Da Auschwitz a un’area di un centro commerciale. Il Memoriale Italiano che porta la firma, tra gli altri, di Primo Levi, è stato smantellato dal Blocco 21 e finirà in uno spazio espositivo accanto a un Ipercoop alla periferia di Firenze. Costruito apposta per il museo del campo di sterminio nazista dall’Associazione nazionale ex deportati, ricorda le vittime italiane dei lager e dal 1980 era collocato nel blocco realizzato in un ex dormitorio in mattoni rossi del complesso Auschwitz I. Ma dal 2011 la direzione lo aveva chiuso. Adesso giace impacchettato in attesa di partire nei prossimi giorni per l’Italia. Il museo di Auschwitz-Birkenau non lo vuole più. Il motivo? Non è in linea col resto delle installazioni, più didattiche e documentali e meno artistiche.
Farnesina: “Richiami artistici al comunismo”. “Censura” per architetti e rabbino capo
Più chiaro è stato il ministero degli Esteri quando, fuori dai denti, aveva detto un anno fa a Repubblica che il problema era “la presenza nell’opera di richiami artistici al comunismo, oggi considerati fuori legge in Polonia“. Il volto di Gramsci, la falce e il martello, l’Armata Rossa (che peraltro aprì i cancelli di Auschwitz) sono simboli che il museo del più grande campo di concentramento del Terzo Reich non accetta più dopo la caduta del Muro di Berlino. Già dagli anni Novanta il museo aveva dettato nuove linee guida per le installazioni. Accuse di censura, rivolte al museo e ai governi polacco e italiano, nel corso degli anni sono giunte da numerosi architetti ed esponenti del mondo ebraico, tra cui Joseph Levi, rabbino capo di Firenze, firmatari di un appello che chiede (a questo punto chiedeva) che l’opera rimanesse nel suo contesto.
L’ultimatum di Auschwitz: “Toglietelo o ci pensiamo noi”
E’ l’estate del 2008 quando 30 allievi della Scuola di Restauro di Brera, finanziati dalle categorie edili di Cgil, Cisl e Uil di Lazio e Lombardia, puliscono e restaurano il Memoriale italiano ad Auschwitz. Ma nel luglio 2011 il Museo lo chiude definitivamente. Inutili gli appelli dell’Aned e le interrogazioni parlamentari promosse da Sel: entrambi chiedevano che l’opera rimanesse al suo posto, con l’aggiunta di pannelli didattici. Nel novembre 2015 l’associazione dei deportati riceve l’ultimatum dal direttore del Museo di Auschwitz: o il Memoriale viene spostato dall’Aned, che ne è proprietaria, o ci pensa il Museo a toglierlo da lì. “Messi alle strette, abbiamo accelerato la ricerca di una soluzione in Italia e alla fine l’unica praticabile e accettabile nei tempi che avevamo, era questa di Firenze” spiega a ilfattoquotidiano.it Dario Venegoni, presidente Aned e figlio di due deportati nel lager di Bolzano. La Regione Toscana, in accordo con il Governo, si farà carico del trasporto e della nuova collocazione. “Visto come stavano le cose – continua Venegoni – meglio che a smantellarlo siano state le due autorità mondiali in questo campo, l’Opificio delle Pietre Dure e l’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, piuttosto che il Museo di Auschwitz. I tecnici dell’Opificio hanno già effettuato la pulitura e dei piccoli interventi. A giorni arriverà a Firenze”.
Gli ex deportati: “Da Prodi a Renzi, nessuno ci ha ascoltato”
Così ora Venegoni si leva qualche sassolino: “Alcune decine di migliaia di euro costa questo scherzetto. Il tutto nasce dal decreto Milleproroghe, ultimo atto di vita del governo Prodi, che stanziava 900mila euro per il restauro del Blocco 21. Leggi: scacciare questo Memoriale e farne uno nuovo. Da quel fondo di 900mila euro, alcune decine di migliaia serviranno per prendere l’opera e portarla a Firenze. Il resto, per fare il nuovo Memoriale nel Blocco 21”. Venegoni accusa la politica di essere rimasta colpevolmente in silenzio per anni. “L’Aned per anni è rimasta completamente da sola a chiedere il rispetto dell’opera, di tenerla là. Nessun governo ci ha dato retta, nessun singolo ministro, nessun gruppo parlamentare, di quelli che si sono succeduti da Romano Prodi a Matteo Renzi, ha mai detto che il Memoriale doveva rimanere là. Lo ha detto, ma solo dopo che era già stato annunciato il trasferimento a Firenze, il gruppo parlamentare di Sel. Ma è inutile recriminare, facciamo del nostro meglio adesso che l’opera torna in Italia”.
