In questi giorni si è arrivati a un tale livello di mistificazione contro i diritti delle persone Lgbt al punto da tirare per la giacca persino Sergio Mattarella, che avrebbe sollevato – secondo Repubblica – diverse perplessità sulla costituzionalità del ddl Cirinnà. Ma cosa c’è di vero dietro tutto questo? «Attribuire al Presidente della Repubblica prese di posizione pro o contro singoli progetti di legge è di per sé operazione delicata e azzardata» commenta Angelo Schillaci, costituzionalista e collaboratore della rivista giuridica Articolo29, nonché curatore del volume Omosessualità, eguaglianza, diritti (Carocci, 2014). «Andrebbe invece ricordato» sottolinea «che il Presidente Mattarella, nel discorso di insediamento e nel messaggio diffuso per la Giornata contro l’omofobia, ha avuto parole ferme e chiare a favore del riconoscimento dei diritti civili per le persone e le coppie omosessuali».
Il dibattito contro la legittimità delle unioni civili è viziato da un errore di fondo: credere che la nostra Costituzione vieti, più o meno espressamente, il matrimonio egualitario. «Con la sentenza 138/2010, la Corte Costituzionale sollecita il legislatore al riconoscimento delle coppie omosessuali» ci ricorda ancora il giurista «senza tuttavia indicare in quale forma: il legislatore ha discrezionalità politica sui mezzi». Dalla Costituzione, per di più, «non è possibile desumere un divieto di introduzione del matrimonio tra persone dello stesso sesso» che semmai non può essere riconosciuto «in via meramente interpretativa, ma con l’intervento del legislatore». In altre parole: la Costituzione non parla di matrimonio tra uomini o tra donne, ma ciò «non equivale a dire che lo vieti». Spetta al legislatore, quindi, decidere.
Diverse sentenze, per altro, offrono indicazioni ulteriori: «La Corte di cassazione, nella sentenza n. 8097/15 (caso Bernaroli), parla di “statuto sostanzialmente equiparabile” a quello della coppia coniugata». E non solo: «Anche la Corte costituzionale, nella stessa sentenza n. 138/10, si è riservata la possibilità di intervenire – nell’inerzia del legislatore – ad assicurare protezione in specifiche situazioni, garantendo alla coppia omosessuale un “trattamento omogeneo” rispetto a quello della coppia coniugata». I diritti vanno riconosciuti, insomma. E possono essere modellati su quelli matrimoniali. Il ddl Cirinnà va proprio in questa direzione.
Eppure, la famiglia nell’articolo 29 è definita “società naturale fondata sul matrimonio” e tale formula viene usata dal movimento omofobo contro il riconoscimento delle coppie omosessuali. «La Costituzione non parla di matrimonio eterosessuale, ma di matrimonio e basta, rimanendo aperta alle evoluzioni storiche dell’istituto. Naturale non è sinonimo di eterosessuale. La famiglia è invece una comunità di affetti preesistente al diritto e allo Stato, e che il diritto e lo stato hanno l’obbligo di riconoscere e proteggere». Tale norma, a ben guardare, «nasce dalla Resistenza al fascismo, che aveva irrigidito e oppresso la famiglia come prima cellula fondativa di partito e regime» ci ricorda ancora Schillaci. Secondo quell’articolo, invece, la famiglia è «presidio di libertà e dignità, un luogo in cui si diventa se stessi senza essere oppressi: vale per la donna nella famiglia patriarcale, vale per il trattamento giuridico del figlio, vale per ogni famiglia in cui si esprime la dignità e l’autodeterminazione affettiva del singolo, che costruisce il proprio futuro».
Dietro quell’articolo, quindi, usato come clava contro i diritti delle persone Lgbt si cela in verità una norma di libertà: «Non è stata scritta per riconoscere solo una tradizione familiare, o una declinazione religiosa dell’istituto matrimoniale. Ma è una norma per tutti: come la Costituzione nel suo complesso, essa è in particolare rivolta agli “assenti”, a coloro che per troppo tempo sono stati relegati ai margini della comunità politica».
In buona sostanza, chi ha scritto la Costituzione – nata dalla Resistenza e dalla lotta al fascismo, ricordiamolo sempre – aveva in mente un mondo più grande di quello concepito da chi oggi la agita con intenti censori ed escludenti. Non vieta alla famiglia di rinnovarsi. Non esclude le minoranze dalla tutela dei diritti. Anzi. Cosa stia portando specifici attori sociali a usarla per viziare il dibattito politico è un mistero, qualora non volessimo scomodare il pregiudizio omofobico per interpretarne le motivazioni profonde. Che anche la Repubblica si presti a questo gioco, fatto di disinformazione, fa riflettere e preoccupa non poco. Sta adesso alla politica rispondere nella piena libertà che la Corte ha sancito con la sentenza del 2010 e nell’interesse di quelle persone che richiedono pieno riconoscimento giuridico delle loro unioni e dei loro affetti.