Parafrasando un antico detto: o efficienza, quanti misfatti nel tuo nome vengono compiuti! Continuando la serie del “niente è quello che sembra”, si arriva all’allegro ridisegno delle architetture istituzionali decentrate dello Stato da parte del governo sedicente rottamatore: costruzioni impossibili perché non stanno in piedi, come i tompe l’oeil del litografo olandese Maurits Echer.
Alla luce di quanto ad oggi è possibile percepire (e lecito inferire), nulla delle trasformazioni recentemente intervenute segnala l’imbocco di un sentiero virtuoso nella governance dei territori: le Province apparentemente cancellate sopravvivono (clandestinamente?) come centro di spesa, le città metropolitane non fuoriescono da una condizione ectoplasmatica, le Regioni (gratificate nel loro personale elettivo dalla riforma Boschi del Senato) confermano nel quotidiano driving politico una sostanziale sciatteria amministrativa che stinge nello spreco del pubblico denaro, mentre l’ombra del malavitoso non sempre si dirada all’orizzonte.

Le città, giustamente indicate da taluno come il soggetto che sta “assumendo un ruolo sempre più importante nella vita politica, economica, sociale e mediatica” (J. Borja e M. Castells, Conferenza Habitat II, Istanbul 1996), nel caso italiano vivono un’esistenza sempre più grama, per i crescenti processi di anemizzazione finanziaria: il risucchio in accelerazione delle risorse dalla periferia al centro.
In effetti se sussiste un filo conduttore nelle logiche di ridisegno della statualità complessiva, questo consiste nella (pervicace/tracotante) affermazione di centralità del governo su ogni altra istanza. Il tutto a interfacciare con il criterio del one man show che si impone nell’attuale congiuntura politica (matrice a calco di ogni ulteriore scelta a valle); il mito ricorrente dell’uomo forte addolcito – reso un po’ meno mussoliniano/craxiano/gelliano e più aziendalistico (marchionniano?) – nello stereotipo del capo che opera per il meglio.
In questo ritorno alla governabilità verticistica come sveltezza liberata dai vincoli, si assiste all’inarrestabile piallatura (o al tentativo di piallatura) di ogni corpo intermedio, sia sul fronte pubblico (vedi anestetizzazione degli enti territoriali), sia esso privato: dalla marginalizzazione delle rappresentanze sindacali/datoriali alla guerriglia sottotraccia nei confronti della rete camerale. Il tutto senza un progetto di architetture istituzionali alternative che oltrepassi la bulimia di potere.
Anche in questo caso si evidenzia l’assoluta mancanza di reale capacità innovativa della compagine oggi al potere (o del demiurgo che tutto riconduce a sé), che la potenza di fuoco comunicativa non riesce a supplire. In assenza di un effettivo riformismo strutturale, si assiste alla fiera dell’escamotage, in chiave di teatralizzazione del fare; con semplificazioni da bar sport: la disoccupazione combattuta drogando il mercato del lavoro (“job’s act”), la scuola riformata istituendo la figura del “dictator antico romano”, la crisi del sistema produttivo affrontata criminalizzando il presunto fancazzismo della forza lavoro (battage sul malfamato articolo 18) e dando carta bianca per un ipotetico “nuovo rinascimento” al ceto imprenditoria-manageriale; perché si cimenti – grazie alla precarizzazione – nell’unico modello gestionale che conosce: bastone & carota.
La semplificazione incapace del governo rifulge nella riforma della portualità avanzata dal ministro delle Infrastrutture: una riduzione per sommatoria di Port Autorities in assenza di una strategia che scelga nel concerto inefficiente dei 140 porti nazionali gli scali su cui puntare per un’efficacia competitiva nel quadrante mediterraneo (ed evitare la dispersione di risorse erogate a pioggia sui succitati 140, senza criterio alcuno di economicità). Ossia quel Piano Nazionale dei Trasporti e della Logistica che nessuno si prende la briga di stilare.
Piuttosto, anche in questo caso prevale la logica dell’uomo solo al comando, che – a sua volta – risponde a un solo uomo al governo. Nel sostanziale allontanamento del comando portuale dai luoghi in cui sarebbe formalmente situato. A fronte del totale esproprio delle comunità cittadine, ospitanti il waterfront, del diritto a esercitare un controllo sulle scelte che le riguardano direttamente. Causa il combinato disposto accentramento gestionale/centralizzazione decisionale.
L’esempio dei porti risulta calzante per evidenziare gli aspetti perversi dell’intero disegno in corso: se era stata ipotizzata una rifondazione della democrazia italiana a partire dai territori, oggi assistiamo non a un “falso movimento” quanto a un vero e proprio “contro-movimento”. Si potrebbe parlare con Colin Crouch di estrema e tardiva riaffermazione delle logiche post-democratiche (svuotamento della partecipazione i processi decisionali), come utilizzo del politainment (la politica ridotta a set di un reality); a fronte di un reale sequestro di democrazia.
