Donald Trump o Ted Cruz? L’alternativa cui si trovano di fronte i repubblicani Usa e l’intero mondo conservatore americano non è soltanto qualcosa di impensabile pochi mesi fa. E’ anche il sintomo di una crisi profonda, di divisioni feroci e di una scelta che potrebbe potenzialmente distruggere il Grand Old Party; o almeno cancellarlo dall’orizzonte politico nella sua forma attuale.
Il 1 febbraio, lunedì prossimo, si vota per le primarie in Iowa; il 9 febbraio in New Hampshire. Il voto riguarda democratici e repubblicani, ma l’atmosfera è particolarmente tesa soprattutto in campo repubblicano. Soltanto ultime ore, c’è stato l’attacco durissimo di Marco Rubio a Planned Parenthood, il gruppo che si occupa di aborto e salute della donna; c’è stato l’emergere di un dato, i 35 milioni spesi dai candidati repubblicani più moderati per farsi la guerra l’un l’altro; c’è stato, soprattutto, il clamoroso no di Donald Trump al dibattito televisivo organizzato da Fox News a pochi giorni dal voto. Al magnate non è piaciuto un passo contenuto in un servizio di Fox, quello secondo cui Trump, nel caso diventasse presidente “chiederà ai suoi seguaci di Twitter se deve incontrare l’Ayatollah o Putin”.
Questo però è un copione abituale, nel gran circo delle primarie, se paragonato al vero dramma che travolge il campo repubblicano: quello appunto di una campagna che non è andata come ci si aspettava e che ora, con ogni probabilità, non è più possibile raddrizzare. Per mesi “il fenomeno Trump” è stato liquidato come puro folklore. L’epiteto più frequente scelto per il miliardario newyorkese era “clown”. Per mesi si è atteso l’emergere del vero candidato – poteva essere Jeb Bush, poteva essere Marco Rubio, poteva essere John Kasich – capace di unificare il partito sotto un’ala di conservatorismo moderato. L’alternativa “moderata” non è mai emersa. Non soltanto Donald Trump ha continuato a macinare consensi, sempre più ampi e convinti ad ogni sparata populistica – contro gli immigrati, le donne, i portatori d’handicap. Ma alla fine ad emergere come unica possibile alternativa a Trump è stato il senatore del Texas Ted Cruz; che per la leadership repubblicana, da molti punti di vista, è persino peggio di Trump.
A pochi giorni dal voto in Iowa la domanda che l’élite politica repubblicana di Washington si trova di fronte pare dunque questa: è meglio il populismo di Trump o il conservatorismo radicale di Cruz? E qui le risposte nel partito si differenziano, a seconda degli interessi, delle posizioni, del ruolo che singoli o gruppi dell’arcipelago repubblicano – di solito molto frastagliato – rappresentano. Se infatti per la “struttura” del partito – i suoi lobbisti, funzionari, portaborse – Cruz è sicuramente una minaccia esistenziale, la classe intellettuale sembra temere molto di più l’effetto di Trump.
Nonostante si rivolgano entrambi soprattutto all’elettorato più radicale e di destra, Trump e Cruz sono infatti due candidati molto diversi. Donald Trump è un miliardario con un passato di simpatie liberal. Ha finanziato indistintamente, negli anni passati, politici progressisti o conservatori, a seconda di chi potesse favorire i suoi interessi di imprenditore. Il cuore del suo “messaggio” politico non è neppure assimilabile a una supposta destra o sinistra. L’appello di Trump è “populista” nel senso che si rivolge a una massa di americani genericamente insoddisfatti per come sono andate le cose negli ultimi anni: classe media impoverita, ampi settori di popolazione preoccupati per possibili attacchi terroristici, maggioranza silenziosa alle prese con i cambiamenti introdotti da migrazioni, nuovi assetti produttivi, matrimoni gay. Alla massa dei delusi e insoddisfatti, Trump offre l’alternativa generica di un’“America grande”, di nuovo potente, di certo rassicurante – il tutto mediato e realizzato attraverso l’azione quasi messianica dell’uomo forte. Lui, appunto, Donald Trump.
Si tratta di un’indifferenza ai valori portanti del repubblicanesimo che preoccupa. Preoccupa i repubblicani moderati, tradizionalmente attenti ai corpi intermedi e sospettosi di ogni forma di populismo; e preoccupa i repubblicani conservatori, che non si fidano di Trump in tema di aborto, religione, stili di vita. Proprio per questa sua alterità al vecchio partito, Trump non ha una struttura che lo sostiene. Oltre al gruppo messo insieme, spesso un po’ fortunosamente, per questa campagna, Trump resta per i repubblicani un “marziano”. Non ha legami particolari con la struttura di Washington; non si porta dietro un mondo di interessi e think-tank; non ha suoi uomini pronti a prendere in mano il corso quotidiano degli affari politici.
