La storia si ripete. Dopo che nel 2013 la cittadinanza della Baviera aveva detto ‘no’ con un referendum alla candidatura alle Olimpiadi dello sci del 2022 (tutte e quattro le località interessate si espressero negativamente, Monaco, Garmisch, Berchtesgaden, Traunstein), adesso Amburgo si è ritirata dalla candidatura alle Olimpiadi estive del 2024, sempre in seguito a un referendum che ha avuto esito negativo. Non sono casi isolati: anche Oslo e Cracovia rinunciarono alle olimpiadi invernali del 2022 e sempre a causa di un referendum che aveva avuto esito negativo per il comitato promotore.
Le grandi manifestazioni, si sa, possono mettere in ginocchio un paese e comunque hanno un effetto pesante su ambiente e territorio. Checché ne dicano i sostenitori, che di solito affermano essere le grandi manifestazioni un’occasione di rilancio per la località ospitante.
Germania, Norvegia, Polonia, si ritirano. L’Italia invece è sempre entusiasta di candidarsi così come è sempre refrattaria a far partecipare i propri cittadini alle scelte prese/calate dall’alto. Torino si è candidata alle Olimpiadi invernali del 2006, Milano all’Expo 2015, adesso Roma alle Olimpiadi del 2024. Si tratta di scelte importanti. Perché non promuovere un referendum consultivo per verificare cosa ne pensa la popolazione direttamente interessata?
L’istituto del referendum da noi è una Cenerentola. Che le amministrazioni lo promuovano per tastare il polso della situazione è pura utopia. Per quanto riguarda invece quello abrogativo, se i cittadini raccolgono le firme, talvolta gli amministratori abrogano addirittura la norma pur di non far celebrare la consultazione (come accaduto in Piemonte con la caccia), oppure, come spesso accade, non danno alcun rilievo alla stessa o invitano addirittura i cittadini ad astenersi dal voto, per far mancare il quorum. Eppure l’invito all’astensione è un reato, punito dall’art. 98 del Testo unico delle leggi elettorali (richiamato dall’art. 51 della legge sui referendum, la n. 352 del 1970) con la reclusione da sei mesi a tre anni. E comunque spesso i nostri politici fanno quel “dispetto” che costa milioni di euro ai cittadini che consiste nel non far celebrare nella stessa data consultazioni referendarie ed elezioni per garantirsi una minore affluenza al voto. Insomma, alla nostra classe dirigente anche solo la parola “referendum” fa venire l’orticaria.
Ma è tutta la democrazia diretta che dà fastidio presso questi lidi. Guardiamo alle proposte di legge di iniziativa popolare, per le quali, con il rinnovato art. 71 della Costituzione, sono necessarie ben 150.000 firme, e non più 50.000. Pensate che dal 1979 al 2014 ne sono state presentate ben 260. Di queste, 137 non sono neanche mai state discusse, e solo tre sono diventate legge, ma perché esistevano già testi presentati da parlamentari. Siamo in sostanza un paese democratico in cui la democrazia consiste nell’escludere la cittadinanza dalle decisioni della casta. Soprattutto quando sono lucrose come i grandi eventi sportivi.
E così, buon’ultima in ordine di tempo, Roma si candida fregandosene di cosa ne pensano i cittadini, anche se l’art. 10 dello statuto prevede la possibilità di referendum consultivi. Il Codacons, al riguardo, lo scorso settembre scrisse al sindaco Marino: “Restituendo ai cittadini la centralità perduta sulla scena politica, lo spazio smarrito della partecipazione pubblica e dell’espressione del proprio pensiero, l’indizione del referendum sulla candidatura di Roma rappresenterebbe di per sé una scelta di maturità democratica. Quella rottura necessaria per lasciare alle nostre spalle una tradizione, dura a morire, di ‘grandi eventi’ calati dall’alto, di kermesse planetarie che i cittadini sono tenuti a subire passivamente. È per questo che, a prescindere dall’esito finale, una cittadinanza libera di scegliere ha già vinto”. Parole cadute nel vuoto.
Roma si candida e il sito promotore, con a capo Luca Cordero di Montezemolo (alla sua quattordicesima presidenza, fonte Wikipedia), ha il suo slogan: “La più grande festa dello sport”. Nella sezione “Vision” campeggia una frase che ricorda il vocabolario di Renzi: “Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni” (!!!). E, tra le altre, l’affermazione: “Roma 2024 sogna di donare ai propri cittadini una città migliore e una migliore qualità della vita, che solo l’accelerazione di un evento così importante può contribuire a realizzare, così come è successo nella stessa Roma degli anni Sessanta e in tante altre città che hanno organizzato i giochi in passato.”
E’ però anche vero che spesso le grandi manifestazioni del passato sono state una debàcle: Torino, anche grazie alle Olimpiadi invernali, ha un debito pubblico di circa tre miliardi e mezzo di euro; la Grecia si è rovinata; Sochi è costata un patrimonio e ha avuto costi ambientali altissimi, per limitarsi a casi recenti.
Forniamo tutte le informazioni necessarie ai cittadini, magari anche ricordandogli che l’Italia è il paese più corrotto dell’occidente e che le grandi manifestazioni costituiscono un enorme flusso di denaro. Diciamogli questo e tanto altro e poi mandiamoli a votare e vediamo cosa dicono. Paura, eh?