Dalle banchine del porto di Bari è passato due volte, l’1 e il 5 agosto scorsi, Salah Abdeslam, l’uomo più ricercato d’Europa dopo gli attentati di Parigi. Una terra di confine calpestata nel novembre di sette anni fa anche da Raphael Marcel Frederic Gendron e Bassam Ayachi: arrestati dalla polizia e poi liberati dopo due sentenze della Corte d’appello, il primo è morto da combattente in Siria nel 2013 e il secondo imbraccia ancora il fucile tra le fila l’Isis dopo essere stato l’ideologo della moschea di Molenbeek, il quartier generale dei terroristi. Il capoluogo pugliese, dunque, come snodo per l’ingresso e l’uscita di jihadisti e aspiranti foreign fighters. Un fatto noto da anni, supportato da diverse segnalazioni dell’intelligence, alle quali non è però seguito un adeguato incremento del personale a disposizione. Almeno secondo il sindacato di polizia Coisp: “Lavoriamo in condizioni disastrose, figlie di anni di tagli drastici – spiega il segretario regionale Cosimo Lavecchia a ilfattoquotidiano.it – Siamo sotto i livelli standard d’organico e mezzi, sia alla polizia di frontiera che nella Digos”.
Eppure da almeno un anno il porto pugliese è tornato sotto la lente d’ingrandimento del ministero. Lo certificò proprio Alfano nell’ottobre 2014: “Le nostre analisi, le valutazioni dell’intelligence, quanto viene fuori dalle indagini della magistratura e adesso anche dalle sentenze, ci fanno capire che il porto di Bari può essere una possibile porta di ingresso di aspiranti jihadisti”, disse il titolare del Viminale. Rotte verso la Grecia, l’Albania e il Montenegro rendono il porto pugliese un ‘sorvegliato speciale’ nella lotta al terrorismo, almeno nelle intenzioni. All’inizio dell’estate un nuovo ‘alert’ del ministero, dopo un rapporto degli 007 britannici, segnalava i porti di Ancona, Bari e Brindisi come ‘obiettivi sensibili’ proprio a causa dei collegamenti con i Balcani, indicati da più parti come terra fertile per l’attività di proselitismo e gli spostamenti degli jihadisti. La nota inviata a questure e prefetture invitava ad aumentare i controlli: una dritta giusta, visto il passaggio neanche quaranta giorni dopo di Salah Abdesmal.
Allo stesso tempo, però, il Coisp lamenta la cronica mancanza di sostegno operativo e segnala l’esclusione di Bari e Brindisi dalla “prima aliquota” di venti capoluoghi di provincia nei quali il Dipartimento di Pubblica Sicurezza ha istituito e formato “operatori appositamente selezionati e addestrati da personale altamente specializzato” per andare a formare le U.o.p.i.. Con l’acronimo di Unità operativa di primo intervento, il ministero identifica delle ‘squadre antiterrorismo’. Nelle due città pugliesi arriveranno, ma non subito. La creazione di questi nuclei – composti da personale già in servizio sul territorio e che “utilizzeranno autovetture blindate e saranno equipaggiati con materiali e dotazioni speciali” – è stata voluta dal Viminale dopo l’attacco a Charlie Hebdo. La segreteria provinciale di Brindisi ha fatto notare come una U.o.p.i. è prevista a Lecce ma non nel capoluogo messapico nonostante la presenza di porto, aeroporto, di una delle più importanti basi Onu al mondo e “di un’area industriale, anch’essa adiacente al porto, che vede la presenza di impianti di importanza vitale per l’approvvigionamento di fonti di energia e l’assetto infrastrutturale dell’intera nazione”.
Situazione simile a Bari dove insistono porto, aeroporto, un centro di accoglienza che ospita 1.100 richiedenti asilo (le cui storie vengono passate al setaccio proprio in questi giorni dagli investigatori baresi) e lo stadio San Nicola che ospita mediamente 20mila persone nelle partite interne della squadra impegnata nel campionato di Serie B. “La Digos dovrebbe fare indagini preventive ed ha tra le attività per le quali è preposta proprio l’antiterrorismo: è ai minimi termini. Una situazione simile investe la polizia di frontiera – conclude Lavecchia – La coperta corta e, nonostante siano stati disposti da poco dei trasferimenti, rimarremo sotto gli standard di organico”.