Sì, per parlare di politica industriale in Italia ci vuole un bel coraggio: lo ammetto.
Da anni mi batto, nel mio piccolo, perché ci si renda conto che non è dai pur rifornitissimi scaffali della Bocconi o della Luiss che possa uscire la soluzione del nostro problema, l’aiuto tanto sperato, la panacea dei nostri mali. E, in effetti, sono anni che i nostri governi si rivolgono ai maghi della Bocconi chiedendo aiuto e conforto, ma finora non è uscito un ragno dal buco. E, mi spiace dirlo, mai potrà uscire. Come mai potrà uscire da qualsiasi altro ‘antro magico’ pur se del calibro di Harvard o del Mit. E, sia chiaro, di questi ‘antri’ io conservo ammirazione sincera e rispetto.
Riflettiamo: non vi sembra che rivolgersi a questi centri di pensiero economico abbia un vago significato di guardare all’indietro, al passato? Dove tende a prevalere la logica del ‘ragioniere’ rispettabilissima, necessaria, ma una ‘logica del post’, non ‘logica dell’ante’, dove l’‘ante’ non ha sede rimanendo grigio, nebuloso, aleatorio?
Ma è proprio vero che sono questi i centri che ‘guardano futuro’, ‘pensano futuro’? Personalmente credo di no: ‘guardare futuro’, ‘pensare futuro’ è un momento di ‘creazione’, non di deduzione da esperienze del passato. I ‘ragionieri’ sono necessari: ma prima di loro devono venire i ‘creativi’. E qui casca l’asino bocconiano o bostoniano.
Un giorno di molti anni fa un consulente aziendale – di cui mi onoro di essere diventato amico, un uomo davvero raro ed eccezionale – mi pose una domanda: “A tuo avviso, in un’azienda che nasce perché qualcuno ha fatto una scommessa, chi ha il compito, chi è – solo ed esclusivamente solo – pagato per ‘pensare al futuro’ della stessa impresa?”. Confesso che ebbi esitazioni, perché il mio pensiero era abituato a ‘vedere’ l’azienda come un insieme di uomini che ce la mettevano tutta per farla prosperare, oggi e domani; e l’unicità di questa figura mi sfuggiva: la risposta era lapidaria: ‘Il Presidente’, ed era vero. Questo compito tocca a lui: non importa se le idee gli possono essere suggerite oppure se sono parto del suo ingegno creativo, il ‘compito’ di pensare futuro spetta a lui, solo a lui.
Il mio amico – che se mi legge ci si riconosce subito – andò avanti: e su quale base può permettersi di ‘pensare futuro’: dispone di una sola arma iniziale, quella che avvia un processo che poi diventerà corale: la ‘fantasia’. E che significa ‘fantasia’? Significa capacità di vedere ‘orizzontale’ (e non in verticale, dove conta la ‘specializzazione’) e anche, udite udite che cosa mai sostengo, di ‘vedere ciò che ancora non c’è’. E di scommetterci sopra la propria faccia.
E qui cominciamo ad arrivare al punto. Una persona dispone di vera ed efficace fantasia creativa quando è capace di ‘uscire dagli schemi’. E’ in assoluto la cosa più difficile che si possa richiedere al nostro affaticato e spremuto cervello. Nella mia carriera ebbi più e più volte occasione di tenere dei meeting a imprenditori, dirigenti: ho avuto occasioni di docenza in diverse Università e perfino al Collegio Ghislieri di Pavia. Io vedevo bene gli occhi fermi, talvolta sbarrati, dei partecipanti quando accennavo alla ‘rottura degli schemi’: dovevo alleggerire la tensione.
Mi venne in soccorso una bellissima e fantastica barzelletta che una sera ascoltai alla televisione raccontata da Walter Chiari. La scena è un bar vuoto: al bancone c’è un barista. Entra un signore, si avvicina al banco e dice al barista: ‘Pppeer …ffavvoore, mi ffaccccia uuun c…caffè esp…ress…o’. Il barista: ‘Sssubbit..o, glieeelo ffacccio dddi vvolla..ta’. E si gira a smanettare sulla macchina. Si apre la porta e entra un pezzo di marcantonio che dice: Cameriere, un caffè espresso al volo, che ho fretta!’. Il barista: ‘Subito signore, al volo, di corsa!!!’. Il primo tizio restò di sasso: ‘MMMaa ccammeriere, alloooora llei mmi preendeeva in ggir..o!? Il barista: ‘Iiioo? Iio ppreeenddevvvo iin ggir..ro qquel..lo là’.
Al di là dei sorrisi, questo è un argomento fondamentale che manca nella nostra vita economica oggi: ma è un argomento fondamentale, strafondamentale, su cui dobbiamo senza fallo tornare.