Il caso di Ted Cruz è diverso. Cruz porta con sé un’ideologia chiara e riconoscibile. E’ un conservatore vicino ai Tea Parties e alla destra religiosa. A differenza di Trump, che dice di essere “pro-life” ma poi si rifiuta di rispondere alla domanda se “l’aborto è male sempre”, Cruz ritiene che l’aborto sia un crimine da evitare comunque, anche nel caso di stupro o pericolo di vita per la donna. Se Trump non ha una vera dottrina in politica estera, e oscilla tra spacconate interventiste e idee di ritiro dell’America dal mondo, Cruz dipinge una decisa politica militare nelle aree più calde. Soprattutto, a differenza di Trump, Cruz si porta dietro “un mondo”: gruppi da beneficiare, uomini da piazzare, strategie da implementare.
E’ questa radicale divaricazione tra i due – con al momento maggiori possibilità di vittoria – a dividere anche il campo repubblicano. In generale, intellettuali, riviste, giornali che riflettono e rilanciano il pensiero conservatore ritengono che la vera minaccia venga da Trump. Alcuni giorni fa Rich Lowry, direttore di National Review, ha lanciato un manifesto, poi firmato da altri esponenti di punta del pensiero conservatore – tra questi Erick Erickson, William Kristol, Yuval Levin – che spiega che Trump non ha alcun interesse a limitare il ruolo del governo centrale e mostra forti impulsi autoritari. “Donald Trump è una minaccia al conservatorismo americano – scrivono quelli di National Review – che distruggerebbe il lavoro di generazioni, lo calpesterebbe a vantaggio di un populismo incurante e crudo come Donald stesso”.
Molto più riconoscibile, per gli intellettuali repubblicani, il conservatorismo estremo di Cruz, che si identifica con settori sociali ben definiti e probabilmente minoritari dell’universo repubblicano, ma che almeno fa parte di quell’universo. Questa interpretazione incontra però molti dubbi proprio nella struttura del partito di Washington, nella sua ala più operativa e militante. Cruz non ha mai nascosto il suo disdegno per la leadership del G.O.P., quella che lui, da uomo del Texas, continua da anni a prendere di mira come origine dei mali del Paese. E’ fuor di dubbio che, una volta candidato alla presidenza, quindi con una più forte presa sul partito, non esiterebbe a far piazza pulita di molto e molti. “Possiamo vivere con Trump – ha spiegato Richard F. Hohlt, un lobbista da tanti anni al servizio dei repubblicani a Washington – Trump piace a tutti? No. Ma la percezione è che non si sovrapporrà al partito stesso o collocherà persone sue. Mentre invece Cruz ha gente sua”.
La relativa indifferenza ideologica di Trump è poi, per la leadership di Washington, garanzia del fatto che prima o poi questi avrà bisogno del partito. Come ha spiegato un altro lobbista da anni sulla scena politica, Charles R. Black, “nel caso venisse nominato, Trump sarà terrorizzato. A quel punto chiamerà il partito e dirà di voler trattare e discutere”. Con un’appendice – spesso non detta – che però è davanti agli occhi di tutti. Trump non ha grandi possibilità di vittoria, nel caso fosse il candidato ufficiale dei repubblicani. Tanto vale lasciargli in mano il partito fino a novembre, liquidare questa parentesi e tornare alla normalità.
A pochi giorni dall’inizio ufficiale delle primarie, il partito repubblicano si trova dunque in una situazione per molti versi simile a quella che segnò un’altra sfida storica: quella tra Barry Goldwater e Nelson Rockfeller nella campagna per le presidenziali del 1964, con la contrapposizione tra una visione più pragmatica e una più dogmatica e purista del conservatorismo. Lo scontro questa volta sembra però molto più profondo di allora, permeato da una sensazione spiacevole: che chiunque sia nominato, e comunque vada il prossimo novembre, quello che è in gioco oggi è il destino stesso del conservatorismo Usa.
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Primarie Usa 2016, corsa a due Trump-Cruz tra i Repubblicani. Ecco perché lo scontro potrebbe segnare la fine del G.O.P.
A pochi giorni dal voto in Iowa il panorama si polarizza ulteriormente. Da una parte il magnate televisivo, in vantaggio nei sondaggi, populista, indifferente ai valori del repubblicanesimo medio ma capace di intercettare le paure della classe media impoverita. Dall'altra il conservatore radicale vicino ai Tea Parties e alla destra religiosa: ritiene che l’aborto sia un crimine, è fautore di una decisa politica militare nelle aree più calde. Oltre a loro due nessuna alternativa "moderata"
Donald Trump o Ted Cruz? L’alternativa cui si trovano di fronte i repubblicani Usa e l’intero mondo conservatore americano non è soltanto qualcosa di impensabile pochi mesi fa. E’ anche il sintomo di una crisi profonda, di divisioni feroci e di una scelta che potrebbe potenzialmente distruggere il Grand Old Party; o almeno cancellarlo dall’orizzonte politico nella sua forma attuale.
