Cinema

The Hateful Eight, arriva in sala l’ottavo film di Quentin Tarantino: “Le Iene formato western, con un chiaro influsso de La cosa di Carpenter”

“Potrebbe essere una piéce teatrale, anzi, lo è” esclama Quentin. Dunque un western verboso, drammatico e teatrale: già, ma molto di più. Perché The Hateful Eight è anche un film politico, seppur non nel senso classico del termine. “E’ straordinario quando ti capita di girare un film e accorgerti che dialoga con l’attualità", ha detto in regista in conferenza stampa, a Roma

di Anna Maria Pasetti

Stanno seduti fianco a fianco Quentin ed Ennio, il più giovane che lo fa accomodare sulla sedia come fosse un figlio. E Morricone, naturalmente, lo ringrazia. Come sempre Tarantino non nasconde il suo entusiasmo di stare di fronte a una platea che lo adora. Così gli capita spesso, e l’Italia non fa eccezione alla conferenza stampa odierna in quel dell’Hotel Hassler di Roma. “Grassie, grassie” ostentava nel suo scarso italiano davanti agli applausi che indubbiamente gli confermano l’aura di mito che da anni lo avvolge. Il suo imponente The Hateful Eight è già cult, benché non sia ancora uscito nel Belpaese dove arriverà il 4 febbraio in circa 600 sale. A distribuirlo è proprio la Leone Film Group, fondata da Sergio (Leone) di cui Tarantino è noto estimatore. “Ho persino chiamato un’inquadratura Leone pov (point of view, ndr) in suo omaggio” esclama rivolgendosi ai figli del maestro del western all’italiana, Andrea e Raffaella Leone.  Il film è girato nella rara pellicola Panavision Ultra 70mm, e la proiezione di ieri sera per la stampa nel felliniano Teatro 5 di Cinecittà ne ha messo in evidenza la maestosità. Tanto che ha ragione Quentin a dichiarare “ora che avete provato la meraviglia dei 70mm non potrete più tornare al digitale!”. In realtà la visione prelibata in 70mm è riservata solo a tre schermi italiani: quello di Cinecittà appunto, che la terrà per tutto il mese di febbraio, quello della Sala Energia al Cinema Arcadia di Melzo (Mi) e il Cinema Lumière della Cineteca di Bologna. Per il resto solo digitale e una differenza anche in lunghezza: 3h8’ in 70mm e 2h47’ in digitale. Scherza, ma non troppo, Quentin asserendo che la lotta tra pellicola e digitale assomiglia a quella tra indiani e coloni d’America, “ma la pellicola sopravviverà meglio degli indiani, fidatevi di me!”.

Focali e formato giocano di fatto un ruolo fondativo e fondamentale in The Hateful Eight, l’8° film di Tarantino e indubbiamente il più dolente. I suoi otto odiosi e respingenti protagonisti sono tenuti a distanza dal loro autore, ma con chiarissimo dolore. Tra loro non esiste un eroe, tutti mentono e ovviamente nessuno si fida degli altri, seppur costretti a condividere una lunga giornata in una capanna di montagna – l’emporio di Minnie –  per rifugiarsi dalla bufera di neve che imperversa tra i monti del Wyoming. Sette uomini e una donna, l’unica prigioniera, che sputa ad ogni pié sospinto facendo del proprio meglio per risultare repellente. La straordinarietà di The Hateful Eight, che Tarantino definisce “Le Iene formato western, con un chiaro influsso de La cosa di Carpenter” è che il 70mm viene usato nel 90% delle inquadrature in interni, anzi, nell’unico interno in cui è girato il film. Stravagante ma geniale come scelta estetica, questa mostra in pienezza la teatralità del film.

“Potrebbe essere una piéce teatrale, anzi, lo è” esclama Quentin. Dunque un western verboso, drammatico e teatrale: già, ma molto di più. Perché The Hateful Eight è anche un film politico, seppur non nel senso classico del termine. “E’ straordinario quando ti capita di girare un film e accorgerti che dialoga con l’attualità: in questo caso me ne sono reso conto durante le riprese e non in fase di sceneggiatura” spiega il regista sceneggiatore. Il quadro visivo permesso dai 70mm permette allo spettatore di scegliere la propria scena, i propri personaggi da osservare, proprio come in un grande palcoscenico dove accadono molti fatti e ciascuno può seguire quello che maggiormente lo interessa.

L’implacabilità della violenzaà la Tarantino” arriva naturalmente dopo una lunga preparazione: esplode sanguinaria e scespiriana senza esclusioni di colpi lasciando attonito (o soddisfatto) lo spettatore. È quella la visione che Tarantino – da sempre ma ad ogni film con maggiore evidenza – si è fatto del Sogno Americano, cioè un sogno infranto, costellato da menzogne.  Con sé, al tour promozionale italiano si è portato due degli otto “odiosi”: Michael Madsen (Joe Gage) e Kurt Russell (John Ruth – il boia): si sente la mancanza dell’unica donna, Daisy Domergue interpretata da una favolosa Jennifer Jason Leigh candidata all’Oscar e il suo amico-feticcio Samuel L. Jackson (Maggiore Marquis Warren). “Mi spiace che Samuel non sia candidato all’Oscar, se lo meritava” dichiara Quentin aggirando poi con furbizia la polemica degli Oscar too White messa in campo da Spike Lee: “Se io fossi candidato ci andrei alla Notte degli Oscar, ma poiché non lo sono, sto a casa”. Ad esser nominato invece è il Maestro Ennio Morricone, standing ovation per lui da parte di tutti.

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