Dopo 150 anni alla Scala di Milano (blindata) torna una delle opere giovanili di Giuseppe Verdi, la Giovanna d’Arco. L’opera, che debuttò al teatro milanese la sera del 15 febbraio 1845, viene riesumata, nella sua versione integrale, dal nuovo direttore della Scala, il milanese Riccardo Chailly: “Abbiamo scelto Giovanna d’Arco – spiega il direttore rispondendo alle domande degli under 30 durante una delle prove aperte al pubblico – per un senso di ritorno al passato, un passato che non possiamo e non dobbiamo dimenticare”, attendendo così ai buoni propositi avanzati un anno addietro al momento del passaggio di mano dalla precedente direzione di Daniel Baremboim. “Non mancheranno comunque in futuro i titoli clamorosi per inaugurare le prossime stagioni, come è stato fatto all’inaugurazione di Expo con la Turandot di Puccini” aggiunge Chailly.
“Giovanna”, l’opera che anticipava i trionfi
Quanto alla Giovanna d’Arco, secondo Chailly, Verdi è stato “affascinato dalla particolarità e dalla complessità di un personaggio femminile come Giovanna d’Arco, così psicologicamente profonda”. Un’opera controversa sotto diversi aspetti, benché anticipatrice, sottolinea il direttore, di “molti elementi che troveremo in opere successive di Verdi, come i suoi Vespri Siciliani”. La Giovanna d’Arco, tratta da La Pulzella d’Orléans di Friedrich Schiller e riadattata, all’epoca, da Temistocle Solera in un libretto che scatenò a più riprese le aspre critiche degli studiosi, fu l’ultima opera che Verdi scrisse appositamente per la Scala prima di tornarvi, ormai 74enne e a distanza dunque di ben 42 anni, con la penultima delle sue opere teatrali, l’Otello. Scintilla del divorzio artistico tra Verdi e la Scala fu l’acredine che si venne a creare tra il cigno di Busseto e l’allora impresario del teatro milanese, Bartolomeo Merelli, la cui gestione del teatro era entrata in una clamorosa fase discendente irta di ingenti difficoltà economiche, anche a causa delle quali il risultato finale, la prima assoluta del 15 febbraio, non trovò la soddisfazione del grande operista, che ostinatamente si astenne dall’assistervi (ma non solo: pare le scene e i costumi furono motivo di continue e ripetute tensioni tra i due).
Un grande successo “pop”, composto in meno di un mese
Eppure, come tutte le cronache del tempo registrano, la Giovanna d’Arco andò incontro a un grande successo di pubblico, un successo sempre crescente che, nonostante i tempi di creazione assai ristretti (l’opera, in un prologo e tre atti, fu composta in meno di un mese, dal 9 dicembre 1844 al 6 gennaio 1845), la portò in breve sui palchi di numerosi altri teatri d’opera italiani: Firenze, Senigallia e poi a Roma, dove il titolo dell’opera, per motivi di censura, fu mutato in Orietta di Lesbo e l’ambientazione cambiata.
I registi: “Giovanna usata dalla destra francese, ma è un personaggio mistico”
Settima opera di Giuseppe Verdi, la Giovanna d’Arco che debutterà il 7 dicembre al Teatro alla Scala di Milano vede la regia di una formidabile coppia di registi, i francesi Patrice Caurier e Moshe Leiser: “Il testo – come sottolinea Caurier – presenta delle debolezze, debolezze che però abbiamo deciso non di nascondere ma di portare alla luce, rendendole veri e propri punti di forza”. Un personaggio, quello di Giovanna d’Arco, che, come precisa sempre il regista, “viene usato in questo preciso momento storico dall’estrema destra francese, mentre durante la seconda guerra mondiale era un vero e proprio simbolo di liberazione. Giovanna d’Arco è sempre stata utilizzata a scopi politici. Forse però, aldilà delle superficialità, quello di Giovanna d’Arco è un personaggio mistico, profondamente religioso, perciò è inutile farne un personaggio d’attualità, ricollegandolo agli eventi odierni e privandolo così del suo senso più profondo”.
Musicisti, solisti e coristi: 130 per la Prima
Sul palco saliranno 130 persone. I cantanti solisti sono il soprano Anna Netrebko (Giovanna), il tenore Francesco Meli (Carlo VII), il baritono Carlos Alvarez (Giacomo), il basso Dmitry Beloselskiy (Talbot) e il tenore Michele Mauro (Delil). Poi ci saranno 105 coristi e 20 mimi mentre in “buca” siederanno 75 maestri d’orchestra diretti da Riccardo Chailly cui si aggiungono 20 elementi per il complesso musicale di palcoscenico.
La scenografia: “Un lavoro per sottrazione”
Grande ed estremamente minuzioso è stato poi il lavoro, iniziato già a partire dalla fine del mese di maggio scorso, sulle scenografie che, come specifica il capo scenografo realizzatore Stefania Cavallin, “solo inizialmente sembravano semplici e invece hanno richiesto una ricerca e uno studio totali, in un lavoro che possiamo definire per ‘sottrazione’, togliendo invece di aggiungere”. Firmata da Christian Fenouillat, la scenografia colloca l’intera vicenda in una stanza da letto ottocentesca che però si apre per accogliere le “visioni” della protagonista: tra i vari elementi scenici anche una ricostruzione della Cattedrale di Reims alta 8 metri e mezzo.