La sfiducia ha la meglio sull’Europa a cui non basta il rialzo dei prezzi del petrolio per riprendere quota e così le piazze finanziarie del Vecchio Continente, già deboli in scia alle deludenti decisioni della Federal reserve della sera prima, hanno vissuto una nuova giornata di passione da Francoforte (-2,55%) a Parigi (-1,42%) passando per Londra (-0,98%) e Madrid (-1,72%). Ma la sorte peggiore è toccata ancora una volta a Piazza Affari che, trascinata al ribasso dal settore bancario è crollata del 3,49 per cento. “Le preoccupazioni circa la crescita globale con la disfatta dei prezzi del petrolio e il rallentamento in Cina pesano sui titoli nel 2016”, ha sintetizzato a Bloomberg Michael Ingram, market strategist di BGC Partners. Eppure nel pomeriggio il petrolio aveva registrato una fiammata tornado sopra i 35 dollari al barile, dopo la notizia che a febbraio l’Opec discuterà di una possibile riduzione del 5% della produzione. Più forte, evidentemente, è stata la memoria delle “preoccupazioni” espresse dalla banca centrale americana per il rallentamento della crescita globale, alla base della decisione di mantenere invariati i tassi d’interesse. La Fed ha in particolare fatto riferimento alla possibilità che le turbolenze dei mercati e il rallentamento della crescita globale intacchino lo stato di salute della congiuntura Usa, il cui polso sarà tastabile venerdì con i dati sul Pil del quarto trimestre 2015.  “I mercati sembrano essere già pronti a un rallentamento della crescita rispetto al trimestre precedente, ma dati lontani dal consenso potrebbero accentuare i movimenti”, rileva Vincenzo Longo, Market Strategist di IG.

Caso a sé Milano, in preda alle reazioni del mercato al deludente accordo raggiunto martedì sera dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, sulla gestione delle sofferenze bancarie. Tra i titoli più colpiti la Popolare di Milano, precipitata del 9,81%, quella dell’Emilia Romagna (-7,52%), il Monte dei Paschi di Siena  (-7,88%), Unicredit (-6,48%), Unipol (-6,21% complice la situazione della banca controllata), Ubi (-5,85%) e il Banco Popolare (-5,8%). A precipizio, poi, anche Fiat Chrysler (-7,19%) i cui conti con il relativo aggiornamento del piano industriale non sono evidentemente piaciuti al mercato. A complicare una situazione già delicata, in mattinata, è emerso che i titoli derivanti dalle cartolarizzazioni (in gergo asset backed securities) dei prestiti deteriorati in pancia alle banche italiane eseguite in linea con l’operazione strutturata da Padoan a Bruxelles, potrebbero non essere acquistabili dalla Banca Centrale Europea nell’ambito del quantitative easing, il mezzo con cui Francoforte sta immettendo liquidità nel sistema. Uno dei principi guida dell’Eurotower è che gli strumenti finanziari acquistabili, oltre ad aver un rating minimo pari ad A-, abbiano come sottostante dei prestiti in bonis: “Al momento dell’inclusione nella cartolarizzazione – si legge nella documentazione – un prestito non dev’essere oggetto di contenzioso, in default, o in probabile insolvenza”. Un criterio che le sofferenze bancarie, benché di buona qualità, non soddisfano, anche se la Bce potrebbe introdurre una delega per i titoli che otterranno la garanzia di uno Stato sovrano.

In mattinata, poi, l’agenzia Fitch ha messo nero su bianco le perplessità espresse mercoledì dagli osservatori sul compromesso raggiunto a Bruxelles per sgravare gli istituti italiani dai crediti deteriorati, che secondo l’agenzia rischia di avere “una limitata capacità di migliorare in modo significativo la qualità dell’attivo del settore bancario italiano”. In più il fatto che si tratti di uno schema che si attiva su basa volontaria “potrebbe limitare le sue dimensioni e “abbiamo anche motivo di dubitare che lo schema sia sufficientemente attraente per invogliare le banche a farne un uso significativo”. Senza contare, per chi aderirà, il rischio che la valutazione di mercato dei crediti in pancia alle banche comporti nuove perdite e nuove ricapitalizzazioni.

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