Il 1 febbraio, lunedì prossimo, si vota per le primarie in Iowa; il 9 febbraio in New Hampshire. Il voto riguarda democratici e repubblicani, ma l’atmosfera è particolarmente tesa soprattutto in campo repubblicano. Soltanto ultime ore, c’è stato l’attacco durissimo di Marco Rubio a Planned Parenthood, il gruppo che si occupa di aborto e salute della donna; c’è stato l’emergere di un dato, i 35 milioni spesi dai candidati repubblicani più moderati per farsi la guerra l’un l’altro; c’è stato, soprattutto, il clamoroso no di Donald Trump al dibattito televisivo organizzato da Fox News a pochi giorni dal voto. Al magnate non è piaciuto un passo contenuto in un servizio di Fox, quello secondo cui Trump, nel caso diventasse presidente “chiederà ai suoi seguaci di Twitter se deve incontrare l’Ayatollah o Putin”.
Questo però è un copione abituale, nel gran circo delle primarie, se paragonato al vero dramma che travolge il campo repubblicano: quello appunto di una campagna che non è andata come ci si aspettava e che ora, con ogni probabilità, non è più possibile raddrizzare. Per mesi “il fenomeno Trump” è stato liquidato come puro folklore. L’epiteto più frequente scelto per il miliardario newyorkese era “clown”. Per mesi si è atteso l’emergere del vero candidato – poteva essere Jeb Bush, poteva essere Marco Rubio, poteva essere John Kasich – capace di unificare il partito sotto un’ala di conservatorismo moderato. L’alternativa “moderata” non è mai emersa. Non soltanto Donald Trump ha continuato a macinare consensi, sempre più ampi e convinti ad ogni sparata populistica – contro gli immigrati, le donne, i portatori d’handicap. Ma alla fine ad emergere come unica possibile alternativa a Trump è stato il senatore del Texas Ted Cruz; che per la leadership repubblicana, da molti punti di vista, è persino peggio di Trump.
A pochi giorni dal voto in Iowa la domanda che l’élite politica repubblicana di Washington si trova di fronte pare dunque questa: è meglio il populismo di Trump o il conservatorismo radicale di Cruz? E qui le risposte nel partito si differenziano, a seconda degli interessi, delle posizioni, del ruolo che singoli o gruppi dell’arcipelago repubblicano – di solito molto frastagliato – rappresentano. Se infatti per la “struttura” del partito – i suoi lobbisti, funzionari, portaborse – Cruz è sicuramente una minaccia esistenziale, la classe intellettuale sembra temere molto di più l’effetto di Trump.
Nonostante si rivolgano entrambi soprattutto all’elettorato più radicale e di destra, Trump e Cruz sono infatti due candidati molto diversi. Donald Trump è un miliardario con un passato di simpatie liberal. Ha finanziato indistintamente, negli anni passati, politici progressisti o conservatori, a seconda di chi potesse favorire i suoi interessi di imprenditore. Il cuore del suo “messaggio” politico non è neppure assimilabile a una supposta destra o sinistra. L’appello di Trump è “populista” nel senso che si rivolge a una massa di americani genericamente insoddisfatti per come sono andate le cose negli ultimi anni: classe media impoverita, ampi settori di popolazione preoccupati per possibili attacchi terroristici, maggioranza silenziosa alle prese con i cambiamenti introdotti da migrazioni, nuovi assetti produttivi, matrimoni gay. Alla massa dei delusi e insoddisfatti, Trump offre l’alternativa generica di un’“America grande”, di nuovo potente, di certo rassicurante – il tutto mediato e realizzato attraverso l’azione quasi messianica dell’uomo forte. Lui, appunto, Donald Trump.
Si tratta di un’indifferenza ai valori portanti del repubblicanesimo che preoccupa. Preoccupa i repubblicani moderati, tradizionalmente attenti ai corpi intermedi e sospettosi di ogni forma di populismo; e preoccupa i repubblicani conservatori, che non si fidano di Trump in tema di aborto, religione, stili di vita. Proprio per questa sua alterità al vecchio partito, Trump non ha una struttura che lo sostiene. Oltre al gruppo messo insieme, spesso un po’ fortunosamente, per questa campagna, Trump resta per i repubblicani un “marziano”. Non ha legami particolari con la struttura di Washington; non si porta dietro un mondo di interessi e think-tank; non ha suoi uomini pronti a prendere in mano il corso quotidiano degli affari politici.
