La studentessa disabile che cambia cinque docenti di sostegno in un anno. La mamma del figlio autistico che ancora si ricorda del traumatico cambio di insegnante in terza elementare. La ragazzina con disturbi provocatori che regredisce all’improvviso per il ritorno della professoressa con cui aveva avuto una brutta esperienza. Storie, così diverse e così simili fra loro, di famiglie che vivono sulla propria pelle il problema del precariato nella scuola. Le supplenze sono sempre negative per l’offerta formativa. E possono diventare addirittura devastanti quando si parla di sostegno a studenti con disabilità. “Mio figlio ha 15 anni ed è autistico, una patologia complessa: il rapporto col docente è decisivo per la sua serenità quotidiana. Ha bisogno di stabilità, di confidenza. E invece il cambiamento non ci ha mai aiutato”, racconta Adriana di Catania, mamma di uno dei 138.744 alunni con problemi intellettivi che frequentano la scuola italiana. Oltre la metà dei 235mila studenti con disabilità censiti dal Miur.
È uno dei problemi principali che “La Buona scuola” non è stata in grado di risolvere, almeno non completamente: le assunzioni sul sostegno sono state meno di 25mila, sul totale di circa 87mila cattedre assegnate dal piano straordinario. Mentre all’ultimo rilevamento ministeriale i precari erano ancora 44mila, quasi il 40% del personale docente. Tante cattedre erano e restano scoperte, la situazione rischia di riproporsi anche il prossimo settembre. “Alle elementari ci è toccato un insegnante diverso ogni anno. Il passaggio dalla seconda alla terza fu terribile: mio figlio era stato benissimo, quando tornò a scuola trovò un’altra persona a cui non riuscì mai ad abituarsi. Passammo un anno infernale, anche a casa”, spiega la mamma. È andata molto meglio alle medie: “Lì siamo stati più fortunati, lo stesso docente è rimasto per l’intero ciclo. Ci siamo trovati così bene che abbiamo deciso di fargli ripetere la terza media. Proprio perché la continuità è fondamentale”.
Cambiare, invece, può essere traumatico. Anche da un anno all’altro, con di mezzo l’estate come fase di assestamento. Figuriamoci se più volte e ad anno in corso, come è successo a F., 18enne della provincia di Lucca affetta da un ritardo evolutivo globale che la costringe sulla sedia a rotelle fin da piccola. “Da settembre abbiamo avuto cinque docenti di sostegno diversi, nessuno specializzato”, spiega la madre Elena. E pensare che l’anno era partito sotto i migliori auspici: “Ci avevano assegnato il massimo di ore, senza dover fare ricorsi. Eravamo contenti”. Poi il caos delle nomine: “All’inizio gli insegnanti non si trovavano proprio: la nostra scuola nella Garfagnana è disagevole da raggiungere, tanti rifiutavano”. Quando è stato trovato il primo, l’assegnazione era sbagliata. Il secondo è stato nominato dalle graduatorie provvisorie, poi ci sono state alcune riorganizzazioni interne all’istituto. “L’insegnante definitivo è arrivato solo a gennaio, dobbiamo ancora fare il Piano Educativo Individualizzato (il cosiddetto Pei, nda). Per fortuna mia figlia è una ragazza serena e non ha difficoltà a socializzare con le persone. Ma per altri è molto più difficile”.
È il caso ad esempio di S., ragazzina di 12 anni che frequenta le scuole medie in provincia di Frosinone. È affetta da un ritardo mentale grave con disturbo oppositivo-provocatorio, che le causa forti problemi relazionali. “Per lei è fondamentale avere figure di riferimento, non si abitua facilmente ai cambiamenti”, racconta l’educatore che ha seguito il suo percorso. Il passaggio dalle elementari alle medie era stato complesso, segnato da tante manifestazioni di aggressività: “La classe per lei era un ambiente ostile, ogni volta che poteva provava a scappare”. Il nuovo anno, però, era cominciato meglio: “Il primo giorno aveva salutato con gioia compagni e bidelli, e col nuovo insegnante aveva trovato subito feeling”. Poi il pasticcio: a gennaio il caso ha voluto che le immissioni in ruolo della Fase C riportassero nella scuola proprio il docente di sostegno dell’anno precedente, con cui il rapporto non era mai stato buono e che proprio alla luce di quella brutta esperienza in autunno non aveva risposto alla convocazione. “Lei non ha detto nulla. Ma il giorno in cui l’ha rivisto sono riaffiorati gli stessi episodi di aggressività e violenza che non si erano verificati per tutto l’anno. Speriamo che lo scompenso sia stato solo temporaneo e che tutto continui ad andare per il meglio”. La precarietà nella scuola ha un costo, specie nel sostegno. E il prezzo lo pagano i più deboli.
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