L’operazione di rientro dei capitali nascosti al fisco varata un anno fa dal governo Renzi ha fruttato alle casse dell’Erario 3,8 miliardi di euro di gettito tra tasse non pagate e sanzioni. A prima vista un successo, visto che a metà ottobre, in sede di varo della legge di Stabilità, l’esecutivo aveva diffuso una stima “prudenziale” pari a 2 miliardi, pur annunciando che si attendeva entrate maggiori. Ma, a conti fatti, si scopre che i 129.565 contribuenti che si sono autodenunciati hanno versato, in media, solo il 6% delle cifre regolarizzate, che ammontano a quasi 60 miliardi. La percentuale è ben inferiore rispetto a quelle a doppia cifra paventate dai commercialisti. Forse perché nel frattempo il governo, proprio con l’obiettivo di far decollare la voluntary disclosure, ha incentivato l’adesione consentendo a chi ha sanato irregolarità fiscali commesse prima del 2009-2010 di farlo senza pagare nulla.
Vieri Ceriani, consigliere del ministero dell’Economia per le politiche fiscali, ha tuttavia rivendicato che l’operazione “non è confrontabile con gli scudi fiscali” in quanto “tutte le imposte dovute sono pagate”. “C’è uno sconto sulle sanzioni – ha precisato – ma non sulle imposte”, anche se “viene meno la punibilità penale”. Anche il viceministro dell’Economia Luigi Casero ha tenuto a ribadire che “non è un condono”, per poi sostenere “i contribuenti presentano tutti i propri dati, il che fa nascere un rapporto fiduciario tra il contribuente e il fisco”.
La direttrice dell’Agenzia delle entrate, Rossella Orlandi, si è detta comunque soddisfatta: “Siamo passati da un sistema come quello degli scudi fiscali in cui il prezzo era la mancata conoscenza da parte del fisco a un sistema di totale trasparenza, che permette anche l’individuazione di fattispecie di tutt’altra natura” rispetto all’evasione fiscale, ha spiegato. “Abbiamo costruito un fascicolo elettronico per ciascuno dei contribuenti con tutta la storia di questo contribuente. Questo ci permetterà di avere una tracciatura completa delle situazioni emerse e dal riscontro di queste situazioni con gli altri dati”.
Tornando ai numeri diffusi dal Tesoro, 127.348 istanze hanno riguardato soldi occultati all’estero e le altre 2.217 capitali detenuti in Italia ma non dichiarati. La base imponibile emersa è di 59,6 miliardi, di cui 41,5 erano in Svizzera, 4,6 miliardi nel principato di Monaco, 2,2 alle Bahamas e 1,3 a Singapore. Seguono Lussemburgo e San Marino. Fabrizia Lapecorella, capo del dipartimento finanze del Tesoro, ha detto che circa 16 miliardi sono rientrati in Italia. Alla stima “prudenziale” dei 3,8 miliardi di gettito si arriva sommando imposte sui redditi per oltre 704 milioni, imposte sostitutive per circa 1,2 miliardi, Iva per più di 54 milioni, Irap per 34 milioni, ritenute per oltre 15 milioni e contributi per 96 milioni. A questi importi si aggiungono sanzioni relative a violazioni della normativa sul monitoraggio fiscale per 1,38 miliardi altre sanzioni per 322 milioni.
Va ricordato che una parte della somma recuperata è già impegnata: 1,4 miliardi Palazzo Chigi ha deciso di usarli per sterilizzare la clausola di salvaguardia sulla reverse charge, che altrimenti avrebbe fatto aumentare le accise sulla benzina fino a totalizzare 728 milioni di euro, e gli oneri (671 milioni) legati all’abolizione dell’Imu decisa nel 2013 da Enrico Letta.