Il caso di Ted Cruz è diverso. Cruz porta con sé un’ideologia chiara e riconoscibile. E’ un conservatore vicino ai Tea Parties e alla destra religiosa. A differenza di Trump, che dice di essere “pro-life” ma poi si rifiuta di rispondere alla domanda se “l’aborto è male sempre”, Cruz ritiene che l’aborto sia un crimine da evitare comunque, anche nel caso di stupro o pericolo di vita per la donna. Se Trump non ha una vera dottrina in politica estera, e oscilla tra spacconate interventiste e idee di ritiro dell’America dal mondo, Cruz dipinge una decisa politica militare nelle aree più calde. Soprattutto, a differenza di Trump, Cruz si porta dietro “un mondo”: gruppi da beneficiare, uomini da piazzare, strategie da implementare.
E’ questa radicale divaricazione tra i due – con al momento maggiori possibilità di vittoria – a dividere anche il campo repubblicano. In generale, intellettuali, riviste, giornali che riflettono e rilanciano il pensiero conservatore ritengono che la vera minaccia venga da Trump. Alcuni giorni fa Rich Lowry, direttore di National Review, ha lanciato un manifesto, poi firmato da altri esponenti di punta del pensiero conservatore – tra questi Erick Erickson, William Kristol, Yuval Levin – che spiega che Trump non ha alcun interesse a limitare il ruolo del governo centrale e mostra forti impulsi autoritari. “Donald Trump è una minaccia al conservatorismo americano – scrivono quelli di National Review – che distruggerebbe il lavoro di generazioni, lo calpesterebbe a vantaggio di un populismo incurante e crudo come Donald stesso”.
Molto più riconoscibile, per gli intellettuali repubblicani, il conservatorismo estremo di Cruz, che si identifica con settori sociali ben definiti e probabilmente minoritari dell’universo repubblicano, ma che almeno fa parte di quell’universo. Questa interpretazione incontra però molti dubbi proprio nella struttura del partito di Washington, nella sua ala più operativa e militante. Cruz non ha mai nascosto il suo disdegno per la leadership del G.O.P., quella che lui, da uomo del Texas, continua da anni a prendere di mira come origine dei mali del Paese. E’ fuor di dubbio che, una volta candidato alla presidenza, quindi con una più forte presa sul partito, non esiterebbe a far piazza pulita di molto e molti. “Possiamo vivere con Trump – ha spiegato Richard F. Hohlt, un lobbista da tanti anni al servizio dei repubblicani a Washington – Trump piace a tutti? No. Ma la percezione è che non si sovrapporrà al partito stesso o collocherà persone sue. Mentre invece Cruz ha gente sua”.
La relativa indifferenza ideologica di Trump è poi, per la leadership di Washington, garanzia del fatto che prima o poi questi avrà bisogno del partito. Come ha spiegato un altro lobbista da anni sulla scena politica, Charles R. Black, “nel caso venisse nominato, Trump sarà terrorizzato. A quel punto chiamerà il partito e dirà di voler trattare e discutere”. Con un’appendice – spesso non detta – che però è davanti agli occhi di tutti. Trump non ha grandi possibilità di vittoria, nel caso fosse il candidato ufficiale dei repubblicani. Tanto vale lasciargli in mano il partito fino a novembre, liquidare questa parentesi e tornare alla normalità.
A pochi giorni dall’inizio ufficiale delle primarie, il partito repubblicano si trova dunque in una situazione per molti versi simile a quella che segnò un’altra sfida storica: quella tra Barry Goldwater e Nelson Rockfeller nella campagna per le presidenziali del 1964, con la contrapposizione tra una visione più pragmatica e una più dogmatica e purista del conservatorismo. Lo scontro questa volta sembra però molto più profondo di allora, permeato da una sensazione spiacevole: che chiunque sia nominato, e comunque vada il prossimo novembre, quello che è in gioco oggi è il destino stesso del conservatorismo Usa.
TRUMP POWER
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Sankt Moritz, 13 mar. -(Adnkronos) - La prima tappa della Coppa delle Alpi by 1000 Miglia 2025, partita da Brescia alle 9:00 di stamattina, è in conclusione. La classifica aggiornata alla Prova di Media sul Passo Eira vede Francesco e Giuseppe di Petra in testa a bordo della loro Fiat 508C del 1938, seguiti da Belotti-Plebani sulla Bugatti T 37 A del 1927 e da un’altra 508C ma del 1937, quella di Aliverti-Polini. Conclusa la sosta per il pranzo a Tirano, gli equipaggi hanno iniziato a risalire la Valtellina toccando prima Grosio, con la vista del Castello Vecchio di San Faustino sullo sfondo, e poi Bormio, che ha ospitato un controllo timbro in pieno centro storico. Una volta lasciata alle spalle la cittadina, hanno iniziato a profilarsi i primi scorci imbiancati. Ben presto, gli equipaggi si sono visti immersi in un panorama completamente innevato, reso ancor più bello dalla luce del sole del pomeriggio.
