La Turchia è il principale consumatore di petrolio dello Stato Islamico e la famiglia del presidente Tayyip Recep Erdogan è coinvolta nel traffico di greggio proveniente dalla Siria. Dopo le denunce dei giorni scorsi mosse dal presidente Vladimir Putin, cui il capo di Stato turco aveva risposto chiedendo di provare le accuse e dicendosi pronto a dimettersi laddove provate, il ministero della Difesa di Mosca è tornata a puntare il dito contro il governo di Ankara. Che ha risposto immediatamente: nessuno ha il diritto di “calunniare” la Turchia, ha detto Erdogan parlando in un’università a Doha, in Qatar: “Nel momento in cui potranno provarlo mi dimetterò, come dovrebbero fare quelli che non possono provare le loro accuse”. Le prove verranno presentate all’Onu, ha fatto sapere in serata da Belgrado il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov.

Gli Stati Uniti si schierano dalla parte della Turchia, Paese membro della Nato. Il Dipartimento di Stato Usa nega che ci sia qualunque tipo di legame che suggerisca un coinvolgimento della Turchia nei traffici sul contrabbando di petrolio con l’Isis. Lo riferisce il portavoce, Mark Toner. “Rifiutiamo categoricamente l’idea che la Turchia stia lavorando con l’Isis. E’ totalmente assurdo – ha affermato il portavoce del Pentagono Steve Warren – la Turchia partecipa attivamente ai raid della coalizione contro i jihadisti”, ha detto ancora Warren, che ha anche annunciato che l’unità delle forze speciali che gli Usa hanno annunciato di voler inviare in Iraq sarà composta da 100 uomini o poco meno. “Se i russi sono preoccupati per il petrolio dell’Isis, dovrebbero prendersela con Assad (presidente siriano, ndr), il più largo consumatore”, il commento del portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest.

A muovere le accuse contro la famiglia presidenziale erano stati i vertici militari di Mosca. “Oggi – ha detto in un briefing con i giornalisti il vice ministro della Difesa Anatoly Antonov – presentiamo solo alcuni dei fatti che confermano che un team di banditi ed elite turche che ruba il petrolio dai loro vicini opera nella regione”. “Secondo le nostre informazioni – ha aggiunto Antonov, che ha parlato di “enormi quantità di petrolio” che entrano in territorio turco attraverso migliaia di camion – la massima leadership politica del Paese, il presidente e la sua famiglia, è coinvolta in questo business criminale“, ha spiegato il viceministro senza però presentare elementi per sostenere la tesi, oltre alla nomina già nota del genero del presidente Berat Albayrak come ministro dell’energia e gli interessi economici del figlio di Erdogan, Bilal.

“Sono state individuate – ha detto il vice capo di Stato maggiore russo, Serghiei Rudskoi – tre rotte principali per il trasporto del petrolio verso il territorio turco dalle zone controllate dalle formazioni dei banditi”. Il petrolio estratto nei giacimenti intorno a Raqqa viaggia attraverso il percorso occidentale che arriva al Mediterraneo, ai porti di Dortyol e Alessandretta, passando dalla località di Azaz, la cittadina turkmena vicino al confine presa di mira nei raid russi dopo l’abbattimento del Sukhoi-24, e quindi dal punto di confine accanto a Reyhanli.

Il secondo percorso arriva dai pozzi di Deir ez-Zor, passa dal punto di confine con la Turchia di Kamisli e quindi alla raffineria turca di Batman (citata come Patma dal quotidiano economico russo Vedomosti), a cento chilometri dal confine. La strada orientale invece parte, sempre secondo le accuse di Mosca, dal nord est della Siria e dal nord ovest dell’Iraq ed è diretta allo snodo petrolifero turco vicino a Silopi e al confine con l’Iraq. In totale, ha spiegato Rudskoi, in questo traffico di petrolio dalla Siria e dall’Iraq sono impiegati almeno 850 camion.

A riprova delle accuse, nel corso del briefing sono state diffuse foto dei camion carichi di petrolio che attraversano la frontiera tra la Siria e la Turchia, video dei raid aerei contro i depositi dell’Is e mappe con i movimenti dettagliati del contrabbando. Rudskoi ha precisato che altre prove saranno pubblicate nei prossimi giorni sul sito del ministero. Dopo l’abbattimento, il 24 novembre scorso, di un caccia russo da parte delle Forze aeree turche con l’accusa di avere violato lo spazio aereo, Putin aveva accusato Ankara di averlo fatto perché il Sukhoi stava raccogliendo prove sul contrabbando.

A riprova della vicinanza tra la Turchia e l’Isis ci sono, poi, i numeri dei combattenti che raggiungono le file dello Stato Islamico passando per il confine turco. “Solo nell’ultima settimana” hanno raggiunto i gruppi dell’Isis e di al-Nusra, “fino a 2.000 militanti, oltre 120 tonnellate di munizioni e circa 250 mezzi di trasporto”, ha spiegato il capo del centro nazionale russo per la gestione della Difesa, Mikhail Mizintsev. “Secondo i nostri attendibili dati di ricognizione – ha detto il generale – la parte turca svolge azioni simili da tempo e regolarmente e, cosa più importante a nostro avviso, non intende smettere”.

Mosca ha anche rivendicato il ruolo delle proprie forze armate nella lotta contro gli uomini di Al Baghdadi. Dall’inizio dei raid lo scorso 30 settembre, ha spiegato Rudskoi, si sono significativamente ridotte per lo Stato islamico le entrate provenienti dal contrabbando di petrolio. Fino a due mesi fa “le entrate per questa organizzazione terroristica erano di 3 milioni di dollari al giorno, oggi sono di circa 1,5 milioni“, ha affermato il vice capo di Stato maggiore. “Negli ultimi due mesi sono stati distrutti 32 raffinerie di petrolio, 11 impianti petrolchimici, 23 complessi per il pompaggio del petrolio e 1.080 autocisterne“, ha detto Rudskoi.

Che ha puntato anche il dito contro gli Stati Uniti e la coalizione internazionale che da mesi bombarda in Siria e in Iraq, colpevole di aver “triplicato il numero di droni” ma di non colpire le autocisterne e le infrastrutture dell’Isis in Siria per la produzione e il commercio del petrolio.

I rapporti tra i due Paesi si fanno ancora più tesi, ma da Mosca arriva una prima apertura: Lavrov, capo della diplomazia del Cremlino ha detto che la Russia “non è contraria” a un incontro con il ministro degli Esteri turco a Belgrado a margine del vertice Osce del 3-4 dicembre come proposto da Ankara “in maniera insistente”.

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