E adesso scopriamo che la Grecia approva le unioni civili. I voti a favore sono stati 193. Solo 56 i voti contrari. Così si è espresso Tsipras: “messa la parola fine a un periodo di arretratezza”. Di più, ha chiesto pubblicamente scusa ai gay per i diritti negati in passato.
Eppure, se si pensa alla Grecia, viene naturale ritenere che le priorità possano essere altre; e che l’“arretratezza” a cui porre fine sia anzitutto quella di un sistema economico che, grazie al debito e alle politiche volute e astutamente gestite dalla Banca Centrale, ha prodotto nella terra che fu di Platone un vero e proprio genocidio finanziario.
Insomma, oltre che per i diritti negati in passato, non sarebbe poi una cattiva idea scusarsi anche per quelli negati nel presente (sanità e diritti sociali in primis), magari operando fattivamente per porre rimedio alla situazione; ciò che – nessuno può negarlo – Tsipras non si è rivelato in grado di fare, pur avendone avuto l’occasione (estate 2015). E allora, non in grado di andare ad agire sul nesso di forza economico e sulla violenza finanz-capitalistica, Tsipras ha scelto la via del contentino e del ripiego: unioni civili libere.
In fondo, le unioni civili non vanno nemmeno a sfiorare i rapporti di forza e, di più, possono anche essere un buon distrattore di massa, tale da far credere che vi siano emancipazione e progresso quando invece regnano sovrani la miseria e lo sfruttamento, la violenza economica e l’erosione dei diritti sociali.
Diciamolo apertamente: nella Grecia commissariata dalla troika e sottomessa alle sacre leggi del debito, eterosessuali e omosessuali potranno ora sposarsi liberamente, ma non avranno un lavoro né la sanità garantita, grazie alle politiche della troika e del “ce lo chiede l’Europa”.
I diritti civili senza i diritti sociali sono pura formalità astratta. La vera emancipazione consiste nell’unione di diritti civili e di diritti sociali, e non nell’impiego dei diritti civili come alibi per nascondere e giustificare la distruzione in atto di quelli sociali. Le logiche del classismo sono anche quelle per cui – come sapeva bene Pasolini – si valorizzano diritti sempre e solo coerenti con l’ordine dominante, tali da non andare mai a toccare la sostanza economica classista: di più, creando l’illusione che quei diritti siano il non plus ultra dell’emancipazione.
Il solo orizzonte emancipativo che l’odierno “tempo della miseria” (Hoelderlin) sembra potersi permettere coincide con l’individuo sovrano e monadicamente isolato in se stesso, portatore di diritti individuali e privo di ogni diritto sociale, senza legami che non siano le catene che lo vincolano al circuito dello scambio e del consumo, della produzione fine a se stessa e della crescita infinita. È questa la cifra dell’odierno “blocco storico”, unione ideologica di intrasformabilità delle strutture economiche e sociali e di tutela di un minimalismo rivendicativo dei diritti individuali.
Astrattamente, tutto tende a diventare possibile, in coerenza con l’abbattimento di ogni autorità operato dall’estensione illimitata della forma merce e dei flussi transnazionali del mercato finanziario. Ma, in concreto, quasi nulla finisce per essere possibile, poiché la possibilità virtuale senza limiti trova nell’autorità del valore di scambio la propria frontiera insuperabile.
Così, astrattamente, ciascuno si potrà sposare con chi vuole, ma, in concreto, pressoché nessuno potrà sposarsi, complici le condizioni precarie e flessibili del lavoro e, con esso, degli stili di vita.
Insomma, l’emancipazione non consiste nel fatto che due individui (omosessuali o eterosessuali che siano) possano astrattamente vedere giuridicamente riconosciuta la loro relazione: l’emancipazione consiste, invece, nel fatto che essi possano avere un lavoro garantito e un salario, diritti sociali e tutele, di modo che la loro relazione, oltre a essere riconosciuta in astratto, possa anche esistere in concreto.