Il giorno dopo il via libera del governo al decreto che salva quattro istituti di credito in dissesto, sono nate le “banche ponte” controllate dal Fondo di risoluzione che fa capo alla Banca d’Italia. Per guidare Nuova CarifeNuova Banca EtruriaNuova Carichieti e Nuova Banca delle Marche, via Nazionale ha scelto di affiancare all’ex dg di Unicredit Roberto Nicastro (che ha il ruolo di presidente) un consiglio di amministrazione che in tutti e quattro i casi vede tra i membri Maria Pierdicchi. Cioè la ex numero uno di Standard & Poor’s Italia. La manager, che ha lasciato l’incarico nel marzo di quest’anno, era stata coinvolta nell’indagine della Procura di Trani sulle agenzie di rating, a cui i pm contestano la manipolazione del mercato in relazione al taglio del merito di credito della Penisola deciso nel 2012. La sua posizione è stata archiviata nell’estate 2013.

Intanto emergono i risvolti del piano approvato dal consiglio dei ministri. I provvedimenti pubblicati dalla Banca d’Italia confermano che, oltre al capitale dei soci, anche le obbligazioni subordinate emesse dalle quattro banche salvate sono state azzerate, utilizzandole per assorbire una parte delle perdite. Il valore dei titoli, detenuti da 15mila risparmiatori, ammonta a circa 788 milioni di euro.

Sugli 1,65 miliardi di finanziamento a 18 mesi che saranno versati al Fondo di risoluzione da Intesa Sanpaolo, Unicredit e Ubi (oltre ai 2,3 miliardi che verranno loro rimborsati già a dicembre con i contributi versati nel frattempo dalle 208 banche italiane) c’è invece la garanzia di Cassa depositi e prestiti: il gruppo pubblico che gestisce il risparmio postale, infatti, “ha assunto un impegno di sostegno finanziario in caso di incapienza del Fondo alla data di scadenza del finanziamento”. Cdp dovrebbe a quel punto essere rimborsata con i proventi derivati dalla cessione all’asta delle quattro nuove banche. Che Bankitalia ha auspicato avvenga  “in tempi brevi, al miglior offerente, con procedure trasparenti e di mercato”.

A Intesa, Unicredit e Ubi l’intervento per il salvataggio delle quattro banche costerà 866 milioni. Il gruppo di cui è consigliere delegato Carlo Messina ha comunicato infatti che sosterrà “oneri connessi al versamento del contributo straordinario al fondo pari a circa 380 milioni di euro ante imposte, che verranno registrati nel conto economico del quarto trimestre 2015, in aggiunta ai circa 95 milioni relativi al contributo ordinario già spesati”. La banca erogherà al fondo 1,33 miliardi di euro di prestiti, di cui 780 milioni che verranno rimborsati a dicembre e 550 milioni con scadenza a 18 mesi. Per l’istituto guidato da Federico Ghizzoni, secondo l’Ansa, il conto sarà di 300 milioni: al fondo di risoluzione il gruppo ha già versato 90 milioni, cui se ne aggiungeranno 210 milioni come impatto dei versamenti ordinari e straordinari che vengono richiesti dal fondo. Il contributo complessivo straordinario di Ubi Banca sarà invece di poco superiore ai 91 milioni di euro lordi, comprensivi dei 22,8 già accantonati.

L’Abi, in una nota, ha apprezzato in modo particolare il fatto che il governo abbia previsto la deducibilità immediata dal reddito imponibile delle nuove banche delle rettifiche di valore su crediti verso la clientela fatte da quelle mandate in liquidazione. Come previsto da una legge varata lo scorso giugno. L’articolo 3 del decreto stabilisce poi che “i versamenti effettuati dal fondo di risoluzione agli enti-ponte non si considerano sopravvenienze attive”. Una disposizione, spiega la relazione illustrativa, che configura “una rinuncia a maggior gettito, trattandosi di versamenti relativi ad azioni recentemente previste dalla legge e non ancora poste in essere”.
Secondo la lobby dei banchieri questo “potrà contribuire in maniera sostanziale a sostenere l’intero sistema economico italiano, favorire il risanamento delle imprese in crisi, migliorare la gestione dei crediti deteriorati presenti nei bilanci delle banche italiane e incrementare il mercato del credito”.
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