Pierfranco Pellizzetti
Saggista
Politica - 29 Novembre 2015
Riforme: i falsi movimenti del re-engineering targato Renzi
Parafrasando un antico detto: o efficienza, quanti misfatti nel tuo nome vengono compiuti! Continuando la serie del “niente è quello che sembra”, si arriva all’allegro ridisegno delle architetture istituzionali decentrate dello Stato da parte del governo sedicente rottamatore: costruzioni impossibili perché non stanno in piedi, come i tompe l’oeil del litografo olandese Maurits Echer.
Alla luce di quanto ad oggi è possibile percepire (e lecito inferire), nulla delle trasformazioni recentemente intervenute segnala l’imbocco di un sentiero virtuoso nella governance dei territori: le Province apparentemente cancellate sopravvivono (clandestinamente?) come centro di spesa, le città metropolitane non fuoriescono da una condizione ectoplasmatica, le Regioni (gratificate nel loro personale elettivo dalla riforma Boschi del Senato) confermano nel quotidiano driving politico una sostanziale sciatteria amministrativa che stinge nello spreco del pubblico denaro, mentre l’ombra del malavitoso non sempre si dirada all’orizzonte.
Le città, giustamente indicate da taluno come il soggetto che sta “assumendo un ruolo sempre più importante nella vita politica, economica, sociale e mediatica” (J. Borja e M. Castells, Conferenza Habitat II, Istanbul 1996), nel caso italiano vivono un’esistenza sempre più grama, per i crescenti processi di anemizzazione finanziaria: il risucchio in accelerazione delle risorse dalla periferia al centro.
In effetti se sussiste un filo conduttore nelle logiche di ridisegno della statualità complessiva, questo consiste nella (pervicace/tracotante) affermazione di centralità del governo su ogni altra istanza. Il tutto a interfacciare con il criterio del one man show che si impone nell’attuale congiuntura politica (matrice a calco di ogni ulteriore scelta a valle); il mito ricorrente dell’uomo forte addolcito – reso un po’ meno mussoliniano/craxiano/gelliano e più aziendalistico (marchionniano?) – nello stereotipo del capo che opera per il meglio.
In questo ritorno alla governabilità verticistica come sveltezza liberata dai vincoli, si assiste all’inarrestabile piallatura (o al tentativo di piallatura) di ogni corpo intermedio, sia sul fronte pubblico (vedi anestetizzazione degli enti territoriali), sia esso privato: dalla marginalizzazione delle rappresentanze sindacali/datoriali alla guerriglia sottotraccia nei confronti della rete camerale. Il tutto senza un progetto di architetture istituzionali alternative che oltrepassi la bulimia di potere.
Anche in questo caso si evidenzia l’assoluta mancanza di reale capacità innovativa della compagine oggi al potere (o del demiurgo che tutto riconduce a sé), che la potenza di fuoco comunicativa non riesce a supplire. In assenza di un effettivo riformismo strutturale, si assiste alla fiera dell’escamotage, in chiave di teatralizzazione del fare; con semplificazioni da bar sport: la disoccupazione combattuta drogando il mercato del lavoro (“job’s act”), la scuola riformata istituendo la figura del “dictator antico romano”, la crisi del sistema produttivo affrontata criminalizzando il presunto fancazzismo della forza lavoro (battage sul malfamato articolo 18) e dando carta bianca per un ipotetico “nuovo rinascimento” al ceto imprenditoria-manageriale; perché si cimenti – grazie alla precarizzazione – nell’unico modello gestionale che conosce: bastone & carota.
La semplificazione incapace del governo rifulge nella riforma della portualità avanzata dal ministro delle Infrastrutture: una riduzione per sommatoria di Port Autorities in assenza di una strategia che scelga nel concerto inefficiente dei 140 porti nazionali gli scali su cui puntare per un’efficacia competitiva nel quadrante mediterraneo (ed evitare la dispersione di risorse erogate a pioggia sui succitati 140, senza criterio alcuno di economicità). Ossia quel Piano Nazionale dei Trasporti e della Logistica che nessuno si prende la briga di stilare.
Piuttosto, anche in questo caso prevale la logica dell’uomo solo al comando, che – a sua volta – risponde a un solo uomo al governo. Nel sostanziale allontanamento del comando portuale dai luoghi in cui sarebbe formalmente situato. A fronte del totale esproprio delle comunità cittadine, ospitanti il waterfront, del diritto a esercitare un controllo sulle scelte che le riguardano direttamente. Causa il combinato disposto accentramento gestionale/centralizzazione decisionale.
