667mila metri quadrati di archivi pubblici nei quali sono conservate tonnellate di carta o, forse, molti di più giacché i dati dei quali si dispone sono pochi e poco affidabili. E, nonostante, nel 2012 sia stato previsto, per legge, l’avvio di un processo di riduzione e razionalizzazione degli archivi e di eliminazione selettiva di parte del loro contenuto, negli ultimi tre anni, poco o nulla è cambiato. Carta ed archivi della più parte delle amministrazioni centrali sono rimasti al loro posto e, anzi, in taluni casi, sono aumentati di peso ed estensione. Basti pensare che il numero dei soli archivi esterni in tre anni è calato appena di venti unità: nel maggio del 2015 erano in tutto 287 dei quali 84 di proprietà di privati ai quali lo Stato pagava – e, probabilmente, continua a pagare – quasi cinque milioni di euro all’anno per conservare montagne di carta.
Sono questi – e molti altri, ma tutti egualmente assai poco confortanti – alcuni numeri che rimbalzano dalla deliberazione della Corte dei Conti dello scorso 30 dicembre, appena pubblicata sul sito istituzionale della magistratura contabile e dedicata proprio agli archivi di deposito delle amministrazioni statali ed alle connesse disposizioni della spending review.
“Il sistema delineato dal d.l. n. 95/2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 133/2012, per completare il processo di razionalizzazione ed ottimizzazione dell’utilizzo degli spazi destinati all’archiviazione della documentazione cartacea è ben lontano dall’essere operativo, sia per quanto concerne l’impianto previsto per favorire un maggior impegno nelle attività di scarto della documentazione cartacea, sia sul fronte del processo di riunificazione degli archivi di deposito in “poli logistici allo scopo destinati”, scrive la Corte nelle conclusioni della delibera.
Le sanzioni previste dalla legge affinché stimolassero le amministrazioni a selezionare i contenuti degli archivi da eliminare ed a razionalizzare gli spazi dedicati a funzioni di archivio sono rimaste – rilevano i giudici contabili – completamente inattuate.
Ma non basta.
Non solo, infatti, negli ultimi tre anni le amministrazioni centrali non sono state capaci di fare pulizia nei propri archivi di carta, consentendone una razionalizzazione nel segno dell’efficienza e del risparmio di spesa ma – complice la mancata adozione di criteri e sistemi di classificazione ed organizzazione univoci – le poche “operazioni di scarto” cui si è proceduto sono state “effettuate in assenza di criteri oggettivi idonei ad evitare il rischio di scelte non coerenti o arbitrarie nella fase di individuazione dei documenti da eliminare”.
Il che, tradotto dal linguaggio istituzionale dei magistrati contabili significa, nella sostanza, che non vi è certezza che la carta che si è faticosamente avviata al macero, liberando spazi ed archivi sia effettivamente proprio quella che meritava di essere distrutta. Pezzi della memoria storica del Paese potrebbero essere diventati cenere mentre tonnellate di documenti inutili potrebbero continuare a giacere negli immensi archivi delle nostre amministrazioni.
E c’è poco da dormire sonni tranquilli se si pensa che, ad esempio, il solo Ministero dell’Economia – una delle amministrazioni alle quali va riconosciuto il merito di essersi più impegnata nelle grandi pulizie – tra l’agosto del 2012 ed il maggio del 2014 ha eliminato complessivamente oltre 413 mila faldoni di carta per un totale di oltre 15mila metri lineari di archivio ed un peso di oltre 670mila chili.
Nessuna traccia neppure del processo di accorpamento degli archivi di deposito nei cosiddetti poli archivistici cui si sarebbe dovuto procedere.
La Corte dei Conti, infatti, nel verificare le ragioni all’origine di tanto immobilismo è costretta a “prendere atto” della posizione dell’Agenzia del Demanio – che avrebbe dovuto essere motore di tale procedimento – secondo la quale “l’avvio di tale operazione implica, a monte, una modifica normativa che ne autorizzi l’azione nei confronti delle altre amministrazioni e, contestualmente, assegni le risorse necessarie per rifunzionalizzare gli immobili governativi disponibili e/o edificare nuove strutture”.
Che sia la verità o solo un alibi per il protratto immobilismo, la certezza è che nessuno, negli ultimi tre anni, ha mosso un dito né per procedere effettivamente alla razionalizzazione degli archivi né per dotare – ammesso che servissero davvero – l’agenzia del demanio dei necessari poteri. Altro che digitalizzazione della Pubblica amministrazione prossima ventura.
A leggere le centotrenta pagine della Deliberazione della Corte dei Conti vien da pensare ad un’amministrazione ancora ostaggio della carta e destinata a rimanervi a lungo.
Senza dire che, i Magistrati contabili, nelle conclusioni del loro lavoro lasciano cadere la classica ciliegina sulla torta, annotando che, come se non bastasse, il cosiddetto Portale PA nel quale dovrebbero essere contenuti i dati aggiornati del censimento degli archivi documentali delle amministrazioni, è, in realtà, pieno di dati inesatti, non aggiornati e poco attendibili.
“Analoghe carenze sul fronte della conoscenza si avvertono – scrive, infatti, la Corte – per i locali adibiti ad archivio di deposito, siano essi funzionalmente autonomi o collocati presso immobili destinati ad altre finalità. Al riguardo, deve sottolinearsi che lo strumento esiste già. Si tratta del portale Pa dell’Agenzia del demanio, i cui dati, nel caso in cui siano “caricati” da più uffici, devono essere messi a disposizione di una struttura previamente individuata nell’ambito di ogni amministrazione. In considerazione di quanto emerso in sede di confronto con i dati acquisiti nel corso dell’istruttoria, non sembra fuor di luogo raccomandare che il caricamento delle informazioni all’interno della banca dati sia effettuato in modo da garantirne la veridicità e la completezza.”.
Come dire che quel poco di innovazione che è entrata nelle amministrazioni è malgestita e sottoutilizzata.