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Il nostro ‘imprenditore’ che di botto eredita tutto il sistema manifatturiero italiano, dopo un primo trauma cerca di raccapezzarcisi: e l’idea di capire quanti e quali ‘corpi d’armata’ possiede gli ha fatto bene. Ma questa ‘panoramica militare’ non è per nulla sufficiente, magari lo fosse! La successiva domanda sarebbe: ma come posso impiegare al meglio questi corpi d’armata? E’ evidente che il quadro deve essere assolutamente chiarito molto di più: l’ideale sarebbe quello di conoscere business per business ma nessuno mai, in Italia, si è spinto in questa direzione, nessuno. Per cui le informazioni importanti, quelle vere e necessarie, sono – senza giri di parole – nulle.

Tutto il Paese si aspetta una ripresa: per anni ha gustato il sapore dolce del guadagno, della sicurezza, della tranquillità, della crescita verso il futuro della serie “dai, prima o poi torniamo a vivere meglio: solo che… Non solo il quadro non è più di ‘profitto’ ma è di ‘consumo del fieno in cascina’, nel senso che stiamo bellamente consumando risparmi accumulati in più generazioni. E il sistema economico internazionale ci sta privando soprattutto proprio di quelle aziende che abbiamo chiamato ‘Oem’ che o chiudono o delocalizzano o vengono acquisite da centri di proprietà e governo decisionale che non sono più nelle nostre mani. Perché non ci portano via, invece, le ‘Ssm’? Avete visto delocalizzare una ‘Ssm’? Una sola?

C’è un’ombra che aleggia su questo tema: pesantissima. Oggi la Germania, in termini economici, con l’entrata della Cina in crisi, è il Paese che esporta di più nel mondo: è senza dubbio una potenza egemonica. Noi tutti sosteniamo che la crisi è ‘pilotata’ da un ‘potere bancario/finanziario mondiale’ che ha indotto – con la sua forte miopia umana – recessione sul pianeta; aggiungiamo che l’avvento della Cina ha creato alla Germania problemi grossi, ai quali questa doveva in qualche modo fare fronte: ha così adottato tre ‘politiche’ principali:

– la prima – onorevolissima, tanto di chapeau – è quella di spingere il livello tecnologico dei suoi prodotti;
– la seconda è quella di utilizzare l’euro – pro domo sua, restando sostanzialmente con la stessa valuta forte di prima (il marco) cui ha cambiato semplicemente nome (ma non la sostanza);
– la terza quella di cercare di scaricare il più possibile su altri Paesi i ‘business poveri’, facendo di questi Paesi dei sostanziali gregari, dei ‘portatori d’acqua’ (metafora ciclistica).

Qual è il compito riservato al ‘portatore d’acqua’? Quello di tenersi in casa i business più poveri (siamo sempre nel caso manifatturiero) e lavorare per conto terzi. Una controprova? Se la Germania avesse deciso di farsi in casa i propri semiprodotti, avrebbe subìto due conseguenze: la prima, un vistoso calo del fatturato nazionale; la seconda, una contrazione del livello di profitto. Non avrebbe inoltre potuto scaricare su terzi le contrazioni di volume e di ricavi originate da crisi economiche esterne. E poi, perché produrre ‘sta roba in casa: c’è l’Italia gonfia di Ssm, assolutamente assetata di ordinativi. Con l’Italia il ‘prezzo’ si discute facilmente, tanto sono affamati e in cerca di ordini.

Questi pensieri aleggiano nella testa del nostro imprenditore ereditiere: capisce che uno dei suoi ‘corpi d’armata’ – e proprio il più grande – ha una sorta di piede ‘strutturale’ zoppo, il che… non butta proprio bene. Certo: ci sono dei punti di forza e dei punti di debolezza: cerchiamo di capirli perché gestire un’impresa non consiste solo nel comprare, vendere, produrre e fatturare, ma sempre e comunque identificare bene la ’mission’ della medesima, che è la ragione per la quale, se la pensi bene e altrettanto la realizzi, la tua impresa avrà sicuramente successo.

Alcuni ‘punti di forza’ appaiono subito evidenti: ovvio che non sono egualmente intensi per cadauna pmi. Alcuni di questi sono:

– La diffusissima ‘proprietà privata’ di queste aziende;
– Un molto elevato livello qualitativo del personale operativo di produzione (att.: ‘di produzione’);
– Una diffusa inclinazione a risolvere rapidamente i problemi tecnologici dell’operare quotidiano;
– La rapidità decisionale e l’agilità che caratterizzano queste unità piccole e a-burocratiche nel muoversi sul mercato;
– L’appartenere a un popolo, l’italiano, che ha dato amplissime prove di estro, di creatività, di buon gusto, di intuizione (grandissima l’arte di arrangiarsi);
– L’essere talvolta supportate dall’immagine trainante di un ‘made in Italy’ che ha – dipende dai settori merceologici – un livello di apprezzamento nel mondo non trascurabile;

Ma guardiamo anche ai ‘punti di debolezza’:

– Una dimensione media (come cifra d’affari) tendenzialmente piccola, se non addirittura minuscola;
– Una generale e diffusissima sottocapitalizzazione, che le porta ad un molto diffuso indebitamento oneroso con il sistema creditizio (specie per gli investimenti);
– Una cultura aziendale davvero modesta, spesso casereccia: con larga prevalenza della ‘visione amministrativa’ ma non di business, che impedisce di sviluppare la loro vita con la massima efficienza possibile;
– Una ‘visibilità’ verso il mercato molto, ma molto, ridotta, specie se consideriamo i mercati internazionali.

No, così si va a sbattere, bisogna cambiare: occorre pensare ad una ‘conversione industriale’ profonda e propulsiva.

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