Slitta di altri sei mesi, al 30 giugno 2017, il termine entro cui dovrà andare a regime il piano ambientale e sanitario dell’Ilva. Lo stabilisce un emendamento Pd al decreto sulla cessione degli stabilimenti dell’acciaieria tarantina approvato dalle commissioni Ambiente e Attività produttive alla Camera. Con la modifica, il piano no dovrà più essere realizzato entro fine 2016 come prevedeva il testo originario. Allo stesso tempo vengono prorogate l’Aia e l’autorizzazione all’esercizio di impresa. Ed è passato anche l’emendamento del governo che prevede la possibilità per i commissari di ottenere 800 milioni di euro in due anni sotto forma di prestito statale da impiegare per le bonifiche. Il tutto per tentare di spianare la strada alla vendita, che dovrebbe essere chiusa entro il 30 giugno di quest’anno.
Ma la strada è in salita, sia per la spada di Damocle della procedura di infrazione Ue per aiuti di Stato sia perché chiunque si aggiudichi il siderurgico dovrà poi investirci “sull’unghia” almeno 2 miliardi, tra capitale circolante per la normale amministrazione, perdite da coprire e manutenzione. Questo supponendo che gli interventi ambientali restino appunto a carico dello Stato. Per questi ultimi l’esecutivo sperava nell’improbabile rientro in Italia dalla Svizzera degli 1,2 miliardi sequestrati ai Riva, espropriati ma formalmente ancora proprietari. Ma i giudici di Bellinzona come è noto hanno detto no. Di qui l’emendamento al decreto, che ha trasformato gli 800 milioni di prestiti garantiti previsti dalla legge di Stabilità in finanziamenti tout court.
Per questo secondo La Stampa nonostante il probabile soccorso di Cassa depositi e prestiti, pronta ad acquisire una quota di minoranza fino al 40%, la cordata italiana auspicata dal ministro dello Sviluppo Federica Guidi per ora non decolla. E il rischio è che la patata bollente resti definitivamente nelle mani dello Stato, che dovrebbe accollarsi il costo degli interventi magari attraverso la controllata di Cdp Fintecna.