'azione militare decisa e potente contro i terroristi Houthi nello Yemen. Hanno condotto una campagna implacabile di pirateria, violenza e terrorismo contro navi, aerei e droni americani e di altri paesi". Lo ha annunciato il presidente americano Donald Trump su Truth. Senza risparmiare una stoccata all'ex inquilino della Casa Bianca, il tycoon aggiunge nel suo post che "la risposta di Joe Biden è stata pateticamente debole, quindi gli Houthi sfrenati hanno continuato ad andare avanti".
"È passato più di un anno - prosegue Trump - da quando una nave commerciale battente bandiera statunitense ha navigato in sicurezza attraverso il Canale di Suez, il Mar Rosso o il Golfo di Aden. L'ultima nave da guerra americana ad attraversare il Mar Rosso, quattro mesi fa, è stata attaccata dagli Houthi più di una decina di volte. Finanziati dall'Iran, i criminali Houthi hanno lanciato missili contro gli aerei statunitensi e hanno preso di mira le nostre truppe e i nostri alleati. Questi assalti implacabili sono costati agli Stati Uniti e all'economia mondiale molti miliardi di dollari, mettendo allo stesso tempo a rischio vite innocenti".
"L'attacco degli Houthi alle navi americane non sarà tollerato - conclude Trump - Utilizzeremo una forza letale schiacciante finché non avremo raggiunto il nostro obiettivo. Gli Houthi hanno soffocato le spedizioni in una delle più importanti vie marittime del mondo, bloccando vaste fasce del commercio globale e attaccando il principio fondamentale della libertà di navigazione da cui dipendono il commercio e gli scambi internazionali. I nostri coraggiosi Warfighters stanno in questo momento portando avanti attacchi aerei contro le basi, i leader e le difese missilistiche dei terroristi per proteggere le risorse navali, aeree e di spedizione americane e per ripristinare la libertà di navigazione. Nessuna forza terroristica impedirà alle navi commerciali e navali americane di navigare liberamente sulle vie d'acqua del mondo".