Mentre nell’aula di Montecitorio, lunedì prossimo, la maggioranza dei deputati dovrebbe dare il via libera alla quarta lettura del ddl Boschi, qualche corridoio più in là, nell’aula dei gruppi parlamentari, alle 15,30,, una decina di autorevoli giuristi italiani proverà a spiegare perché al referendum che dovrà confermare quella riforma bisogna votare No. A motivare le ragioni, giuridiche e politiche, della scelta ci saranno Gustavo Zagrebelsky, Stefano Rodotà, Domenico Gallo, Alfiero Grandi, Lorenza Carlassare, Alessandro Pace, Gaetano Azzariti, Massimo Villone, Felice Besostri, Gianni Ferrara. Tutti convinti che la riforma che prevede l’abolizione del Senato elettivo, insieme alle “incostituzionalità” introdotte dall’Italicum, potrebbero “provocare una torsione autoritaria nella democrazia italiana”.

Già, perché la questione è duplice e per questo il Comitato sta lavorando su due fronti. Primo, il referendum: non si può, è il succo della questione, lasciare che Matteo Renzi lo usi come un plebiscito su se stesso. Così, diversi deputati di Sinistra Italiana e dei Cinque Stelle si sono impegnati a presentare la richiesta di referendum un minuto dopo l’approvazione della legge. Una mossa contro il referendum confermativo che il premier, nella conferenza stampa di fine anno, ha trasformato in una partita personale: “Se perdo me ne vado”, ha detto. Con la raccolta delle firme di un quinto dei parlamentari, 126 deputati per la precisione, si potrà chiedere un referendum “oppositivo”, come preferiscono chiamarlo quelli del comitato per il No. “Vogliamo evitare – spiega il professor Domenico Gallo – che sia il governo a chiederlo come bagno di consenso dell’opinione pubblica”. “Perché questa idea del governo che lancia la sfida – gli fa eco Sandra Bonsanti – è insopportabile”.

Ma c’è un altro fronte su cui dare battaglia, dicevamo: l’Italicum. Prima di Natale sono stati presentati due quesiti abrogativi della legge elettorale. La raccolta firme comincerà ad aprile e andrà avanti fino a giugno. L’idea è quella di approfittare dei banchetti per “dar vita nei fatti a una coalizione sociale”, spiega ancora Gallo, che tenga insieme entrambe le sfide del 2016.

Gallo e gli altri promotori del Comitato per il No stanno facendo una serie di incontri per costruire sul territorio una rete che tenga insieme le realtà dell’associazionismo, del sindacato, della politica. Per ora hanno incassato il sostegno di Sinistra Italiana e del Movimento Cinque Stelle (solo sul tema del referendum costituzionale però, non sull’Italicum). Cgil, Arci, Anpi, Libera stanno ancora discutendo che tipo di contributo dare. Libertà e Giustizia spiega di voler “gettare le basi del dibattito”. Ma sa che i costituzionalisti non bastano. “Serve una generazione nuova – auspica Sandra Bonsanti – Bisogna che i giovani si rendano conto che con questa riforma si ritroveranno con delle istituzioni più deboli, una sola Camera fatta di nominati, senza contrappesi. Dobbiamo riuscire a spiegare, e non è facile, qual è il devastante risultato finale di queste riforme”. Alcune sedi territoriali del Comitato sono già state aperte in Veneto e in Toscana, presto toccherà alla Sicilia. L’auspicio è che si crei una struttura capillare che possa organizzare e sostenere la macchina referendaria, che di strada da fare ce n’è parecchia.

Twitter: @paola_zanca

Da Il Fatto Quotidiano del 4 gennaio 2015

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