C’è “il tentativo ripetuto di fare le primarie ma anche di non farle, trasformandole nella conferma pubblica di una decisione già presa in privato”. E ancora: “Un cambiamento ad hoc delle regole dimostrerebbe che i nuovi riescono a vincere solo con i vecchi trucchi”. Arturo Parisi, ex ministro della Difesa del secondo governo Prodi ma, soprattutto, tra i fondatori del Partito democratico (Pd), commenta così, a ilfattoquotidiano.it, le voci che negli ultimi giorni si sono susseguite a proposito della possibilità, da parte della segreteria dem, di vietare a Ignazio Marino (Roma) e Antonio Bassolino (Napoli) di candidarsi alle primarie del centrosinistra in vista delle comunali del 2016. “Il giudizio finale spetta ai cittadini – aggiunge –. Nella mia idea di democrazia chi ha qualcosa da dire deve dirla senza chiedere il permesso né accettare divieti”.

Professore, nonostante le smentite di rito c’è stato un momento nel quale si è pensato che alle primarie di coalizione del centrosinistra a Napoli avrebbe potuto partecipare anche Ncd. Lei, “padre” proprio delle primarie in Italia, se lo sarebbe mai aspettato?
Non è una novità. Quanto è accaduto porta ad evidenziare un’interpretazione distorta della democrazia maggioritaria. L’idea è che, pur di vincere, si possa mettere insieme tutto e il contrario di tutto, dimenticando che la democrazia stessa ha come fine il governo e non la semplice vittoria elettorale. Peraltro, fu questa l’accusa che fin dall’inizio proprio noi rivolgemmo a Berlusconi, alle sue coalizioni improvvisate solo grazie ai suoi mezzi e ai suoi media. E allo stesso tempo fu questo il fondamento di quella scommessa che chiamammo Ulivo.

Ma allora che cosa bisognerebbe fare?
A livello locale, dove la competizione è ancora fra coalizioni, c’è la necessità di mettere in campo un’alternativa migliore, formata da più partiti, capace non solo di vincere ma di governare. Costruita attraverso una lunga fatica alla luce del sole. Basata su un programma comune e addirittura sul progetto di un’Italia diversa. Un progetto che tenga nel tempo.

“Un progetto comune”, dice lei. Ma recentemente la vicesegretaria dem Debora Serracchiani ha ipotizzato il varo di una norma interna al Pd per escludere dalle primarie Ignazio Marino e Antonio Bassolino. Poi c’è stato il dietrofront. Un bel pasticcio…
Mi sembra che pasticcio sia la parola esatta. Spero veramente che il tempo della moratoria proposta da Renzi serva a una riflessione, e non solo a un rinvio del problema.

Sentendola parlare pare di capire che il meccanismo si sia inceppato. Sbaglio?
La verità è che i nodi, annodati di volta in volta, hanno una sola origine: il tentativo ripetuto, non solo la tentazione, di fare le primarie ma anche di non farle, trasformandole nella conferma pubblica di una decisione già presa in privato.

Le sue sono parole forti. Anche perché più volte si è vociferato proprio sul fatto che Renzi non sia così propenso a continuare a farle. Ma allora le primarie andrebbero eliminate del tutto o, al contrario, regolate per legge?
La seconda è una meta che non possiamo smettere di perseguire, ma che tuttavia è ancora lontana. Quanto all’eliminazione, potrei dire: ci provino.

Addirittura?
Mi accontenterei che almeno Renzi e il Pd, che delle primarie sono figli e padri, mettessero fine a questa voce che gira da molti mesi. Troppi per un partito che delle primarie ha fatto il suo mito fondativo. E troppi per un leader che più di ogni altro, proprio alle primarie deve tutto intero il suo percorso politico. È per questo che continuo a non credere a queste voci.

