La legge elettorale con cui a metà del 2016 dovranno andare al voto le principali città metropolitane, cioè Roma, Milano e Napoli? “È una questione delicata, serve più tempo: ci sono aspetti che non possono essere risolti con un provvedimento da approvare in tempi così rapidi”. Tradotto: non si farà. A dirlo a ilfattoquotidiano.it è il sottosegretario agli Affari regionali, Gianclaudio Bressa, relatore della legge Delrio che, approvata in via definitiva ad aprile 2014, ha istituito appunto le città metropolitane. Secondo l’esponente del Partito democratico (Pd), il vuoto normativo derivante dall’assenza della legge in questione non creerà però nessun problema. Bocciata anche l’idea di varare una norma transitoria, come ipotizzato da alcuni esperti: “Non servirebbe a risolvere le questioni che sono sul tappeto”, spiega ancora l’esponente del governo di Matteo Renzi.
Un bel problema questa impasse.
La questione è un’altra. Secondo la legge gli statuti di alcune città metropolitane, come per esempio Roma e Milano, possono prevedere l’elezione del sindaco e del consiglio metropolitano a suffragio universale. Cioè sono gli elettori a sceglierli direttamente. Anche se non è tutto automaticamente trasferibile in un unico modello.
In che senso?
Nel senso che i modelli di elezione diretta del sindaco metropolitano possono essere di vario tipo. Bisogna stabilire prima di tutto se l’elezione del sindaco stesso deve avvenire con un criterio proporzionale o prevedere un premio di maggioranza e così via. Lo stesso discorso vale anche per le zone omogenee in cui, sempre secondo la legge, deve essere ripartito il comune capoluogo della città metropolitana che prevede il suffragio universale. Sono aspetti di una certa serietà e delicatezza che non possono essere risolti con una legge da approvare in tempi così rapidi.
Sta dicendo che è tutto rimandato alla prossima tornata elettorale? In questo modo, come per gli altri casi, anche sindaci e consigli metropolitani delle città che prevedono il suffragio universale saranno eletti di secondo grado?
Sì, è esattamente così. Prima di tutto nell’interesse delle città metropolitane in questione.
Ma in questo modo, visto quanto è scritto nella legge Delrio, non si creerebbero dei vizi di forma?
No, le elezioni si svolgeranno con le leggi vigenti. Sbagliare il metodo di elezione diretta di un sindaco della città metropolitana e avere quindi un sistema di governance che non funziona significherebbe condannare la città stessa all’inefficienza. Come ho già detto, quella della legge elettorale è una questione delicata: serve più tempo.
Non dovrebbe essere varata almeno una norma transitoria prima dell’indizione dei comizi elettorali?
L’elezione diretta del sindaco della città metropolitana porta con sé una serie di problemi connessi, per esempio, a come viene eletto e gestito il consiglio metropolitano. Ecco perché non esiste una scorciatoia e anche varare una norma transitoria non risolverebbe le questioni che sono sul tappeto. Ma il Parlamento è sovrano e ovviamente può decidere in modo diverso.
A Roma, anche per contingentare i tempi, il commissario Francesco Paolo Tronca dispone dei poteri per procedere alla ripartizione del comune capoluogo in zone dotate di autonomia amministrativa?
No, perché questa deve avvenire con deliberazione del consiglio comunale, che però come si sa è decaduto.
L’ormai ex vicesindaco di Ignazio Marino, Marco Causi, ha proposto di fondere Roma Capitale, cioè il comune, con Roma città metropolitana perché quest’ultima è “un ente inutile”. Cosa risponde?
Il problema che pone Causi è reale e fu affrontato anche in sede di discussione del provvedimento che, lo ricordo, fu approvato con tre maggioranze diverse. L’ipotesi di uno statuto speciale per Roma Capitale deve essere seriamente presa in considerazione.
Recentemente l’Unione delle province italiane (Upi), ha parlato di “tempi di attuazione della legge totalmente disallineati”, per esempio, dalle leggi di riordino delle Regioni, “ancora del tutto inefficaci”. Non proprio un attestato di stima per questa riforma.
Questo non è vero. Al 31 ottobre scorso tutte le Regioni ad eccezione del Molise, il cui consiglio regionale si riunirà nel corso di questa settimana, e del Lazio, hanno provveduto a ratificare le leggi di cui parla l’Upi.
C’è poi il nodo economico. Prima di diventare presidente dell’Inps, Tito Boeri scrisse sul sito Lavoce.info che questa legge “non abolisce le province” ma si “limita a svuotarle”. E anche sul fronte dei costi la Delrio “genera pochi risparmi”. Non rischia di diventare una riforma incompiuta?
Queste affermazioni dimostrano che il professor Boeri non è competente in materia. Un po’ come se io mi mettessi a parlare delle pensioni. La legge ha cancellato le province come ente di rappresentanza politica. La Delrio è infatti stata pensata per organizzare le funzioni di area vasta, dimensione amministrativa che esiste non solo in Italia ma in Europa e nel mondo, e per fare in modo che ad occuparsene siano i sindaci in base alla propria rappresentanza territoriale.
E i “pochi risparmi” denunciati dallo stesso Boeri?
La Delrio prevede una semplificazione del sistema amministrativo, di quello di governo e dei servizi. Parliamo quindi di risparmi di grande importanza.
Lei stesso, però, l’ha definita come un “cantiere aperto”, aprendo a possibili modifiche. Quali, per esempio?
Si tratta di aspetti secondari della norma: l’impianto della legge rimarrà lo stesso, non ci saranno stravolgimenti. Rimanendo sulla stringente attualità: non c’è nessuna norma che faccia riferimento al possibile commissariamento di una città metropolitana, com’è avvenuto nella Capitale. E’ una carenza che va sanata al più presto.
Twitter: @GiorgioVelardi