“Non è vero che la nuova banca non risponde per quanto accaduto nel vecchio istituto di credito, perché c’è continuità nei rapporti fra il passato e il futuro”. Lucio Golino, avvocato specializzato nei temi della tutela del risparmio e vicepresidente dell’Adusbef, smonta così la tesi secondo cui le “good bank” subentrate a Etruria, Marche, Cariferrara e Carichieti non possano essere oggetto delle pretese dei precedenti soci e obbligazionisti subordinati, come vorrebbe il presidente Roberto Nicastro. “Se nella nuova realtà si trasferiscono i rapporti attivi come conti correnti o i contratti di deposito titoli, allora succedono anche gli obblighi contrattuali e quindi anche gli inadempimenti”, precisa l’avvocato dell’associazione dei consumatori, in prima linea nella battaglia a difesa dei risparmiatori truffati. Con queste premesse, si annuncia un duro braccio di ferro per i sottoscrittori di prodotti subordinati che, in conseguenza della linea intrapresa dall’esecutivo e da Nicastro, dovrebbero contare solo sul fondo ad hoc che ha una dotazione di appena cento milioni. Intanto più passa il tempo dal decreto Salva-banche, più si allunga la lista degli espedienti messi in atto dagli istituti di credito per truffare migliaia di risparmiatori. Complice anche la fiducia dei clienti nelle banche e nei loro impiegati, soprattutto nelle realtà di provincia dove il legame con il territorio è più intenso e fa abbassare la guardia al compratore.
Per i piccoli risparmiatori danno e beffa: rendimento più basso per “camuffare” il rischio – Qualche esempio concreto? Da uno studio di Bankitalia sulle 29 emissioni di bond subordinati delle quattro banche salvate per decreto emerge che i titoli piazzati tra i piccoli risparmiatori erano stati studiati ad hoc per non dare nell’occhio. Banca Etruria, per esempio, offriva obbligazioni subordinate a tasso fisso per 5 anni con un rendimento contenuto: il 3,5 per cento. Che indirettamente indicava una bassa rischiosità del titolo, visto che il rendimento è appunto il “premio al rischio” che l’investitore si assume. A uno sguardo superficiale, dunque, quei prodotti apparivano sicuri, al punto di essere paragonabili a Btp di pari durata. Ma in realtà con i buoni del Tesoro non avevano nulla in comune. Come se non bastasse, poi, la banca usava due pesi e due misure nella vendita dello stesso strumento: agli investitori istituzionali, consapevoli dei rischi, l’istituto offriva rendimenti più elevati. Ai piccoli risparmiatori, invece, andavano ritorni più bassi probabilmente proprio per non destare sospetti e dubbi. E Banca Etruria non era affatto un’eccezione. Lo conferma il fatto che a giugno 2013 anche Banca Marche ha emesso titoli subordinati con un rendimento a 10 anni del 12,5%, contro il 4,52% del Btp di pari durata, finiti tutti nei portafogli degli istituzionali, mentre solo sei mesi prima era stato collocato al pubblico retail, cioè le famiglie, un subordinato analogo ma con un rendimento del 6 per cento. Molto più basso di titoli analoghi di altri istituti più solidi.
I profili modificati da Banca Etruria all’insaputa di un centinaio di clienti – Ma le magagne per mantenere in piedi gruppi decotti a causa di prestiti allegri e mala gestione non si fermano certo a questo. Dall’indagine sul suicidio del pensionato Luigi D’Angelo in corso ad Arezzo stanno emergendo ogni giorno nuovi tasselli: la Popolare dell’Etruria, ad esempio, avrebbe anche modificato i “profili” di un centinaio di risparmiatori di Civitavecchia redatti ai sensi della direttiva europea Mifid per renderli compatibili con investimenti ad alto rischio. In questo modo i clienti, che non hanno dato alcuna autorizzazione alla modifica e non hanno mai dichiarato di essere pronti a rischiare i loro soldi in vista di un potenziale guadagno, risultano responsabili della scelta azzardata. Come sia stato possibile lo suggerisce il racconto fatto al Corriere della Sera dal figlio di una cliente della provincia di Arezzo: la madre, casalinga novantenne, è stata chiamata al telefono da un impiegato della banca che le ha proposto di acquistare 75mila di obbligazioni subordinate. E, visto che la signora era malata, i “fogli” sono stati firmati dall’altro figlio, disabile al 100% e come lei non in grado di capire che il capitale avrebbe potuto evaporare, come poi è accaduto. Anche un’altra risparmiatrice, stavolta di Chiusi, ha riferito di aver ricevuto una telefonata dal direttore della filiale che le consigliava di “mettere in obbligazioni” i 26mila euro ricavati dalla vendita della “casetta del babbo”. Con la rassicurazione che “in ogni momento avrebbe potuto prenderli”. Fino a quando “mi ha chiamato e ha detto: quei titoli sono azzerati“.
