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Banche, governo vara salvataggio da 3,6 miliardi per le quattro in crisi. “Niente fondi pubblici”

Per Banca Marche, Popolare dell’Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti un piano che ricalca la nuova legislazione europea. Nascono quattro "banche ponte" e una bad bank che si farà carico dei crediti in sofferenza. Oneri del salvataggio a carico degli altri istituti. Salvi i correntisti, non azionisti e obbligazionisti subordinati
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Dopo mesi di tira e molla e momenti in cui i banchieri italiani sono arrivati addirittura a fare la voce grossa contro Bruxelles minacciando il ricorso alla Corte di Giustizia, il consiglio dei ministri si è riunito di domenica per approvare un piano che ricalca al millimetro la nuova legislazione europea sui salvataggi bancari. Legislazione peraltro recepita anche dall’Italia poche settimane fa ma che, incredibilmente, si voleva a tutti i costi evitare di applicare. Alla fine Banca delle Marche, Popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti non godranno di alcun trattamento speciale, né verranno utilizzati direttamente o indirettamente fondi pubblici per salvarle.

Verrà invece applicato il nuovo meccanismo di risoluzione unico, fatta eccezione per il cosiddetto “bail in” che entrerà in vigore solo a partire da gennaio e che in questi quattro casi verrà evitato in quanto a sopportare integralmente gli oneri del salvataggio dovrebbe essere il sistema bancario che metterà complessivamente sul piatto quasi 4 miliardi di euro per condurre in porto l’operazione. Due miliardi verranno erogati dalle banche al cosiddetto Fondo di risoluzione anche sotto forma di anticipo delle quote che dovrebbero versare al fondo nel prossimo triennio (per il 2015 l’importo è di circa 500 milioni) e altri 2 miliardi arrivano invece da una linea di credito attivata da Intesa Sanpaolo, Unicredit e Ubi. La scommessa per le banche che partecipano al salvataggio è quella di riuscire a recuperare negli anni successivi almeno una parte dei fondi erogati attraverso la vendita delle aziende risanate o di parte dei loro asset.

La Banca d’Italia ha precisato che circa 1,7 miliardi di euro serviranno a coprire le perdite dei quattro istituti, 1,8 miliardi circa per ricapitalizzare le banche-ponte e garantirne la piena operatività, mentre almeno 140 milioni di euro saranno necessari per dotare di mezzi sufficienti la cosiddetta “bad bank”, ossia la banca che si farà carico dei crediti in sofferenza di tutte e quattro. L’obiettivo dell’operazione è quello evitare uno shock di sistema arrivando in tempi rapidi alla vendita delle banche al miglior offerente “con procedure trasparenti e di mercato”, sottolinea la Banca d’Italia che ha affidato la presidenza di tutti i nuovi istituti all’ex direttore generale di Unicredit Roberto Nicastro.

Il Fondo di risoluzione, oltre ad avere formalmente il controllo delle banche-ponte, dovrà garantire gli attivi deteriorati confluiti nella bad bank. “Il beneficio connesso a tale garanzia – spiega la Commissione Ue che ha dato il via libera all’operazione – è stato quantificato approssimativamente in 400 milioni di euro di ulteriore supporto del Fondo di risoluzione”.

In buona sostanza, il tentativo di “procedere all’italiana” non è riuscito: le quattro banche verranno salvate nella cornice delle nuove regole europee e a garantire l’intera operazione saranno le stesse banche con fondi loro, anziché i contribuenti. Salvi i correntisti e gli obbligazionisti, ma non gli azionisti delle quattro banche che si ritroveranno molto probabilmente con il capitale azzerato. A fronte di questo ennesimo disastro, giova ricordare che nessuno dei banchieri responsabili dei dissesti di Banca delle Marche, Popolare dell’Etruria, CariFerrara e CariChieti è stato finora condannato a risarcire alcunché.

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