Sul Passo Eira, ad un’altitudine di 2000 metri, si è tenuta la prima Prova di Media della manifestazione, dopodiché il convoglio è giunto a Livigno, che ha accolto i piloti per un coffee break nella Piazza del Comune. Il benvenuto del centro cittadino è stato caloroso, con una folla entusiasta che si è riunita nei pressi dell’arco all’arrivo nella cittadina, partner della Coppa delle Alpi 2025. Costeggiando il lago di Livigno, ghiacciato dalle rigide temperature invernali, gli equipaggi sono entrati in Svizzera passando dal tunnel Munt la Schera. Le vetture sono infine giunte a St. Moritz, primo traguardo di tappa della Coppa delle Alpi 2025.
Lasciandosi alle spalle la Torre Pendente di San Maurizio, hanno effettuato le ultime prove di giornata e, dopo aver costeggiato il lago di St. Moritz, sono finalmente giunte al Controllo Orario finale nella centralissima via Serlas sotto una consistente nevicata.
Verona, 13 mar. - (Adnkronos) - "Abbiamo voluto e portato all’interno di una manifestazione fieristica un progetto di natura sociale, per la prima volta in assoluto, in quanto non era mai accaduto che si dedicasse un intero padiglione alla fiera del sociale. Lo abbiamo fatto per la prima volta in occasione del primo evento di LetExpo, e ora siamo alla quarta edizione. Siamo partiti con tre organizzazioni tra fondazioni e associazioni: Fondazione Grimaldi, la Comunità Lautari e l’ospedale pediatrico Santobono Pausilipon, con la sua Fondazione. Oggi sono più di 50 organizzazioni, c’è stata una crescita esponenziale. Sono felice di aver condiviso tutte queste annate con il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, che ha condiviso con noi questi momenti”. Lo ha detto Eugenio Grimaldi, executive manager del Gruppo Grimaldi e presidente di Alis per il Sociale alla quarta edizione di LetExpo, la fiera di riferimento per i trasporti, la logistica, i servizi alle imprese e la sostenibilità, in programma a Verona fino al 14 marzo. La fiera è promossa da Alis in collaborazione con Veronafiere, LetExpo rappresenta l’evento nazionale e internazionale di riferimento della filiera, con un focus sulle attuali dinamiche geopolitiche e sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale.
“Il ministro Locatelli ha ascoltato le istanze di queste fondazioni e organizzazioni, ci ha invitato a Palazzo Chigi, dove abbiamo avuto modo di parlare delle loro criticità e ascoltandole credo che nei nuovi decreti abbiano potuto portare e sollevare delle linee guida presenti oggi in questi nuovi decreti. Quindi, rappresenta un risultato tangibile che ci dà grande soddisfazione - afferma Grimaldi - Ho avuto la percezione anche di una crescita per i prossimi anni e questo dà sicuramente grande soddisfazione e ancora più voglia di lavorare”.
“E’ stato un momento di grande soddisfazione aver avuto momenti di condivisione con i gruppi del ministero della Difesa, come l’esercizio, che hanno partecipato in senso attivo non solo nel padiglione, dove c'è l'organizzazione del Ministero della Difesa, ma si sono avvicinati al padiglione 1, dedicato al sociale - spiega - Già abbiamo condiviso che l'anno prossimo avremo una partecipazione anche all’interno dell’organizzazione da parte loro. Abbiamo avuto anche l'Aeronautica militare, che con la Fanfara ha aperto il padiglione nella giornata inaugurale”. “Voglio ringraziare tutte le imprese, che rappresentano il senso di questo evento e le aziende che hanno già portato a termine alcuni progetti con la Comunità Lautari e con la Fondazione Grimaldi, ma soprattutto che hanno portato a compimento già con la Fondazione Santobono. C'è un senso pratico e tangibile del lavoro espresso in questo padiglione e in questa fiera, che porta sicuramente dei risultati nel terzo settore, dove ci sono i più fragili”, conclude Grimaldi.
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Cresce la consapevolezza degli italiani verso la sostenibilità alimentare. A testimoniarlo è la recente indagine 'Le scelte alimentari degli italiani tra sostenibilità e consumo: percezioni e preferenze verso i prodotti certificati' commissionata a Consumerismo No Profit da Findus e presentata oggi durante un incontro svoltosi presso l’Acquario Civico di Milano.
