Extra costi e omissioni. Il gran pasticcio delle bonifiche di Expo si può semplificare così. Si pensava costassero 6 milioni di euro e invece sono già costate 73. La società guidata da Giuseppe Sala ha anticipato i soldi e avrebbe dovuto rivalersi su Arexpo, la società proprietaria dei terreni, che a sua volta dovrebbe farsi restituire il denaro dai precedenti proprietari privati. Ma la catena si è interrotta subito: Sala, in procinto di lasciare l’incarico per dedicarsi alla corsa da aspirante sindaco, non ha mai chiesto indietro nulla, nonostante parte delle bonifiche sia stata portata a termine già nel 2013.
Ma non finisce qui. Da realizzare ci sono ulteriori lavori di decontaminazione perché un provvedimento di urgenza preso da Sala in qualità di commissario unico ha consentito di tollerare durante l’esposizione soglie di inquinamento valide per terreni industriali. Ma tali soglie adesso non sono più accettabili, visto che al posto dei padiglioni temporanei sorgeranno edifici permanenti dove la gente deve vivere e lavorare ogni giorno.
La questione è talmente complessa che da settimane ci si stanno arrovellando sopra anche i tecnici del ministero dell’Economia: sono loro a dover stimare quanto i costi di bonifica pesino sul valore delle aree e valutare di conseguenza quanto il governo deve spendere per entrare in Arexpo, la società al momento partecipata da comune di Milano, regione Lombardia e dal socio privato Fondazione Fiera Milano. Con un rischio incombente: che alla fine i costi rimarranno su Expo spa, che come società pubblica li farà ricadere sui cittadini, anziché sui vecchi proprietari privati, in particolare la famiglia Cabassi e la stessa Fondazione Fiera.
La prima e unica mossa di Sala per evitare che ciò accada è arrivata solo a ottobre, con due anni di ritardo: è una lettera, inviata ad Arexpo dopo una serie di accessi agli atti della consigliera regionale lombarda del M5S Silvana Carcano, in cui il commissario unico propone di discutere delle bonifiche in occasione del “prossimo tavolo di monitoraggio”. Ma dopo due mesi questo tavolo non è ancora stato convocato. Sala ha iniziato a dedicarsi agli incontri di pre campagna elettorale. Expo, contattata da ilfattoquotidiano.it, fa sapere che è ancora “in corso un approfondimento sulle singole voci per la definizione della corretta imputazione delle spese”. Mentre ad Arexpo il silenzio conviene, visto che tra i suoi soci, oltre a comune di Milano e regione Lombardia, c’è appunto Fondazione Fiera Milano, uno dei vecchi proprietari su cui ricadrebbero i costi di bonifica.
Il no di Fondazione Fiera e le omissioni di Sala
Dopo la lettera di Sala, il presidente della fondazione Benito Benedini ha messo nero su bianco in una lettera del 19 ottobre di non volerne sapere nulla dei 67 milioni non preventivati: “Tali valori, riferibili ad attività svolte da Expo e non meglio precisate, non riguardano il tema bonifiche e nulla hanno a che vedere con gli accordi sottoscritti tra Arexpo ed Expo”. È vero, nell’accordo firmato dalle due società nel 2012, si fa esplicito riferimento solo ai 6 milioni di costi già preventivati. Ma si dice che eventuali eccedenze “formeranno oggetto di valutazione in buona fede tra le parti”. E Benedini fa finta di non sapere che le attività extra sono state effettuate da Expo per portare via dal sito rifiuti e terre inquinate, in modo da smaltirle in discarica.
Benedini fa poi riferimento ai 6 milioni messi in preventivo. Di questi sono di pertinenza dei terreni ceduti da Fondazione Fiera 2,2 milioni, che Arexpo, nell’atto di compravendita, si era impegnata a rendicontare entro 60 giorni dal completamento dei lavori di bonifica. I lavori sono terminati nel 2013, ma da allora a Fondazione Fiera non è mai stato presentato il conto. Come mai? La difesa del presidente di Arexpo Luciano Pilotti è facile: “Expo non ha mai rendicontato nulla a noi”. Sala ha sinora omesso di farlo, dunque. Così come Alessandro Molaioni, un tempo vice del manager arrestato Angelo Paris e oggi colui che ha in mano i conti delle bonifiche. Il tutto nell’indifferenza di comune e regione, che sono soci sia di Arexpo che di Expo. E con Fondazione Fiera che ha così buon gioco nel suo doppio ruolo: vecchia proprietaria dei terreni e nuova proprietaria attraverso Arexpo di parte degli stessi.
Il conflitto di interessi di Fondazione Fiera e la clausola speciale inserita nel contratto
Il conflitto di interessi della fondazione non si limita a questo. E si è reso evidente sin da subito. Basta dare un’occhiata all’atto di compravendita dei terreni, dove si legge che non sarà a carico di Fondazione Fiera “ogni onere inerente le operazioni di bonifica per l’adeguamento ad un uso differente dall’attuale destinazione catastale delle aree”. In sostanza Arexpo ha concesso al suo socio di non pagare le bonifiche che ancora devono essere eseguite per consentire la realizzazione del futuro progetto del post Expo. Una clausola di favore che non è presente negli altri atti, come quello siglato con la società Belgioiosa dei Cabassi. Così non ci sono solo le spese passate che rischiano di pesare sulle casse pubbliche, e quindi sui cittadini. Ma anche le spese future.
Inquinata anche la falda acquifera
I costi di bonifica non sono l’unico nodo da sciogliere. In base a una serie di documenti dell’Arpa recuperati dal M5S, anche la falda acquifera in prossimità del sito è risultata contaminata da sostanze inquinanti. “Temiamo che questo possa pregiudicare lo sviluppo dei futuri progetti sull’area, così come la presenza nelle vicinanze di alcuni stabilimenti a elevato rischio chimico – dice la consigliera Silvana Carcano –. Insieme ai parlamentari del M5S chiederemo di fare un incontro sulle criticità ancora irrisolte con Expo, Arexpo, comune, regione e governo”. E proprio al governo sono ora in mano le decisioni sul post Expo, dopo lo stanziamento di 50 milioni per l’ingresso in Arexpo. Con Fondazione Fiera che spera di vendere all’esecutivo tutte le sue quote e passare subito all’incasso. Tenendo i costi di bonifica ancora sotto silenzio.