“L’Iowa è uno Stato particolare, chi vince qui non è detto che vinca nel resto del Paese”. Arthur Sanders insegna scienze politiche alla Drake University di Des Moines. Da anni assiste allo stesso rito: il circo della politica e dei media che scende da Washington e New York su questo Stato di laghi e praterie. Giorni di parole, numeri, previsioni, dibattiti. Quindi il voto, il primo delle primarie, che però dà spesso indicazioni vaghe su quali saranno i candidati che democratici e repubblicani sceglieranno davvero. L’Iowa ha infatti una composizione particolare: molte zone rurali, colletti bianchi concentrati per lo più a Des Moines – dove ci sono le sedi di grandi aziende come Principal e Wells Fargo – una vasta fetta di evangelici, in generale una popolazione più conservatrice che nel resto del Paese. Per questo il candidato che vince in Iowa non è per forza quello che alla fine prevarrà. Questo è vero soprattutto per i repubblicani. Qui nel 2008 vinse Mike Huckabee e nel 2012 Rick Santorum, due beniamini dell’elettorato più religioso che presto sparirono dalla competizione. Più affidabile il voto dell’Iowa per i democratici. Proprio in Iowa, nel 2008, Barack Obama mise a segno la sua prima vittoria e iniziò la scalata alla Casa Bianca.

Fatta questa premessa, il ciclo delle primarie è anche e soprattutto uno spettacolo con le sue storie, personaggi, vincitori e vinti; media e investitori pubblicitari ci puntano, cercando di spettacolarizzare il più possibile l’evento e creando una suspence che con la politica ha spesso poco a che fare. Quest’anno lo spettacolo è stato in qualche modo garantito dalla presenza di Donald Trump, il miliardario che ha goduto di una larghissima copertura di giornali e TV grazie a sparate ad effetto – su donne, messicani, musulmani, portatori di handicap, giornalisti e rivali repubblicani – e a una meticolosa strategia di comunicazione. Snobbato anzitutto dal suo partito, Trump è riuscito a raccogliere attorno a sé larghi settori di elettorato delle primarie, soprattutto quello maschile, bianco, di ceto medio-basso, colpito dalla crisi economica e deluso per le promesse mancate.

I democratici – A poche ore dal voto, entrambi i campi, democratico e repubblicano, hanno dei favoriti ma non vincitori certi. Per i democratici è in vantaggio Hillary Clinton. Due sondaggi (Public Policy Polling e Gravis Marketing), la danno davanti a Bernie Sanders con uno scarto tra gli 8 e i 10 punti, mentre l’ultima rilevazione firmata dal Des Moines Register e da Bloomberg, l’ultimo prima del voto, Hillary si attesta al 45% e Sanders al 42%. In una serie di rally e comizi veloci durante il week-end – in scuole, caffé, centri commerciali – la Clinton ha enfatizzato soprattutto due temi: pragmatismo ed eleggibilità. “Sono la candidata che continua quanto fatto da Obama e sono quella che ha più probabilità di battere i repubblicani alle elezioni generali”, ha continuato a ripetere. La strategia della Clinton in queste settimane si è concentrata soprattutto sui grandi centri urbani dello Stato, Des MoinesDavenport, Cedar Rapids, oltre che sulle contee del Sud – AppanooseDecatur e Wayne – dove la popolazione più anziana e tendenzialmente conservatrice dovrebbe favorirla. Se le dovessero mancare proprio questi voti, la notte della conta elettorale potrebbe rivelarsi per lei lunga e densa di brutte sorprese. Un ulteriore ostacolo per la Clinton è venuto nelle ultime ore da Washington, con la notizia di materiale “top secret” spedito dall’indirizzo e-mail privato dell’ex-segretario di stato. La Clinton ha sempre sostenuto che niente di “sensibile” per la sicurezza del governo federale era transitato per quel server. La rivelazione tocca ora il nervo su cui la candidata appare più scoperta: quello della sua “sincerità”, dell’affidabilità morale delle sue affermazioni e scelte.

