Le 47 esecuzioni per terrorismo e sedizione in Arabia Saudita, con l’uccisione del religioso sciita Nimr al-Nimr, e l’annuncio da parte di Riyad della fine del cessate il fuoco in Yemen hanno nuovamente fatto salire la tensione tra sunniti e sciiti in Medio Oriente. Uno scontro tutto interno all’Islam che ha origine dopo la morte del Profeta Maometto, nel 632 d.C., ma che nel corso dei secoli ha assunto una valenza sempre più politica, soprattutto dopo la rivoluzione khomeinista del 1979. Così, negli ultimi decenni, i Paesi appartenenti al blocco sunnita, con a capo l’Arabia Saudita, e quello, sciita, guidato dall’Iran, hanno dato il via a una lotta per l’egemonia regionale in Medio Oriente che è alla base di molte delle guerre che hanno infiammato tutta l’area.
Le origini dello scisma: la morte di Maometto e la successione
Dopo la morte de Profeta Maometto, si crea il problema della successione al fondatore della religione. Da una parte coloro che saranno successivamente definiti sunniti, da Sunna, uno dei testi sacri dell’Islam costituito dall’insieme degli Hadith (atti, interpretazioni del Corano da parte di Maometto). Questi ritengono che il successore del Profeta dovesse essere Abu Bakr, suocero di Maometto e suo principale sostenitore che diventerà anche il primo Califfo dell’Islam, e rappresentano oggi, sommando le diverse correnti, circa l’80% del mondo musulmano. Dall’altra parte gli sciiti, da una contrazione dell’espressione “shīʿat ʿAlī” (sostenitori di Ali), ossia il gruppo sostenitore di un successore che fosse un consanguineo del defunto Profeta e che, oggi, rappresentano il 20% del mondo musulmano. Questi lo individuarono in Ali ibn Abi Talib, cugino e genero del Profeta che poi diventerà quarto Califfo, massima carica politica e spirituale.
Dopo anni di scontri sulla successione che videro prevalere l’ala sunnita, nonostante Ali abbia governato per alcuni anni, la rottura definitiva si consumò nel 680 d.C. con la battaglia di Karbala. Le truppe omayyadi, fedeli all’allora Califfo sunnita, uccisero il figlio di Ali, Hussein, e da quel momento acquistarono sempre più influenza nel mondo politico e religioso islamico, mentre la minoranza sciita rimase legata alla propria linea di successione dichiarando la propria fedeltà ai loro Imam, dodici dei quali furono discendenti del quarto Califfo Ali. Questa divisione è la causa delle differenze che ancora oggi caratterizzano lo scontro religioso tra sunniti e sciiti. Dall’interpretazione dei testi sacri alla presenza o meno di un clero, dai pilastri fondamentali, le differenze sulle principali feste religiose, fino all’uso del velo per le donne, la spaccatura originaria ha generato due correnti religiose che, soprattutto nelle loro accezioni più estremiste, sono spesso in contrasto tra loro sia in campo religioso che politico.
Una mappa dell’Islam
Con la suddivisione in Stati dei territori a prevalenza islamica, il contrasto tra queste due diverse interpretazioni religiose si è allargato dal piano puramente ideologico e religioso a quello geopolitico. La divisione interna alla religione islamica è chiara anche a livello regionale, soprattutto in Medo Oriente, e viene spesso utilizzata per giustificare guerre e lotte per il potere tra diversi Stati. È anche per questo che si parla di asse sunnita, con a capo l’Arabia Saudita e sostenuta soprattutto dalle petromonarchie del Golfo, ma anche da alcuni Paesi dell’Africa centro-settentrionale e da quelli dell’Asia Centrale, e di Mezzaluna Sciita, guidata da Iran, Siria, e da Hezbollah, il Partito di Dio libanese, e sostenuta da minoranze in Iraq, Yemen e Afghanistan.
Arabia Saudita e monarchie del Golfo
L’Arabia Saudita può essere considerato il Paese che racchiude il cuore storico e religioso dell’Islam, visto che entro i suoi confini si trovano La Mecca e Medina, rispettivamente le città di nascita e di morte del Profeta Maometto e, oggi, i due principali luoghi di culto per i fedeli musulmani. La monarchia saudita, con una popolazione che per oltre l’80% è sunnita, si basa sulla legge islamica, la Shari’a. È qui che è nato e si è sviluppato anche il Wahabismo, una corrente ultraconservatrice che richiama a un’interpretazione letterale dei testi sacri e che è anche alla base del pensiero di quel salafismo radicale che ispira numerosi gruppi terroristici islamisti.
