L’Isis vuole colpire il turismo per mettere in crisi l’economia dei Paesi nei quali vuol far crescere la propria influenza. Se questa tesi, portata avanti da alcuni analisti, si rivelasse veritiera, i dati dell’Organizzazione Mondiale del Turismo ne sarebbero la conferma. Il turismo tunisino è in ginocchio come quello di tutta l’area nordafricana. Il Medio Oriente cresce, ma i Paesi colpiti dagli attacchi dell’autoproclamato califfato, come Turchia ed Egitto, ne subiscono le conseguenze, influenzando anche il flusso turistico degli altri Paesi dell’area.
Tunisia sempre tra le prime 50 mete al mondo, ma con un calo del 26,3%
L’attentato al Museo del Bardo del 18 marzo aveva già sferrato un duro colpo al turismo del Paese nordafricano. Il calo rispetto allo stesso periodo del 2014 è passato dal -14% dei primi tre mesi al -25% di aprile, maggio e giugno. Situazione che, invece di migliorare con il passare dei mesi, è ulteriormente peggiorata anche a causa di un secondo attentato, quello di giugno ai resort di Sousse, che ha dato il definitivo colpo di grazia all’economia turistica tunisina: -32,5% nel terzo trimestre dell’anno, con un picco negativo a settembre (-42,4%). Il risultato finale è un -26,4% sui primi nove mesi del 2015, il più pesante calo di afflusso tra le prime 50 mete turistiche mondiali.
Inutili gli appelli del governo di Tunisi che, dopo l’attacco nella capitale, ha promesso di rafforzare i controlli e ha dichiarato guerra al terrorismo interno. Il Parlamento ha anche approvato una nuova legge antiterrorismo che inasprisce le pene rispetto alla già repressiva normativa del 2003. Questo, però, non è servito a riabilitare il Paese agli occhi del turismo internazionale. La Tunisia era considerata una meta turistica tranquilla, come testimoniano anche la mancanza di avvisi particolari sul sito della Farnesina, www.viaggiaresicuri.it, prima dell’attentato e i numerosi arrivi ogni anno. Oggi, della Tunisia si sa anche che è il Paese dal quale proviene il più alto numero di foreign fighters e che, soprattutto al sud e al confine con la Libia, presenta dei territori di fatto in mano a organizzazioni terroristiche legate ad al-Qaeda e Stato islamico.
La Turchia rimane la sesta meta mondiale, ma la crescita è bloccata
La serie di attentati ad Ankara e Istanbul, rivendicati dall’Is ed estremismo di sinistra, e la guerra in corso nelle aree del sud tra il governo di Ahmet Davutoğlu e le milizie del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), non hanno provocato il crollo del turismo registrato in Tunisia. La Turchia rimane la sesta meta mondiale per arrivi di turisti e dal 2000 al 2014 ha visto crescere il numero degli arrivi da 9,6 milioni a 39,8 milioni. Una crescita impressionante che, però, nel 2015 ha conosciuto una rallentamento deciso. L’afflusso rimane stabile rispetto all’anno precedente, ma fa segnare un’inversione di rotta con un calo dello 0,9%. A preoccupare, oltre al dato negativo, è soprattutto il crollo dei tassi di crescita: +5,9% nel 2013, +5,3% nel 2014 e, appunto, -0,9% nel 2015.
Numeri che, se si analizzano esaminando i singoli mesi, dicono che gli attacchi terroristici che hanno colpito il Paese nell’ultimo anno sono tra le cause principali della diminuzione degli arrivi. Già la serie di attentati di marzo, a Istanbul, da parte del movimento terroristico di estrema sinistra Dhkp-C avevano scosso il Paese, rallentando l’arrivo dei turisti in una delle città più visitate del mondo. Nel trimestre che ha seguito l’attacco il flusso turistico ha conosciuto un -5,2% rispetto allo stesso periodo del 2014, vanificando così quel +4% registrato dall’inizio dell’anno alla fine di marzo, nonostante l’attacco bomba kamikaze di gennaio, a Istanbul, di fronte alla stazione di polizia.
A luglio il Paese si riprende (+6,2%), ma ad agosto e settembre arriva la seconda battuta d’arresto in seguito all’attacco bomba rivendicato dall’Isis a Suruç e al doppio attentato di agosto contro polizia e militari turchi da parte del Pkk e dell’estremismo di sinistra: -2,3% e, a settembre, -1,9%. In attesa dei dati di fine anno, quando alla lista dovrà essere aggiunto l’attentato di Ankara di ottobre, rivendicato dallo Stato Islamico, che ha provocato oltre 100 morti.
Egitto, trend 2015 positivo. Ma ad agosto è -10%
Il 2015 del turismo egiziano, secondo i dati che si fermano alla fine di agosto, fa registrare un +4,6%. La spiegazione a questi numeri, però, si trova in un periodo di relativa tranquillità nei primi sei mesi dell’anno fuori dalla penisola del Sinai. Gli attentati più eclatanti compiuti dall’estremismo islamico iniziano alla fine di giugno, con l’attacco bomba che ha ucciso, a Il Cairo, il Procuratore generale, Hisham Barakat. Da quel momento, nella capitale si contano altri tre attacchi, tutti rivendicati da Wilayat al-Sinai, gruppo egiziano affiliato allo Stato Islamico. C’è quello di luglio al Consolato italiano, l’esplosione delle tre bombe a Il Cairo e il sequestro e la decapitazione dell’ostaggio croato Tomislav Salopek, entrambi ad agosto. Adesso gli uomini del Califfato si attribuiscono la responsabilità della caduta dell’aereo russo precipitato nel Sinai dopo essere partito dall’aeroporto di Sharm el-Sheikh.
Le ripercussioni sul turismo si fanno subito sentire, con il mese di agosto che fa registrare un -10,1%. Il governo de Il Cairo, però, è preoccupato perché le conseguenze potrebbero essere ben più gravi. Secondo quanto ha riferito mercoledì il ministro del Turismo, Hesham Zaazou, il blocco dei voli imposto da Regno Unito, Russia e altri Paesi europei potrebbe costare 280 milioni di dollari al mese al turismo egiziano. Cifre che, però, non quantificano totalmente il possibile contraccolpo sull’economia dell’area: come ha dichiarato all’Associated Press Hussein Fawzy, capo della Camera per il Turismo nell’area, almeno il 40% dei clienti ha lasciato i resort di Sharm el-Sheikh, mentre “si prevede un calo dell’80% dei turisti stranieri”. E la situazione rischia di non cambiare nel breve periodo, secondo quanto dichiarato all’agenzia russa Ria Novosti da Sergei Ivanov, Capo dell’amministrazione presidenziale della Russia: “(Lo stop) sarà a lungo tempo. Quanto lungo non lo so. Minimo diversi mesi”.