Secondo il sondaggio, quasi 7 consumatori su 10 (il 68% degli intervistati) considera la sostenibilità un fattore importante, con quasi il 20% che la ritiene un driver fondamentale nella scelta dei prodotti alimentari da acquistare. Inoltre, l’indagine evidenzia come le abitudini d’acquisto stiano cambiando: rispetto a 10 anni fa, il 66% degli intervistati dichiara di aver aumentato la propria attenzione nei confronti di prodotti certificati sostenibili e 2 italiani su 10 li cercano attivamente al supermercato. Quasi la metà degli intervistati (46%) dichiara di leggere spesso le etichette per verificare la provenienza e la filiera dei prodotti alimentari, il 26% lo fa sempre.
Per quanto riguarda i prodotti certificati sostenibili, 1 italiano su 10 (12%) li sceglie sempre, mentre il 71% li acquista occasionalmente, approfittando di offerte e promozioni, dimostrando una predisposizione selettiva che spesso dipende dal prezzo. Quando si tratta di prodotti ittici, la qualità e la freschezza rimangono il principale fattore di scelta per il 64% degli intervistati, seguiti dalla provenienza del pesce (59%) e dal prezzo (51%). Ma è da segnalare anche che 1 consumatore su 4 (26%) indica le certificazioni di sostenibilità come un criterio determinante nella scelta dei prodotti ittici, un dato che suggerisce come le certificazioni stiano entrando tra i criteri di scelta, seppure ci sia da continuare a lavorare.
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Cresce la consapevolezza degli italiani verso la sostenibilità alimentare. A testimoniarlo è la recente indagine 'Le scelte alimentari degli italiani tra sostenibilità e consumo: percezioni e preferenze verso i prodotti certificati' commissionata a Consumerismo No Profit da Findus e presentata oggi durante un incontro svoltosi presso l’Acquario Civico di Milano.
Secondo il sondaggio, quasi 7 consumatori su 10 (il 68% degli intervistati) considera la sostenibilità un fattore importante, con quasi il 20% che la ritiene un driver fondamentale nella scelta dei prodotti alimentari da acquistare. Inoltre, l’indagine evidenzia come le abitudini d’acquisto stiano cambiando: rispetto a 10 anni fa, il 66% degli intervistati dichiara di aver aumentato la propria attenzione nei confronti di prodotti certificati sostenibili e 2 italiani su 10 li cercano attivamente al supermercato. Quasi la metà degli intervistati (46%) dichiara di leggere spesso le etichette per verificare la provenienza e la filiera dei prodotti alimentari, il 26% lo fa sempre.
Per quanto riguarda i prodotti certificati sostenibili, 1 italiano su 10 (12%) li sceglie sempre, mentre il 71% li acquista occasionalmente, approfittando di offerte e promozioni, dimostrando una predisposizione selettiva che spesso dipende dal prezzo. Quando si tratta di prodotti ittici, la qualità e la freschezza rimangono il principale fattore di scelta per il 64% degli intervistati, seguiti dalla provenienza del pesce (59%) e dal prezzo (51%). Ma è da segnalare anche che 1 consumatore su 4 (26%) indica le certificazioni di sostenibilità come un criterio determinante nella scelta dei prodotti ittici, un dato che suggerisce come le certificazioni stiano entrando tra i criteri di scelta, seppure ci sia da continuare a lavorare.
Roma, 13 mar. - (Adnkronos) - Il Gruppo Webuild ha chiuso il 2024 con risultati record, superando gli impegnativi obiettivi previsti per l’anno grazie a una crescita a doppia cifra, con ricavi pari a 12 miliardi (+20% sul 2023) mentre l'Ebitda ammonta a 967 milioni (+18%, rispetto a una guidance fissata sopra i 900 milioni), corrispondente a un margine del’8,1%. Il gruppo sottolinea come la struttura finanziaria si è rafforzata ulteriormente mantenendo per il quarto anno consecutivo una posizione di cassa netta, che si attesta a 1.445 milioni nel 2024 (ben superiore agli oltre 400 milioni fissati nella guidance) mentre la leva finanziaria si è ridotta a 2,9x, attestandosi ad un livello migliore rispetto ai principali player internazionali di settore.
La crescita - si sottolinea - è trainata dallo sviluppo delle attività in Italia (Alta Velocità/Alta Capacità ferroviaria MilanoGenova e Verona-Padova, Alta Velocità ferroviaria Napoli-Bari e Palermo-Catania-Messina), in Australia (Snowy Hydro 2.0, SSTOM Sydney Metro, Perdaman e North East Link di Melbourne) e in Arabia Saudita (Trojena Dams e Connector South).