Iran, Siria, Hezbollah: la “Mezzaluna Sciita”.
Altro Paese governato secondo la piena applicazione della Shari’a è l’Iran. Dopo la rivoluzione khomeinista del 1979, con la quale si è assistito al passaggio del potere dalle mani dello Scià, Reza Pahlavi, a quelle degli ayatollah della Repubblica Islamica, nel Paese è tornata in vigore la rigida applicazione della legge islamica. Un cambiamento che ha stravolto lo stile di vita della popolazione e che ha portato alla cosiddetta diaspora iraniana. Col tempo, soprattutto dopo la morte dell’ayatollah Ruhollah Khomeyni e l’elezione di Ali Khamenei come Guida Suprema, l’applicazione della legge islamica in Iran ha subito delle modifiche, anche a causa delle pressioni della comunità internazionale in materia di diritti umani, anche se il Paese rimane ancora oggi tra i primi nel mondo per numero di esecuzioni. L’Iran è anche a capo di quella coalizione religiosa, che in realtà è soprattutto un’unione politica e strategica, composta anche dalla Siria, che dal 1970 è governata dalla dinastia degli Assad, e dal Partito di Dio libanese, Hezbollah.
La divisione sunniti-sciiti nelle guerre recenti
La divisione tra sunniti e sciiti è servita a giustificare molte guerre e rivoluzioni, anche le più recenti, per il controllo politico e territoriale, soprattutto in Medio Oriente. Dalla guerra civile siriana, alle rivolte nello Yemen fino all’infinito conflitto iracheno, la religione è ancora usata come pretesto per la conquista del potere.
Iraq, gli sciiti al potere e l’estremismo salafita
Dopo la caduta di Saddam Hussein, in seguito all’ultimo conflitto iracheno del 2003, al potere si sono alternati numerosi primi ministri che sono rimasti in carica per pochi mesi ciascuno. Per vedere un governo duraturo si deve aspettare il 2006, quando l’elezione di Ibrāhīm al-Jaʿfarī fu duramente osteggiata dalla componente sunnita del Paese e al suo posto fu nominato Capo del Govero Nuri al-Maliki, candidato del partito islamico sciita Da’Wa, sponsorizzato anche dagli Stati Uniti. Gli otto anni alla guida del Paese, però, hanno portato a un riacutizzarsi dei contrasti tra sciiti e sunniti in Iraq, con quest’ultimi gradualmente esclusi dalla vita politica. Le tensioni si sono presto trasformate in una lotta settaria che ha lasciato campo libero all’avanzata di fazioni radicali come Isis che, non a caso, contano tra le proprie file estremisti sunniti ed ex militari baathisti dell’esercito di Saddam.
Siria: l’estremismo sunnita contro il regime di Assad
In Siria, una guerra civile iniziata come ribellione contro un governo autoritario come quello di Bashar al-Assad si è presto trasformata in un conflitto che vede di fronte le milizie governative, da una parte, e gruppi ribelli, per la maggior parte collocabili nell’area dell’estremismo islamico, dall’altra. Se le proteste e le prime battaglie del 2011, con i ribelli anti-Assad che si battevano per far cadere il regime d’ispirazione alawaita, minoranza religiosa che fa parte dello sciismo, non avevano una connotazione religiosa, presto tra gli antigovernativi sono nati e cresciuti, fino a diventare predominanti, gruppi estremisti d’ispirazione salafita come Isis o Jabhat al-Nusra che conquistano ampie fette di territorio e danno al conflitto siriano giustificazioni religiose.
Lo Yemen e i ribelli Houthi
Quando nel 2012, in seguito alle rivolte della Primavera yemenita, il presidente Ali ‘Abd Allah Saleh perde il potere dopo aver comandato il Paese dal 1978, al potere sale Abd Rabbih Mansur Hadi. Il nuovo presidente, di religione sunnita e sponsorizzato da Paesi del Golfo, Stati Uniti e altri governi occidentali, non è ben visto dal gruppo sciita zaydista degli Houthi, presente soprattutto nel nord del Paese. Questo contrasto si fa più forte a partire dal 2014, quando le forze ribelli riescono a penetrare nella capitale Sana’a, sostenute dall’Iran, e a cacciare il presidente. A sostegno del governo intervengono, invece, c’è una coalizione araba, con a capo l’Arabia Saudita e sostenuta anche dall’Egitto, che ancora oggi bombarda le zone in mano ai ribelli.