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Heidegger, la verità sui “Quaderni neri” e l’antisemitismo

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Dopo la volta del “si dice” sulla relazione amorosa clandestina del Filosofo dell’Essere con la sua allieva Hannah Arendt, è ora la volta del gossip infinito su Heidegger e l’antisemitismo. Chiacchiera, equivoco e curiosità colpiscono ancora. La pubblicazione dei cosiddetti Quaderni Neri (Schwarze Hefte), recentemente apparsi in parte anche in Italia (Bompiani, 2015), ha dato il via alla danza del nuovo “si dice”.

La posta in palio, a ben vedere, non è solo la delegittimazione integrale del più grande filosofo del Novecento: è l’integrale messa al bando del “pensiero metafisico” e della tradizione ermeneutico-continentale, già da tempo sotto scacco. La filosofia, se vuole continuare a esistere, è chiamata a riconvertirsi in “filosofia analitica”, cioè in un sapere che programmaticamente si preclude la possibilità di pensare e di dire la storicità (in ciò coerente con il dogma dell’end of history).

Altra cosa, naturalmente, è il discorso serio sul pensiero di Heidegger. È la filosofia di Heidegger ab intrinseco nazista? È il suo pensiero antisemita? Domande vecchie, che tornano attuali con la nuova pubblicazione. Che i Quaderni neri siano costellati da espressioni volgarmente antisemite è innegabile. Ma non è certo Heidegger il solo a macchiarsi di questa colpa, essendo invece l’antisemitismo nelle sue forme più volgari il pregiudizio di un’intera cultura, di cui Heidegger è figlio. L’antisemitismo non è forse radicatissimo nella cultura cattolica dell’epoca?

Riconoscere gli errori e, se vogliamo, le volgarità di alcuni passaggi dei Quaderni neri è legittimo e anche doveroso: illegittimo è, tuttavia, pensare di poter liquidare la filosofia di Heidegger in nome di quelle volgarità; ché sarebbe come pretendere di gettare a mare la metafisica di Aristotele in ragione del fatto che lo Stagirita difese la schiavitù.

Il bel libro di Donatella Di Cesare (Heidegger e gli ebrei, Bollati Boringhieri, Torino 2015) ricostruisce con precisione i passaggi incriminati dei Quaderni neri, mettendo peraltro in luce i pregiudizi antisemiti di cui si sostanzia la grande cultura tedesca (da Fichte a Nietzsche, da Kant a Hegel).
Si tratta di passi chiari e inequivocabili, che non vanno giustificati, ma che neppure bastano a giustificare l’abbandono del pensiero di Heidegger (e lo dice anche chi, come lo scrivente, non è heideggeriano, collocandosi invece stabilmente nel solco della dialettica hegelo-marxiana).

D’altro canto, non sono solo gli ebrei nei Quaderni neri ad essere duramente attaccati da Heidegger. Come suggerito da Trawny (Heidegger e il mito della cospirazione ebraica, 2015), leggendo i Quaderni neri si ricava l’impressione che Heidegger desideri tracciare una sorta di tassonomia dei popoli in relazione alla “storia dell’essere” e al rapporto con la tecnica; tassonomia in forza della quale, da un lato, vi sono gli agenti della “macchinazione” (Machenschaft) e dell’oblio dell’essere (americanismo, bolscevismo, comunismo, ebraismo, Marx), fautori dell’internazionalismo e dello sradicamento planetario; e, dall’altro, abbiamo i luoghi dell’inizio e del superamento della metafisica, i Greci all’inizio della storia occidentale e i Tedeschi nella fase del “compimento” (Vollendung) della metafisica.

Occorre rilevare come l’ordito degli Schwarze Hefte sia, in verità, alquanto complesso, non solo per via dell’assenza di un’unitarietà sistematica, ma anche in forza della presenza di affermazioni tra loro contrastanti, che rendono ardua l’elaborazione di un’interpretazione coerente.
Come suggerito da Von Herrmann, l’imputazione dell’erranza metafisica all’ebraismo coesiste, ad esempio, con passaggi di ferma e inequivocabile condanna del nazionalsocialismo e delle politiche hitleriane: der Nationalsozialismus ist ein barbarisches Prinzip (GA, 94, p. 194), scrive testualmente Heidegger (letteralmente: “il nazionalsocialismo è un principio barbarico”). E lo dice condannando anche “l’irresponsabile mala essenza con la quale Hitler infuriava per l’Europa” (GA, 97, p. 244).

Sempre a proposito del Führer, Heidegger si spinge a condannare senza mezzi termini das verbrecherische Wesen Hitlers, “l’essenza criminale di Hitler” (GA, 97, p. 460). Lo stesso concetto di razza sembra da Heidegger essere in certa misura respinto, in quanto espressione del soggettivismo metafisico, “ultima propaggine del cogito, ergo sum”, e dunque coerente con l’essenza della tecnica stigmatizzata dal pensatore di “Essere e Tempo”.
Insomma, il quadro è decisamente più complesso e articolato di come venga restituito dal gossip giornalistico e dal “si dice” mediatico, che ha già emesso la sua sentenza su Heidegger ed è in cerca sempre e solo di conferme. Ed è come se Heidegger l’avesse anche previsto, se si considera che egli stesso così scrive: “‘la filosofia heideggeriana’ – verrà, se mai ci sia qualcosa del genere, sempre solo rappresentata dagli altri, vale a dire ridotta a un punto fermo e calpestata fino all’annientamento” (Quaderni neri, Bompiani 2015, p. 243).

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