Il Gruppo ha continuato a consolidare la propria leadership in Italia e nei principali mercati internazionali, tra cui Europa, Australia, Stati Uniti e Medio Oriente, che nel 2024 hanno contribuito per oltre il 90% ai ricavi, a conferma del proseguimento dell’impegno nella politica di de-risking.
A fine 2024 il portafoglio ordini totale di Weibuld risultava pari a 63,2 miliardi di euro, di cui 54,3 miliardi relativi a construction e 8,9 miliardi riferiti a concessions e operation & maintenance. Il backlog construction - si sottolinea in una nota - "si conferma tra i più alti rispetto ai principali peers europei nel segmento construction". Peraltro, ricorda Webuild, circa il 90% del backlog construction del Gruppo è relativo a progetti legati all’avanzamento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite. In termini di geografie il portafoglio ordini risulta prevalentemente distribuito tra Italia, paesi dell’Europa Centrale e del Nord, Stati Uniti, Medio Oriente ed Australia - principalmente in segmenti legati alla mobilità sostenibile quali l’alta velocità, il settore ferroviario e il settore stradale - portando i progetti in queste geografie a quasi il 90% del backlog construction.
Alla luce dei risultati record raggiunti nel 2024, ma anche "del consolidato posizionamento in un mercato in forte espansione e della robusta piattaforma costruita nel tempo", Webuild ha rivisto al rialzo i target 2025, definiti nel piano "Roadmap al 2025 – The Future is Now", che già prevedevano obiettivi ambiziosi. La nuova guidance prevede per il 2025 ricavi superiori a 12,5 miliardi (il target precedente era di 10,5-11 miliardi), un Ebitda maggiore di 1,1 miliardi, rispetto ad un precedente target di €990-1.050 milioni, e una solida cassa netta superiore a 700 milioni, rispetto all’indicazione di una cassa netta positiva.
Webuild ha chiuso il 2024 con un utile netto attribuibile ai Soci della Controllante adjusted di 247 milioni di euro contro i 236 milioni del 2023.Il risultato prima delle imposte adjusted si attesta a 434 milioni con un aumento del 10% rispetto all’esercizio precedente mentre le Imposte sul reddito adjusted ammontano a 181 milioni. La Posizione finanziaria netta delle attività continuative al 31 dicembre 2024 era positiva per 1.445 (€1.431 milioni al 31 dicembre 2023), registrando un risultato superiore alle attese. Questo risultato - si sottolinea in una nota - "conferma l’efficacia delle strategie adottate per ottimizzare la gestione del capitale circolante e riflette i successi commerciali conseguiti dal Gruppo anche nel 2024, assumendo ancora maggiore rilevanza alla luce degli investimenti in dotazioni tecniche e beni in leasing (970 milioni) per l’avvio dei grandi progetti in corso".
A fine esercizio l’indebitamento lordo, al netto dell’effetto temporaneo di incremento del debito legato all’operazione di liability management di ottobre 2024, si attesta a 2,765 miliardi (2,609 miliardi nel 2023), con un rapporto Indebitamento lordo/EBITDA di 2,9x, in riduzione rispetto al dato di 3,2x al 31 dicembre 2023. Alla luce dei risultati nell'assemblea che sarà convocata per il 16 aprile sarà proposto un dividendo di 0,081 euro per azione ordinaria (+14%) e di 0,26 euro per ciascuna azione di risparmio.
Napoli, 13 mar. (Adnkronos/Labitalia) - In una Campania in crescita, ma ancora segnata dal fenomeno della fuga di talenti, il legame tra formazione universitaria e sviluppo economico diventa cruciale. Se ne è discusso presso la Sala D’Amato dell’Unione Industriale Napoli, durante l’evento 'Muoversi nelle professioni e sul territorio', promosso dalla Luiss e dedicato alle lauree magistrali dell’Ateneo.
“La Luiss lavora in prima linea per costruire corsi di laurea magistrale strettamente legati alle necessità del mercato del lavoro. Pur avendo sede a Roma, dedichiamo particolare attenzione alla Campania, seconda regione di provenienza dei nostri studenti e territorio ricco di opportunità nei settori chiave come turismo, agroalimentare e aerospazio. Il nostro obiettivo è collaborare con le imprese campane affinché i nostri studenti possano realizzarsi professionalmente all’interno di esse, raggiungendo posizioni apicali”, ha spiegato Enzo Peruffo, Dean della Graduate School Luiss e responsabile dello sviluppo dei percorsi magistrali dell’Ateneo.
