“MiBacttack! Ritirate quel bando. Invasione digitale sul MiBACT. Da lunedì 11 gennaio”. Con questo post pubblicato sulla pagina Facebook di “Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali“, la piattaforma creata da un piccolo gruppo di archeologi, archivisti, bibliotecari, antropologi, esperti di diagnostica applicata ai beni culturali, storici dell’arte, poi allargata fino a “diventare un punto di riferimento per chi è stanco di questa situazione dannosa per noi e per il Paese”, ha preso avvio la protesta contro il Ministero dei Beni culturali (MiBACT).
Distribuiti tra Colosseo, Foro Romano, Caracalla, Villa dei Quintili, Palazzo Massimo, Terme di Diocleziano e Ostia antica, si occuperanno “del patrimonio museale all’interno dei locali espositivi e nelle aree di pertinenza del museo” e dell’ “accoglienza del pubblico”. Ma avranno mansioni anche più specifiche che mal si confanno a dei volontari, seppur volenterosi. Come essere di “supporto agli addetti nella raccolta della documentazione ed informazioni sui beni presenti sul territorio”, oltre ad essere “attivamente impegnati nel reperimento di fotografie attuali e storiche di monumenti e siti di interesse” e collaborare “con gli esperti alla creazione delle schede scientifiche con foto sulle caratteristiche storico-artistico-culturali dei beni presenti sul territorio”.
Il punto è anche questo. Richiedere a dei volontari competenze che sembrano bagaglio di addetti ai lavori piuttosto che di under 28enni. Insomma un’operazione che sembra essere del tutto sbagliata. Esito di una scarsa conoscenza della reale situazione occupazionale dei professionisti dei Beni culturali. Di più. Di un malcelato disinteresse del loro riconoscimento. Dagli uffici ministeriali rispondono quasi sorpresi. Perché mai questa reazione? “Il bando è per dei volontari. Con mansioni che sono proprie dei volontari. Per i professionisti esiste il preannunciato bando che prevede l’assunzione di 500 figure” dice Mattia Morandi, capo ufficio stampa del ministro Franceschini. Per lui il problema non esiste. Non riesce a capire perché mai ci si dia tanto da fare per un bando che prevede un impiego momentaneo, peraltro con qualcosa che assomiglia più ad un rimborso spese che ad una retribuzione. La sensazione che i due mondi in contrapposizione, quello dei professionisti sul campo e l’altro, del Ministero, non si capiscano. Il timore è che ai Beni Culturali poco si sappia di quel che accade davvero ad archeologi e restauratori, archivisti e storici dell’arte.
L’idea che sia necessario incrementare le risorse a disposizione dei luoghi della Cultura è sacrosanta. Il tentativo di perseguirla, degno di ammirazione, seppure con alcune riserve. Ma in questa operazione sembra che ci si sia dimenticati delle persone, dei professionisti che di quei luoghi dovrebbero occuparsi. “Alcuni forsennati statalisti ci accusano di volerci sostituire allo Stato. Nessuno di noi lo progetta”, ha più volte sostenuto Andrea Carandini, presidente del Fai dal febbraio 2013. Il timore di intere schiere di professionisti dei Beni culturali è proprio questo. Che lo Stato abbia deciso di risparmiare proprio su di loro. Affidando la cura di parti sempre più cospicue del nostro Paesaggio a chi lo può fare gratis.