Non sarà che il segretario-premier ha paura che, a Napoli, un’eventuale vittoria di Bassolino metterebbe la parola “fine” sulla rottamazione? Con De Luca è successa la stessa cosa…
Diciamo più che altro che andrebbe incontro ad una battuta d’arresto se la rottamazione fosse solo un nuovo nome per definire la banale necessità di avvicendamento tra leve del personale politico. Sarebbe invece una vera sconfitta se la rottamazione fosse un cambiamento non tanto dei politici ma delle forme politiche. Un cambiamento ad hoc delle regole dimostrerebbe che i nuovi riescono a vincere solo con i vecchi trucchi.

A proposito dell’ex sindaco del capoluogo campano: farebbe comunque bene a candidarsi?
Se ha alzato la mano, vuol dire che pensa di avere per il futuro di Napoli una proposta che altri non hanno ancora avanzato. Ora se questi altri ci sono è il momento che parlino: poi il giudizio finale spetta ai cittadini.

Capitolo Ignazio Marino: per lei dovrebbe presentarsi alle primarie del centrosinistra a Roma?
Questa è una domanda che solo Marino può rivolgere alla sua coscienza. Nella mia idea di democrazia chi ha qualcosa da dire deve dirla senza chiedere il permesso né accettare divieti.

Detto ciò, come giudica il modo in cui lo stesso Marino è stato fatto decadere da sindaco della Capitale proprio per mano del Pd?
È un episodio che vorrei dimenticare. Una gara a chi sbaglia di più. Come dicono a Bologna: una gara dura. Vinta purtroppo da Marino, anche se con l’aiuto di troppi.

Oggi, con una lettera al “Fatto”, Franco Monaco la chiama in causa e scrive di una “manifesta deriva centrista del Pd”. Si parla molto, negli ultimi mesi, di “partito della Nazione”. È in quella direzione che sta andando il Partito democratico?
A parte il fatto che la deriva centrista richiederebbe un discorso più lungo, sul “partito della Nazione” Monaco e tutti gli altri che, a cominciare da Veltroni, hanno levato la loro voce, hanno ragioni da vendere. All’inizio l’avevo intesa come l’ambizione del partito di rivolgere la propria proposta a tutti i cittadini, certo senza alcuna distinzione pregiudiziale.

E invece?
Pur preferendo per la nostra parte, nel caso, la definizione di “partito della Repubblica”, nella mia idea di politica una democrazia che non dispone di almeno due partiti della Nazione, cioè due forze in contrapposizione fra loro, è una democrazia a rischio. Il passaggio da un unico partito della Nazione al partito unico della Nazione è sempre in agguato: il modo con il quale la formula è stata finora declinata nella comunicazione e nella prassi, a questo punto, la rende indifendibile. Prima viene abbandonata e meglio è.

Sempre Monaco aggiunge che “tra il ‘nome’ Pd e la ‘cosa’ da noi intensamente voluta si è aperto un fossato che mi pare incolmabile”. È davvero così?
È una denuncia che Monaco va ormai sporgendo da tempo e in molti punti è fondata. Diverso è invece il mio giudizio sulla proposta politica che da questa denuncia Monaco fa derivare, una proposta che avevo considerato finora una provocazione appassionata, ma che sento ora invece come un progetto politico.

Che tipo di progetto politico?
L’idea di una separazione consensuale e amichevole del Pd tra centro e sinistra per poi ritrovarsi in un centro-sinistra di nuovo separato da un bel trattino.

Considera anche lei inevitabile una scissione?
Quella che non vedo è una scissione consensuale. O fuori o dentro.

E allora come dar seguito al disagio di Monaco verso quello che lui definisce un “fossato incolmabile”?
Per chi, dentro il Pd, non è contento di come vanno le cose, cioè della linea che legittimamente Monaco contesta, non vedo alternative ad una battaglia interna. La quale, muovendo da una opposizione nitida e riconoscibile, punti alla conquista della guida del partito e, grazie alla difesa delle primarie, alla guida dell’intero campo di centrosinistra.

Twitter: @GiorgioVelardi

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Cambiamenti climatici, il governo Renzi verso il summit di Parigi: l’opposizione alla Camera: “Siete peggio di Berlusconi”

next
Articolo Successivo

Legge Pinto: con la Stabilità del governo Renzi più difficile ottenere risarcimenti per la durata eccessiva dei processi

next