La prima opera multimediale d’Europa (e ci lavorò Levi)
L’opera si ispira alle parole scritte appositamente per i visitatori da Primo Levi. Venne inaugurata il 13 aprile del 1980 e fu la prima installazione multimediale in Europa, creata sotto la regia di Nelo Risi, Nastro d’Argento nel 1960 per il corto Fratelli Rosselli. Il visitatore camminava per 80 metri su una passerella di legno, simile ai binari ferroviari che portavano al campo, circondato da un tunnel di spire, che lasciavano intravedere, negli spazi vuoti sui lati, gli altri blocchi del lager. Nell’aria risuonava Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz, composto da Luigi Nono nel 1966. Disturbante e inquietante come un incubo che si trascina dopo il risveglio, è la colonna sonora di una discesa all’Inferno. Le spirali in tessuto erano state affrescate dall’interno dal siciliano Pupino Samonà, scomparso nel 2007. Il bianco del movimento cattolico, il rosso del socialismo, il giallo delle stelle di David, imposte agli ebrei nella persecuzione, si incrociano in un turbine di linee ed eclissi, come era nello stile del pittore astrattista tra gli artisti preferiti da Peggy Guggenheim. A proposito del Memoriale, Samonà disse: “Un lavoro estenuante, di grande responsabilità. Ho letto i terribili documenti delle Ss e fumato 200 sigarette al giorno. E, quando ho finito, ho avuto difficoltà a dipingere ancora, mi sembrava ormai tutto senza senso”. Nel 2004 gli era stato conferito il Premio per la cultura della Presidenza del Consiglio.
Nel 2015 un milione di euro dall’Italia ad Auschwitz
Il Governo Renzi nel 2015 ha versato un milione di euro come contributo dell’Italia alla Fondazione Auschwitz-Birkenau per il mantenimento dell’ex campo di sterminio. Una sciocchezza, a confronto dei 60 milioni stanziati dalla Germania, dei 15 milioni degli Usa, dei 15 della Polonia. Meglio di noi anche Francia (5 milioni) e Regno Unito (2 milioni). Un milione di dollari è giunto da Israele, mentre il Vaticano ha risposto all’appello del Museo polacco con 100mila euro.
L’ideatore, l’architetto deportato Belgiojoso
L’opera doveva trasmettere “una sintesi dello stato d’animo” dei deportati, come spiegò nel 1979 l’ideatore Lodovico Barbiano di Belgiojoso, architetto scomparso nel 2004, internato a Mauthausen dal 1944 al 1945. Il percorso all’interno di spire doveva rievocare “l’incubo del deportato straziato fra la quasi certezza della morte e la tenue speranza della sopravvivenza”. Le immagini ricordano come si è arrivati a tanto orrore. Simboli e volti illustrano l’ascesa del fascismo, le lotte operaie, le guerre d’Africa e di Spagna, l’alleanza con Hitler, l’entrata in guerra, l’occupazione nazista, la lotta partigiana, le deportazioni razziali e politiche. Poche scritte, tante suggestioni. Fino alla fine del tunnel, un’apertura fisica e simbolica su un mondo migliore. Per Belgiojoso era chiara una cosa: era impossibile spiegare a un pubblico eterogeneo, e in particolare alla Polonia che avrebbe ospitato l’opera, come l’Italia, al pari degli altri Paesi, avesse subito duramente la deportazione. La Polonia, spiega Belgiojoso, ricordava gli italiani al fianco dei nazisti nell’invasione dell’est Europa. Bisognava allora partire da lontano, raccontare il Ventennio ma anche l’antifascismo che nacque parallelamente. Da qui i richiami comunisti. Ma non è bastato.