La sua voglia di girare un film autobiografico gli è costata l’arresto. Joaquin “El Chapo” Guzman si preparava a raccontare la sua vita sul grande schermo e per questo ha “commesso passi falsi” che hanno permesso alle forze dell’ordine messicane di trovarlo. A dirlo è il procuratore generale Arely Gomez, nel corso di una conferenza stampa all’aeroporto di Città del Messico durante la quale ha specificato che il re dei narcotrafficanti messicani aveva già preso contatto con attori e produttori. “Il suo narcisismo non conosceva limiti” ha spiegato Gomez. Narcisismo che potrebbe far sbarcare “El Chapo” negli Stati Uniti. Non a Hollywood, però. Ma in un super carcere dove gli sarebbe impossibile evadere come ha fatto nel 2001 e l’11 luglio scorso. Il Messico intende infatti “accontentare la richiesta di estradizione” degli Usa, fanno sapere fonti messicane.
Ma la vita del “piccoletto” era già di per sé un film. Nato in una famiglia estremamente povera è riuscito ad entrare nella lista stilata da Forbes degli uomini più ricchi del mondo, passando dal vendere arance per la strada a gestire il sanguinario Cartello di Sinaloa, dopo una scalata nel mondo del narcotraffico. Impresa che gli è valsa la definizione di degno erede di Pablo Escobar, il boss colombiano che negli anni ’70 creò il moderno traffico di droga esportando cocaina dalla Colombia a Miami, la cui vita è stata raccontata recentemente in “Narcos”, la serie televisiva prodotta da Netflix.
Dopo l’arresto del Chapo, sono emersi nuovi dettagli sulle indagini effettuate in questi mesi e sull’arresto. A ottobre avvistato da un elicottero a Pueblo Nuevo, nello Stato settentrionale di Durango, non era stato abbattuto perché accompagnato da due donne e una bambina; allora era sfuggito all’arresto riuscendo a scappare attraverso una valle stretta. Le azioni di intelligence sono state allora intensificate e a fine dicembre le istituzioni di sicurezza hanno scoperto che “il malvivente aveva intenzione di trasferirsi nella zona urbana”, ha spiega la procuratrice. Pedinando poi i membri della cerchia più stretta di El Chapo è stato possibile individuare una persona specializzata nello scavare tunnel e risalire così alla casa di Los Mochis, nell’area di Sinaola, messa sotto sorveglianza.
Dal 6 gennaio alcuni movimenti insoliti hanno messo in allerta la sicurezza, fino all’arrivo di un veicolo sospetto prima dell’alba del 7 gennaio. Avendo la certezza che a bordo ci fosse Guzman è scattata l’operazione per la cattura, sfociata in uno scontro a fuoco che ha provocato 5 morti tra le fila di El Chapo e un soldato ferito. Sei persone sono state arrestate dopo il blitz ma tra queste il Tarchiato non c’era: insieme ad alcuni complici infatti il re del narcotraffico era riuscito ad aprire un tombino e fuggire. Raggiunto dagli agenti è stato infine bloccato sulla strada Los Mochis-Navojoa. “Ora” ha detto Gomez, “El Chapo verrà ricondotto nella stessa prigione di Altiplano da dove l’11 luglio scorso è fuggito”, nella città di Almoloya de Juárez, circa 90 km a ovest di Città del Messico. Anche se dagli Stati Uniti fanno sapere di voler chiedere l’estradizione.
Il Cartello di Sinaloa è tra i più sanguinari tra quelli che combattono la guerra della droga in Messico. Il regno di Guzman si era esteso negli Stati Uniti, in Canada, in Australia e in Europa. La sua organizzazione è stata la prima con una struttura criminale-imprenditoriale e la prima a gestire direttamente la raccolta, il traffico e la distribuzione di cocaina, metanfetamina e marijuana che dal Sud e dal Centro America sbarca nei mercati di tutto il mondo. Guzman ha un patrimonio stimato attorno al miliardo di dollari e un curriculum criminale agghiacciante. Ha ammesso di aver ucciso “due o tremila persone“.
Ironia della sorte, lo scrittore ed ex investigatore privato americano Don Winslow nel suo ultimo libro “Il Cartello” (Einaudi,2015) uscito a maggio dello scorso anno racconta di un boss del narcotraffico che ingaggia uno sceneggiatore per raccontare con un film la sua vita. Nel romanzo lo scrittore racconta la faida tra i diversi cartelli messicani. E la figura del boss Adán Barrera è ispirata alla vita di Guzman. Ma il finale della storia è diverso.