Ormai lo chiamano National Leographic. Ma ai fan poco importa del suo attivismo ecologista: per Leonardo DiCaprio a Roma è delirio assicurato. Da ieri sera alla premiére di The Revenant – Redivivo alla Casa del Cinema a stamane alla conferenza stampa ufficiale al St. Regis Grand Hotel, non si contano i ragazzi – specie le ragazzine – urlanti per poter avvicinare la star, averne un autografo, un selfie, uno secondo di attenzione.
Se il Titanic è ormai affondato da parecchi anni, non affonda l’accoglienza calorosa attorno al 41enne attore e produttore californiano, finalmente molto vicino al suo primo Oscar.
Per promuovere la pellicola in uscita oggi in 500 sale, Leo è approdato nella Capitale con il regista Alejandro González Iñárritu, al quale deve la sua trasformazione in Hugh Glass, eroe viscerale della sopravvivenza. Ça va sans dire, DiCaprio risponde subito sull’ovvietà degli Oscar: “Siamo estremamente felici che l’Academy Awards abbia riconosciuto il valore di questo film complesso, che io amo definire un puro viaggio esistenzialista più che un’esperienza cinematografica. L’Oscar non è l’approdo di una carriera ma è la gioia di veder apprezzato il proprio lavoro. Il mondo dei premi supera il nostro controllo, noi facciamo del nostro meglio e se le persone se ne accorgono ne siamo felici. Va aggiunto – continua l’attore – che un film come questo è stato difficile da finanziare e i premi possono contribuire affinché i professionisti che vi hanno lavorato continuino nella loro avventura artistica”.
E fra i talenti immediatamente evocati dai due “revenants” si fa subito largo il nome di Emmanuel “Chivo” Lubezki, il supremo direttore della fotografia del film, anch’egli messicano come Iñárritu. Un professionista il cui curriculum fa paura: 7 nomination agli Oscar tra cui due vittorie (Gravity e Birdman) nelle ultime due edizioni. Al 99,9% nessuno gli leverà il “triplete” considerando che il lavoro con la luce fatto per The Revenant è tra i più raffinati visti nell’arte cinematografica tout court, maniacale come solo Kubrick sapeva fare.
“La sua macchina da presa – spiega il regista – letteralmente danza con gli attori. Fare un film con Chivo è un’esperienza creativa unica. Lavoriamo su questo progetto da 6 anni, nel frattempo ho girato Birdman ed è proprio grazie a questo film che ho potuto realizzare The Revenant come lo desideravo. Con Chivu, che conosco da quando avevamo 20 anni, sono riuscito a trasmettere emozionalmente e narrativamente esattamente ciò che volevo veicolare. Abbiamo tentato di esplorare con la luce un’idea filosofica espressa da una forte tensione drammatica. La sua conoscenza dell’illuminazione è straordinaria, oggi non so se potrei fare a meno di lui”.
Così la pensa anche DiCaprio, incantato dal ricordo del lavoro con i due talentuosi messicani, che non nasconde di sapersi “privilegiato nell’aver preso parte a un film unico nella sua epicità percettiva. Quando ho visto il mio sangue sporcare la lente e il mio fiato appannarla ho compreso che eravamo oltre il cinema: si è trattato di una partecipazione immersiva con la wilderness, alla ricerca nostalgica e quasi “fantascientifica” di quei cacciatori di pellicce, pionieri della frontiera verso l’Ovest. Gente che sopravviveva a qualunque costo contro la natura usando la natura stessa. E’ da lì, da questa fisicità primordiale ed animalesca, che arriva il personaggio di Hugh Glass, per studiare il quale non avevo molto a disposizione se non la comprensione di una certa spiritualità e l’istinto”.
Seppur composto e quasi immobile nella sua eleganza, si nota che Leo DiCaprio partecipa emotivamente parlando del film Iñárritu, non solo per l’esperienza umana/professionale che ha comportato ma anche per il tema – l’attenzione alla natura appunto – che tanto gli è caro. Al punto che accanto ai milioni di dollari raccolti per la cura dell’ambiente, Leo ha appena terminato di produrre un documentario sul cambiamento climatico. “Lavorandoci mi sono accorto che l’aumento anche solo di un grado di temperatura della Terra può cambiare ogni nostro equilibrio. Il mondo è più fragile di quanto pensiamo e sono felice che grazie al COP 21 firmato a Parigi finalmente l’umanità si sia unita per fare qualcosa di concreto per l’ambiente”.