Polizia e intelligence dei Paesi Ue avranno accesso per sei mesi ai dati di tutti i passeggeri che transitano negli aeroporti dell’Unione. Poi le informazioni saranno criptate, ma resterà possibile richiederli nel corso dei successivi quattro anni e mezzo dimostrando che ce n’è l’esigenza per indagini anti terrorismo o, in generale, inchieste giudiziarie. L’accordo sul cosiddetto Pnr (passenger name record), cioè il registro europeo dei dati dei passeggeri aerei, è stato raggiunto venerdì sera dai ministri dell’Interno europei, che hanno trovato un compromesso sulla proposta negoziata nel corso della settimana con il Parlamento europeo. A fronte della riduzione da nove a sei mesi del tempo in cui i dati saranno disponibili senza limitazioni, i 28 chiedono che siano inclusi nel registro i dati dei voli interni alla Ue, e non solo quelli esterni, aspetto fondamentale per la Francia a seguito degli attentati di Parigi. Sull’accordo dovranno ora esprimersi i deputati europei. “Si chiuderà definitivamente il 15 dicembre”, ha riferito il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, a margine dei lavori del Consiglio.
“E’ un sistema efficace e proporzionato, bilanciato fra la garanzia della sicurezza e la tutela della privacy dei cittadini”, ha spiegato il commissario Ue agli Affari interni, Dimitris Avramopoulos. L’accordo è stato ritenuto dai ministri utile a “prevenire, identificare, e perseguire minacce terroristiche e forme gravi di crimini”. Restano i dubbi sulla privacy, anche se l’Unità informativa sui passeggeri sarà soggetta a verifiche delle autorità che vigilino sul rispetto dei dati personali.
Secondo il garante della privacy Antonello Soro, intervistato dal Corriere della Sera, “è un accordo di compromesso, con alcuni aspetti positivi, ma mette insieme una quantità spropositata di dati, difficili da analizzare e paradossalmente difficili da proteggere dagli attacchi dei terroristi”. “E poi bisogna stare attenti a trovare il giusto equilibrio e la giusta proporzionalità“, “che tenga conto della quantità di dati, del tempo di conservazione, della selettività dei presupposti per l’accesso alle informazioni. Altrimenti si violano le sentenze della Corte di Giustizia europea. Ricordiamoci che nel 2014 la Corte ha invalidato la direttiva europea sulla Data retention, quella in vigore dal 2006″.