Consob ha consentito la vendita ai “piccoli” di bond adatti agli istituzionali – Per il ministro Pier Carlo Padoan siamo di fronte a chiari casi di “asimmetria informativa”: la banca cioè sa bene che cosa vende ed è in conflitto d’interesse quando piazza le sue obbligazioni al parco buoi, mentre il risparmiatore acquista senza conoscere i limiti del prodotto. “Le autorità devono aiutare (…) gli investitori retail, cioè i cittadini normali, a riequilibrare un po’ il terreno di gioco accrescendo la propria conoscenza finanziaria”, ha aggiunto il ministro. I fatti però dimostrano che le autorità di vigilanza agiscono tardi e male. Con il risultato che la corretta informazione resta una chimera. Tornando a Banca Etruria, per esempio, nel 2013 l’istituto ha confezionato e piazzato obbligazioni subordinate per 110 milioni di euro con l’approvazione di Palazzo Koch, che però nella lettera in cui dava il via libera all’emissione specificava che “erano titoli adatti agli investitori istituzionali”. Le cose sono andate diversamente anche grazie alla Consob: l’autorità guidata da Giuseppe Vegas ha autorizzato il prospetto sulla base del quale la banca ha poi venduto i titoli ai piccoli risparmiatori. Magari al posto di bond senior (più sicuri) che nel frattempo stavano andando in scadenza, come testimonia una email scritta il 4 giugno 2013 dal responsabile Private del gruppo e pubblicata dal Sole 24 Ore: “Vi ricordo che per il collocamento di questa obbligazione (…) avete a disposizione tutte le scadenze di obbligazioni/time depo di questi giorni, tutti i titoli in plusvalenza, tutti i titoli obbligazionari della banca (specialmente se a bassa cedola e scadenza breve) presenti nei portafogli dei clienti che reputiate opportuno vendere anticipatamente per sostituirli con la subordinata”, vi si legge.
Per questi motivi la procura di Arezzo ha aperto un’indagine per truffa sull’intera filiera di emissione di obbligazioni subordinate acquisendo il prospetto depositato in Consob il 22 aprile 2013 e approvato dall’autorità di vigilanza. Così come il primo supplemento, diffuso a giugno: i piccoli risparmiatori che avessero letto dall’inizio alla fine quelle 35 pagine avrebbero appreso, tra l’altro, che ben il 29% dei crediti erogati dalla banca (ben più della media italiana) risultava “deteriorato”, cioè difficile o impossibile da riscuotere.
La mission impossible del risparmiatore: 48 ore per vendere i titoli a rischio. Sotto Natale – Purtroppo per i piccoli risparmiatori, non è stato l’unico caso in cui le autorità non hanno vigilato e migliorato la comunicazione ai cittadini come nell’auspicio del ministro Padoan. Alla fine dello stesso anno è arrivato un altro “pacco di Natale” per i piccoli investitori. Venerdì 20 dicembre 2013 la Consob ha infatti pubblicato sul proprio il sito il supplemento al prospetto informativo dei bond emessi in primavera e venduti a risparmiatori inconsapevoli del rischio. La pubblicazione di un supplemento, in base alla normativa Ue, fa sì che chi ha in portafoglio quegli strumenti abbia almeno due giorni di tempo per la “revoca integrale“, cioè per venderli. I due giorni sono il minimo di legge, che l’autorità di vigilanza può estendere se necessario. In quell’occasione la commissione presieduta da Vegas non l’ha fatto: i clienti della banca, ammesso che avessero letto il supplemento, hanno avuto quindi a disposizione per esercitare il loro diritto di revoca solo due giorni a cavallo delle festività. In pratica un’operazione impossibile. Per di più l’istituto ha continuato a suggerire alla clientela di mantenere i titoli in portafoglio in attesa di tempi migliori.