L’esempio dei porti risulta calzante per evidenziare gli aspetti perversi dell’intero disegno in corso: se era stata ipotizzata una rifondazione della democrazia italiana a partire dai territori, oggi assistiamo non a un “falso movimento” quanto a un vero e proprio “contro-movimento”. Si potrebbe parlare con Colin Crouch di estrema e tardiva riaffermazione delle logiche post-democratiche (svuotamento della partecipazione i processi decisionali), come utilizzo del politainment (la politica ridotta a set di un reality); a fronte di un reale sequestro di democrazia.
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La corsa militare dell’Europa innesca una ondata di vendite sui debiti dei Paesi: su gli interessi
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Più che le conclusioni del Consiglio europeo sembrano un bollettino di guerra, con i nostri governanti che, in un clima di ubriacatura collettiva, programmano una spesa straordinaria di miliardi su miliardi per armi, missili e munizioni. E la premier Meloni cosa dice? 'Riarmo non è la parola adatta' per questo piano. Si preoccupa della forma e di come ingannare i cittadini. Ma i cittadini non sono stupidi! Giorgia Meloni come lo vuoi chiamare questo folle programma che, anziché offrire soluzioni ai bisogni concreti di famiglie e imprese, affossa l’Europa della giustizia e della civiltà giuridica per progettare l’Europa della guerra?". Lo scrive Giuseppe Conte sui social.
"I fatti sono chiari: dopo 2 anni e mezzo di spese, disastri e fallimenti in Ucraina anziché chiedere scusa agli italiani, Meloni ha chiesto a Von der Leyen di investire cifre folli in armi e spese militari dopo aver firmato sulla nostra testa a Bruxelles vincoli e tagli sugli investimenti che ci servono davvero su sanità, energia, carovita, industria e lavoro. Potremmo trovarci a spendere oltre 30 miliardi aggiuntivi sulle armi mentre ne mettiamo 3 scarsi sul carobollette".
"Stiamo vivendo pagine davvero buie per l’Europa. I nostri governanti, dopo avere fallito con la strategia dell’escalation militare con la Russia, non hanno la dignità di ravvedersi, anzi rilanciano la propaganda bellica. La conclusione è che il blu di una bandiera di pace scolora nel verde militare. Dai 209 miliardi che noi abbiamo riportato in Italia dall'Europa per aziende, lavoro, infrastrutture, scuole e asili nido, passiamo a montagne di soldi destinati alle armi".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Much appreciated". Lo scrive Elon Musk su X commentando un post in cui si riporta la posizione della Lega e di Matteo Salvini sul ddl Spazio e Starlink. Anche il referente in Italia del patron di Tesla, Andrea Stroppa, ringrazia via social Salvini: "Grazie al vice PdC Matteo Salvini per aver preso posizione pubblicamente".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Gianfranco Librandi, presidente del movimento politico “L’Italia c’è”, ha smentito categoricamente le recenti affermazioni giornalistiche riguardanti una presunta “coalizione di volenterosi” per il finanziamento di Forza Italia. Librandi ha dichiarato: “Sono tutte fantasie del giornalista. Smentisco assolutamente di aver parlato di una coalizione di volenterosi che dovrebbero contribuire al finanziamento del partito”.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Il vergognoso oltraggio del Museo della Shoah di Roma è l'ennesimo episodio di un sentimento antisemita che purtroppo sta riaffiorando. È gravissima l'offesa alla comunità ebraica ed è gravissima l'offesa alla centralità della persona umana e all'amicizia tra i popoli. Compito di ognuno deve essere quello di prendere decisamente le distanze da questi vergognosi atti, purtroppo sempre più frequenti in ambienti della sinistra radicale infiltrata da estremisti islamici , che offendono la memoria storica e le vittime della Shoah. Esprimo la mia più sentita solidarietà all'intera Comunità ebraica con l'auspicio che tali autentici delinquenti razzisti antisemiti siano immediatamente assicurati alla giustizia ". Lo ha dichiarato Edmondo Cirielli, Vice Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Meloni ha perso un'occasione rispetto a due mesi fa quando si diceva che sarà il ponte tra l'America di Trump e l'Europa e invece Trump parla con Macron, con Starmer e lo farà con Merz. Meloni è rimasta un po' spiazzata. Le consiglio di non essere timida in Europa perchè se pensa di sistemare i dazi un tete a tete con Trump, quello la disintegra. Meloni deve stare con l'Europa e Schlein quando le dice di non stare nel mezzo tra America e Europa è perchè nel mezzo c'è l'Oceano e si affoga". Lo dice Matteo Renzi a Diritto e Rovescio su Rete4.