La Cassazione ha confermato in via definitiva la condanna a 16 anni per l’omicidio di Chiara Poggi, mettendo la parola fine a una vicenda giudiziaria che dura ormai da otto anni. Alberto Stasi si è consegnato in carcere poco dopo la decisione della V Sezione Penale che ha respinto sia il ricorso di Alberto Stasi che quello della procura generale di Milano che chiedeva per Stasi una condanna a 30 anni, includendo l’aggravante della crudeltà dell’omicidio. Durante le indagini preliminari Stasi non è mai stato posto in custodia cautelare, motivo per cui ora dovrà scontare per intero la pena.

“Sono emozionata” ha commentato Rita Poggi, la madre di Chiara, “dopo le parole del procuratore eravamo un po’ pessimisti, ma giustizia è stata fatta“. Anche se, ha aggiunto la signora Poggi, “non bisogna mai dimenticare che questa è una tragedia che ha colpito due famiglie”. “Otto anni per avere una sentenza definitiva sono tanti”, ha sottolineato la madre di Chiara, “ma in tutto questo tempo non abbiamo mai pensato di mollare e di rinunciare a chiedere la verità“. “Forse questo sarà un Natale diverso, dopo questa sentenza proviamo sollievo” ha concluso.

La richiesta del procuratore generale Oscar Cedrangolo di annullamento della sentenza, arrivata venerdì, aveva spiazzato tutti, facendo riemergere la paura di un nuovo capitolo in un processo senza fine. Il legale di Stasi, Fabio Garda, che ora dovrà comunicare al suo assistito la decisione della Corte Suprema, ha definito la condanna “una cosa allucinante”. “Quanto detto ieri dal pg è la realtà dei fatti”, ha aggiunto l’avvocato, “è una pena che non sta né in cielo né in terra, come ha detto il pg, se uno ha fatto una cosa del genere deve avere l’ergastolo”. “Come si fa a mettere in carcere una persona quando c’è una sentenza che è completamente illogica”, ha concluso.

Dopo 8 anni, la vicenda giudiziaria che sembrava infinita è finita: un anno fa dopo due assoluzioni in primo e secondo grado, la condanna a 16 anni, arrivata dopo 7 anni di processo. Il 24 novembre il sostituto procuratore genarale, Laura Barbaini, aveva chiesto 30 anni includendo l’aggravante della crudeltà, esclusa nella sentenza degli ermellini, che avevano applicato lo sconto per il rito abbreviato, pari a un terzo della pena. Stasi era stato anche condannato a versare 350 mila euro di risarcimento a ciascuno dei genitori di Chiara e 300 mila euro al fratello Marco, in totale un milione di euro.

Era il 13 agosto 2007 quando Alberto Stasi, studente della Bocconi, chiamò il 118 per denunciare la morte della fidanzata Chiara Poggi, 26 anni, massacrata nella villetta di Garlasco, dove la ragazza viveva con la famiglia. “Un’ambulanza in via Giovanni Pascoli a Garlasco”, “credo abbiano ucciso una persona. Ma forse è viva… non lo so”, disse all’operatore. Quando i soccorsi arrivarono il cadavere era riverso sulle scale della cantina con il cranio fracassato.

Due giorni dopo il funerale, il 20 agosto, Alberto Stasi riceve un avviso di garanzia: il reato contestato è quello di omicidio volontario. Poi la perquisizione della casa, i sequestri delle sue tre auto e due biciclette, il cambio degli avvocati e il ritrovamento di tracce del Dna compatibile con quello di Chiara che portano alla firma del fermo per omicidio volontario da parte del pm Rosa Muscio, non convalidato dal gip, Giulia Pravon, in mancanza di prove.

Infine gli appelli, che sembravano non finire più. L’assoluzione in primo e secondo grado: nel 2009 per “mancanza di prove”, confermata nel 2011, annullata nel 2013 e rovesciata il 17 dicembre 2014 con la condanna a 16 anni, confermata, infine oggi.

 

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