La lettera di Bankitalia nascosta ai risparmiatori – Occorre aggiungere che solo poche settimane prima, il 3 dicembre 2013, Bankitalia aveva scritto al consiglio di amministrazione dell’Etruria una lettera in cui evidenziava il “progressivo degrado della situazione aziendale” e sentenziava che la banca era “ormai condizionata in modo irreversibile da vincoli economici, finanziari e patrimoniali che ne hanno di fatto ‘ingessato’ l’operatività”, tanto da renderla “non più in grado di percorrere in via autonoma la strada del risanamento”. Un’informazione certo non secondaria per chi aveva comprato titoli passibili di trasformarsi in carta straccia in caso di crac dell’istituto. Il comunicato diffuso il 13 dicembre dai vertici dell’istituto, però, non vi faceva cenno, limitandosi a riportare che via Nazionale aveva chiesto “ulteriori rettifiche su crediti”, che “non assumono un’entità tale da pregiudicare il mantenimento dei requisiti prudenziali”. Quanto alla Consob, sostiene di non essere stata messa a conoscenza dei risultati dell’ispezione di Palazzo Koch, anche se l’ex ispettore di Bankitalia Giuseppe Scattone, nella consulenza tecnica per la procura di Arezzo, scrive che l’ente presieduto da Ignazio Visco il 6 dicembre 2013 ha informato per lettera la vigilanza dei mercati “delle iniziative assunte dopo gli accertamenti ispettivi”. Davanti a questo quadro fa specie che, sul tema delle quattro banche salvate, il ministro Padoan parli di problemi “culturali” dei piccoli investitori e di una “scarsa educazione finanziaria, su cui l’Italia come paese deve lavorare”. Un tema caldo in un periodo in cui anche le Poste, i cui utenti tradizionalmente hanno una bassa cultura finanziaria, stanno vendendo prodotti finanziari sempre più complessi.
In attesa della nuova direttiva Ue c’è il nodo delle commissioni – Intanto, al momento, ai risparmiatori italiani non resta che confidare nell’Unione europea, che già da tempo ha approvato la Mifid 2. Cioè una nuova direttiva a tutela del risparmio, che dovrebbe impedire il ripetersi di casi simili. Il testo è stato licenziato da Strasburgo nell’aprile 2014 e prevede limiti alla vendita di obbligazioni rischiose, oltre a garantire una maggiore trasparenza per i clienti e regole severe sui margini che le banche ottengono su ciascuna vendita. Le nuove regole sarebbero dovute entrare in vigore nel 2017, ma la lobby bancaria è riuscita a farle slittare di un anno per poter continuare a fare profitti sulla pelle dei piccoli risparmiatori e in barba al conflitto d’interessi. Non a caso la norma più discussa riguarda i vincoli ai margini su prodotti complessi (dai fondi alle obbligazioni) dalla cui vendita gli istituto di credito intascano una commissione. Su queste vendite, come nel caso dei quattro istituti italiani, le banche sono protagoniste di conflitto d’interesse latente che si manifesta apertamente solo quando le cose precipitano. Ecco perché in alcuni Paesi, dove la cultura finanziaria è ben più evoluta rispetto all’Italia, queste commissioni, dette “diritto di retrocessione”, sono vietate. In Italia, invece, questa pratica è consentita e ampiamente diffusa. Se davvero il governo vuole far crescere l’educazione finanziaria del Paese, quale migliore occasione di introdurre il divieto su queste commissioni allineandosi a quanto viene già fatto in paesi come la Gran Bretagna, l’Olanda e l’Australia. Basta poco per dare un segnale importante ai piccoli risparmiatori italiani. Sempre che la lobby bancaria del Paese non si opponga.