In oltre nove casi su dieci (il 91%) le fidejussioni che Banca Etruria accettava da coloro che chiedevano un prestito erano “prive di efficacia ai fini del recupero, anche a causa della mancanza di monitoraggio sui beni degli stessi (garanti, ndr)”. Quando poi quei crediti si dimostravano difficili da riscuotere, bussare alla porta dei debitori non era propriamente una priorità: l’ufficio che avrebbe dovuto occuparsene era “inadeguato” perché contava solo “19 dipendenti” responsabili “ognuno di 550 pratiche”. Non stupiscono dunque gli “insufficienti risultati” raggiunti, mentre le partite anomale conoscevano una “imponente crescita”. Così, come riporta Repubblica, annotavano gli ispettori di Bankitalia nella relazione datata febbraio 2015, quella a fronte della quale si preparano a comminare nuove multe dopo quelle dello scorso anno. Intanto la procura di Arezzo guidata da Roberto Rossi, su cui a sua volta il Csm ha aperto un fascicolo per verificare l’eventuale incompatibilità legata al suo ruolo di consulente del governo, ha aperto un fascicolo per omesso controllo da parte degli organi di vigilanza, cioè la stessa Bankitalia e la Consob, sulla vendita di strumenti rischiosi come le obbligazioni subordinate (azzerate dal decreto salva banche) a risparmiatori che non ne comprendevano i rischi.

Gli ispettori di via Nazionale sono rimasti dall’11 novembre 2014 al 27 febbraio di quest’anno nell’istituto, il cui ex presidente Lorenzo Rosi e l’ex consigliere Luciano Nataloni sono indagati dalla procura di Arezzo per conflitto di interessi. E hanno verificato che i 13 ex amministratori e i cinque ex sindaci cumulavano in tutto 198 posizioni di fido per un totale di 185 milioni di euro. Fidi che in molti casi, evidentemente, la banca concedeva accontentandosi di fidejussioni “fantasma”. Ne hanno ricevuti, per esempio, le società riconducibili a Rosi che si occupano dello sviluppo di outlet, tra cui quello in progetto a Fasano con la consulenza di Tiziano Renzi, padre del premier. E nei casi di conflitto è coinvolto anche l’ex vicepresidente della banca Pier Luigi Boschi, padre del ministro delle Riforme: il suo nome, secondo il quotidiano di Largo Fochetti, compare due volte nelle quattordici pagine del documento firmato dall’ispettore Giordano Di Veglia. Per lui vengono chieste due sanzioni, per “carenze nel governo, gestione e controllo dei rischi e connessi riflessi sulla situazione patrimoniale” e per le “politiche e prassi di remunerazione e incentivazione”.

Il verbale si conclude con una valutazione “sfavorevole” con punteggio massimo in una scala da uno a sei. Questo dopo che già due anni prima il governatore di via Nazionale Ignazio Visco aveva scritto, in una lettera segretata spedita al consiglio di amministrazione, che la banca risultava travolta “in modo irreversibile” da un “progressivo degrado” in corso da ben 11 anni

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