Durante l’incontro sono state illustrate anche le caratteristiche dell’offerta formativa Luiss: “E' importante farsi guidare dalle proprie passioni e dai propri interessi, ma anche essere pronti a sviluppare nuove competenze trasversali, saper dialogare con l’intelligenza artificiale con solide competenze verticali e lavorare sulle life skills, le cosiddette competenze della vita. Solo così si potranno affrontare le trasformazioni attuali e future. Per noi è fondamentale interagire con tutte le realtà del territorio, da cui traiamo spunto per disegnare un’offerta formativa sempre più aderente alle esigenze del mercato del lavoro. Il nostro obiettivo è formare studenti altamente preparati, motivati e appassionati, in grado non solo di entrare nel mondo del lavoro, ma di costruire percorsi di carriera soddisfacenti e di successo”.
Roma, 13 mar. (Adnkronos/Labitalia) - Si è conclusa oggi la terza edizione del Welfare day evento di riferimento per il mondo del welfare aziendale, organizzato da Comunicazione Italiana in collaborazione con Pluxee Italia, player globale leader nei benefit aziendali e nell’employee engagement. La giornata, ospitata presso Palazzo dell’Informazione in Roma e trasmessa in diretta su www.comunicazioneitaliana.tv, ha offerto spunti concreti su come le imprese possano integrare il welfare nelle proprie strategie, favorendo sostenibilità, engagement dei dipendenti e innovazione.
L'evento si è aperto con il Keynote Speech di Pluxee Italia, in cui Anna Maria Mazzini e Tommaso Palermo - rispettivamente Chief Growth Officer e Managing Director di Pluxee Italia - hanno evidenziato come il welfare aziendale stia evolvendo in una strategia collettiva, guidata dalla digitalizzazione e dalla crescente personalizzazione dei servizi. Attraverso dati e case study, è emerso come la tecnologia stia rivoluzionando la gestione del benessere dei dipendenti, rendendolo più accessibile ed efficace. Durante l’evento Pluxee ha presentato anche la nuova piattaforma welfare: un’innovazione che amplia l’offerta dei servizi offerti, basata su flessibilità, accessibilità e ampiezza del network.
Nel corso delle tre sessioni talk show, con la partecipazione di Chro, welfare manager e altre figure hr chiave di aziende del Paese, sono stati affrontati alcuni dei temi più rilevanti per il futuro del welfare. Nel primo, 'Welfare strategico: l’alleanza tra hr e business e la creazione di valore sostenibile', con la conduzione di Esther Intile di Enel Group, è stato approfondito il legame tra il welfare aziendale e la sostenibilità delle imprese. Tra i punti emersi, la necessità di un approccio integrato tra hr e business per massimizzare l’impatto positivo del welfare sulla produttività e sulla retention dei talenti.
Nel secondo panel, “Il ruolo dei benefit aziendali all'interno della strategia di welfare”, si è discusso di come i benefit siano passati da strumenti standardizzati a soluzioni sempre più personalizzate, grazie all’ascolto attivo delle esigenze dei dipendenti e all’uso di piattaforme digitali. Relatori e relatrici hanno sottolineato l'importanza di costruire un ecosistema aziendale basato sulla flessibilità e sull’inclusione, ma hanno anche posto l’accento su una criticità diffusa: troppi dipendenti non conoscono o non sfruttano i benefit a loro disposizione. Servono quindi strategie di comunicazione più efficaci per favorire un reale engagement.
Il terzo e ultimo talk show, “La centralità del welfare nelle strategie di attraction e retention”, ha posto l’attenzione sulla crescente importanza del welfare come strumento di attrazione e fidelizzazione dei talenti. Tra le best practice emerse, il rafforzamento di benefit legati alla salute, al sostegno alla genitorialità e al benessere psicologico, aspetti ormai fondamentali per le nuove generazioni di lavoratori.
La sfida è coniugare ascolto e personalizzazione, superando l’approccio one-size-fits-all e costruendo soluzioni di welfare sempre più dinamiche, scalabili e in linea con le nuove esigenze del mondo del lavoro. Un welfare aziendale davvero efficace non solo migliora il benessere di lavoratori e lavoratrici, ma genera un impatto positivo sull'intera organizzazione, contribuendo alla sostenibilità e alla crescita nel lungo periodo. Durante l’evento hanno condiviso la loro esperienza le seguenti aziende: Altergon Italia, Atac, Eidosmedia, Fater, Fedegroup, Fendi, Hewlett Packard Enterprise, Philip Morris International, Procter & Gamble, Rheinmetall Italia, Ria Money Transfer e Tim. L’evento potrà a breve essere riascoltato su www.comunicazione.tv. L’appuntamento con il Welfare day si rinnova per il 2026, con l’obiettivo di continuare a tracciare il futuro del welfare aziendale in Italia.