Il senatore di Forza Italia Augusto Minzolini è stato condannato in via definitiva a due anni e mezzo dalla Corte di Cassazione per peculato continuato. La vicenda è quella dell’uso delle carte di credito della Rai con le quali Minzolini, nel periodo in cui è stato direttore del Tg1 (dal giugno 2009 al dicembre 2011), avrebbe totalizzato spese per circa 65mila euro. In primo grado Minzolini era stato assolto dal tribunale di Roma, una sentenza poi ribaltata dalla Corte d’Appello. Ma l’effetto più importante di una sentenza che – come la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici – al momento è sospesa, è quello dato ancora dalla legge Severino. In caso di condanna definitiva per reati contro la pubblica amministrazione con una pena superiore a 2 anni, infatti, è prevista la decadenza dalla carica pubblica, in questo caso da quella di senatore. Un caso simile, insomma, a quello di Silvio Berlusconi. “Sono allibito – dice Minzolini – In appello sono stato condannato da un giudice che è stato sottosegretario con i governi Prodi e D’Alema. E’ come se Prodi o D’Alema dopo aver militato in politica per anni giudicassero Berlusconi. Questo è il sistema giudiziario italiano. Sono stato assolto in primo grado e condannato in appello a una pena maggiore di quella che chiedeva l’accusa. Evidentemente c’è qualcuno che mi vuole vedere fuori dal Parlamento“.

Ora quindi della sentenza di Minzolini si occuperà la giunta per le elezioni del Senato, quella presieduta da Dario Stefàno (Sel), anche se è verosimile che prima di una pronuncia definitiva l’organismo – lo stesso che dette il via all’iter che portò alla “espulsione” dal Senato di Berlusconi – voglia aspettare la Corte costituzionale dov’è ancora pendente un ricorso sul caso del presidente della Regione Vincenzo De Luca che ora è impegnato in altre questioni. La Consulta, che già ha ritenuto legittima dopo aver esaminato il ricorso sul sindaco di Napoli Luigi De Magistris, tuttavia non ha ancora fissato la nuova udienza.

Secondo l’accusa l’ex direttore avrebbe utilizzato in maniera impropria la carta che gli era stata fornita dall’azienda per le spese di rappresentanza, consegnando sì le ricevute ma senza giustificare il motivo delle spese per i pasti. In primo grado l’ex giornalista della Stampa era stato assolto perché i giudici avevano ritenuto che non avesse consapevolezza di stare spendendo impropriamente denaro pubblico in quanto la stessa Rai gli aveva messo a disposizione la carta di credito che credeva una compensazione per l’esclusiva inserita nel contratto con la Rai.

In Cassazione il procuratore generale aveva chiesto la conferma della condanna perché “l’impianto” della sentenza d’appello è “congruo e ben motivato”. L’avvocato Franco Coppi, nella sua arringa, aveva sottolineato che “Minzolini fin dal primo mese ha trasmesso le ricevute delle spese, è vero, senza indicare le persone che venivano invitate. Ma per un anno e mezzo la Rai non ha mai ritenuto che quel tipo di spese non fossero giustificate: nessuno gli ha detto per 18 mesi che quelle giustificazioni non erano sufficienti. Sarebbe scattato l’obbligo di rimborso”. Tra l’altro Minzolini ha restituito la somma, salvo poi chiederne il risarcimento nel processo civile ancora pendente.

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