Diverso il caso di Bernie Sanders. Il senatore del Vermont – l’unico senatore “socialista” del Senato americano, come è stato spesso definito – continua a condurre una campagna basata sui principi, sull’appello soprattutto etico al ritorno a un’America più giusta e a una democrazia più realizzata. Sanders gode di un seguito enorme soprattutto tra i giovani, tra i professionisti e la borghesia urbana. Molte case nei centri di Des Moines e Davenport esibiscono nei giardini e cortili manifesti elettorali pro-Sanders. E diversi frequentatori di caffè e ristoranti, per il brunch del sabato, hanno indossato le spillette elettorali del candidato. L’opinione più diffusa su di lui è quella che IlFattoQuotidiano.it ha raccolto da un suo elettore, Gabriel O’Hara, studente a Iowa University e autista, la sera, di un taxi Uber: “Sono convinto che gran parte di quello che vuole Sanders sia difficile da realizzare. Ma voto per lui perché è un visionario e vuole un’America più umana e gentile”. Sanders, con ogni probabilità, sconterà il tono moderato e conservatore di buona parte dell’elettorato democratico dell’Iowa. La sua roccaforte elettorale, altrettanto probabilmente, è nelle contee di Johnson, di Jackson, di Buchanan, dove si concentrano i college e le università e quel voto giovanile che lo ha eletto come proprio rappresentante.

I repubblicani – Se la battaglia in campo democratico appare tesa ma comunque confinata all’interno dello scontro politico e di idee, quella repubblicana in questi mesi è stata tante cose diverse: show mediatico, vaudeville, constatazione drammatica delle divisioni e
della crisi del partito. Il sondaggio Gravis Marketing delle ultime ore dà Donald Trump in vantaggio su Ted Cruz con un margine di tre-quattro punti. Il magnate newyorkese ha messo in piedi, giovedì sera, un’altra delle sue spregiudicate operazioni di comunicazione: ha rifiutato di partecipare all’evento sponsorizzato da Fox News con tutti i candidati repubblicani, adducendo il modo in cui Fox l’ha trattato in questi mesi, e ne ha organizzato uno proprio, dedicato alla raccolta di fondi per i veterani. La mossa, ancora una volta, ha pagato. Il giorno dopo i titoli di TV e giornali erano tutti per lui.

L’evento organizzato da Trump, con centinaia di persone che per ore sono rimaste in piedi, a cinque gradi sotto zero, in attesa di entrare nell’auditorium, è stato un utile promemoria del tipo di elettorato che Trump attrae. Tra i suoi sostenitori c’è parte dell’elettorato repubblicano tradizionale, i liberisti attratti dal businessman di successo e chi crede a un’America di nuovo forte e potente nel mondo. Ma tra i suoi elettori ci sono anche quelli che lo seguivano nell’“Apprentice” televisivo; i più giovani, che otto anni fa sostenevano Ron Paul e che ora vedono in Trump un’alternativa esplosiva ai compromessi di Washington; fasce di popolazione indebolita dalla crisi di questi anni, spaventate da possibili attacchi terroristici, disorientati da migrazioni e nuovi modelli di famiglia, cui piace la sfrontatezza orgogliosa e in fondo semplicistica con cui Trump affronta la politica. A questo mondo composito Trump offre non tanto una strategia politica quanto un possibile futuro sterilizzato da minacce, contraddizioni, mediazioni. L’Iowa sarà il primo banco di prova per lui e scioglierà il dubbio che da mesi lo accompagna: vero candidato o puro intrattenimento.

Quanto agli altri sfidanti repubblicani, i moderati sanno che l’Iowa per loro è territorio proibito e guardano già oltre. John Kasich, Jeb Bush, Chris Christie fanno comizi in zona ma pensano già al New Hampshire. Restano Ted Cruz e Marco Rubio. Le probabilità di Cruz, anche lui come Trump indigesto alla leadership del partito, restano legate alla capacità di compattare il voto degli evangelici e in generale dei social conservatives. Proprio a questi si è rivolto il senatore del Texas nell’ultimo dibattito televisivo, proclamando di essere l’unico candidato che “dice di essere in linea con i vostri principi e fa davvero quello che questi principi impongono”. Il problema, per Cruz, è che il suo voto pare frammentarsi. Parte dei conservatori dell’Iowa sono stati richiamati dal miraggio anti-immigrazione di Trump. Un’altra parte è in libera uscita verso Marco Rubio, che nelle ultime settimane ha moltiplicato i suoi accenni a Dio, religione, aborto, e al tempo stesso focalizzato la campagna sui centri urbani dell’est dello Stato. Un buon terzo posto per Rubio, dietro Cruz e Trump, potrebbe essere un risultato importante. Lo accrediterebbe come alternativa ai due – un’alternativa conservatrice ma comunque più moderata e non anti-establishment -, assicurandogli finanziamenti e sostegno dei big del partito.

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