I segni di un violento pestaggio. Tante ferite e abrasioni sul corpo. E un colpo finale alla testa, che ha provocato la morte. Così è stato ucciso Giulio Regeni, il ricercatore friulano il cui cadavere è stato trovato abbandonato lungo una strada che dal Cairo porta ad Alessandria giovedì scorso. A dirlo è l’autopsia, ancora in corso, eseguita dall’equipe medica coordinata da Vittorio Fineschi dell’Istituto di medicina legale dell’Università La Sapienza, che confermerebbe l’ipotesi delle torture già emersa dai primi esami autoptici compiuti in Egitto. Il cadavere è stato sottoposto ad una tac, ad un esame tossicologico e a radiografie.
La salma del 28enne è arrivata in Italia sabato dall’Egitto. Ad attenderla il ministro della Giustizia Andrea Orlando che chiede alle autorità egiziane “verità e giustizia” e di collaborare con quelle italiane, la Procura di Roma in particolare. Il ministro si è anche intrattenuto con i familiari arrivati a Fiumicino sullo stesso volo. Gli esami autoptici sono stati disposti dalla procura di Roma Sergio Colaiocco che ha aperto un’inchiesta per omicidio a carico di ignoti. Dal Cairo, parallelamente, arriva la notizia dell’inizio dei rilievi tecnici sui campioni di tessuto prelevati con l’avvertenza, però, che gli esiti non saranno pronti prima della fine del mese. Entrambi i referti contribuiranno a chiarire le reali circostanze della morte del ragazzo su cui da giorni si rincorrono le ipotesi. Quella prevalente vorrebbe il giovane ricercatore finito nel mirino dei servizi per i suoi articoli e i suoi rapporti con l‘opposizione politica e sindacale al regime di Abd al-Fattah al-Sisi.
Fiori, foto e cartelli. Sit-in davanti all’ambasciata italiana
Proprio oggi un sit-in sul retro dell’ambasciata italiana al Cairo ha commemorato Regeni. Al raduno hanno partecipato circa 500 persone, molti attivisti per i diritti umani e civili, sindacalisti. Diversi anche i semplici cittadini venuti a testimoniare solidarietà all’Italia e alla famiglia di Regeni. Alcuni portavano candele infilate in bicchieri di plastica per proteggerle dal leggero vento e fiori. Sono stati mostrati anche alcuni cartelli tra cui uno denunciava l’uccisione di oppositori egiziani. Mazzi di fiori, candele e lumini sono stati posti accanto al cancello posteriore della rappresentanza diplomatica italiana.

Le indagini, smentiti gli arresti
Sul fronte delle indagini le notizie sono ancora scarse e contraddittorie, come dimostra il rilascio dei due fermanti che ieri sembrava segnare un passo avanti. Questa mattina le autorità hanno convocato per interrogatori i tre coinquilini di Regeni, due uomini e una donna. Fonti della sicurezza al Cairo hanno riferito inoltre che il team italiano arrivato ieri “ha incontrato ufficiali dell’Interpol e della sicurezza nazionale per esaminare le inchieste e le indagini effettuate finora”. Scopo dell’incontro, viene aggiunto, è quello di “coordinare le ricerche e assicurare tutta l’assistenza tecnica necessaria a svelare il mistero”. “Siamo lontani dalla verità“, ha detto il ministro degli esteri, Paolo Gentiloni.
Il sospetto di torture per 36 ore
Giulio, stando alla ricostruzione del quotidiano online, è stato fermato il 25 gennaio, quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir, insieme ad una quarantina di oppositori dell’attuale governo. Poco dopo è stato trasferito con tutti gli altri in una caserma della polizia o in una delle sedi del Mukhabarat. Visto che parlava l’arabo, è possibile che sia stato ritenuto “in grado di rispondere alle domande” e quindi di “fornire nomi e informazioni” sulle altre persone che si trovavano insieme a lui. Di qui l’interrogatorio e le violenze, andate avanti per almeno 36 ore, forse due giorni.
Le tante piste di indagine
La prima segue è quella del lavoro di Regeni e dei suoi rapporti con l’opposizione al regime di Al Sisi. Il giovane, secondo questa pista, sarebbe stato catturato perché rivelasse l’identità delle sue fonti. Scoprire chi gli avesse passato le informazioni contenute nei suoi articoli pubblicati sotto pseudonimo sull’agenzia Nena news — specializzata sui temi del Medio Oriente — e in parte ripresi dal quotidiano Il Manifesto. Individuare la “rete” di amici e conoscenti che lo aiutava nelle sue ricerche sul sindacato. Ma non è la sola. Secondo l’Huffington Post, i responsabili vanno cercati “negli ambienti più oscuri e violenti della polizia politica o dei servizi segreti egiziani, il famigerato Mukhabarat”, che avrebbero agito all’insaputa del presidente. Forse per screditare lo stesso regime, per sabotare le relazioni con l’Italia e il ruolo di Roma nel negoziato libico, è una delle ipotesi. Non è esclusa, infine, quella di un atto di terrorsimo.
In Italia è polemica politica
I rapporti Italia-Egitto diventano oggetto di polemica. A sollevarla è una nota congiunta di deputati e senatori M5S delle commissioni Esteri di Camera e Senato, che accusano: “Il nostro governo si sta barcamenando nel completo imbarazzo, perché questo tragedia è il prezzo che l’Italia paga a causa dei rapporti tra Matteo Renzi e il generale Al-Sisi. Ora vogliamo la verità”. Si segnala anche la nota del senatore leghista Calderoli che evoca “l’invasione islamica” mentre Gianluca Pini, componente del Comitato Permanente sui Diritti Umani, chiedendo al governo di riferire attacca “l’incapacità del governo italiano di rapportarsi con l’Egitto per accertare la verità”. Stefano Maullu (FI), europarlamentare, che chiede al governo un atteggiamento più duro con l’Egitto.
Una piazza per Giulio
E intanto, simbolicamente, c’è chi ha pensato di intitolare la prima piazza alla memoria del ricercatore italiano. “E’ stata intitolata una piazza alla memoria di Giulio Regeni davanti la sede dell’Ambasciata egiziana in via Salaria 267 all’ingresso di Villa Ada. E un cartello con scritto ‘piazza dei desaparecidos’ è stata piantato in terra davanti all’Ambasciata. L’iniziativa è di alcuni attivisti di Sinistra Ecologia e Libertà di Roma”. Così, in una nota di Sel.
Mondo
Regeni, autopsia: “Ucciso con un colpo alla testa. Segni di un violento pestaggio”
La salma a Fiumicino, ad accoglierla il ministro Orlando. Gli esami effettuati alla Sapienza hanno riscontrato numerose lesioni e abrasioni compatibili con l'ipotesi che il giovane sia stato torturato. Il ricercatore friulano sarebbe stato fermato il 25 gennaio dalla polizia politica o dai servizi. Indagini ancora in corso, rilasciati i due sospetti fermati ieri e interrogati coinquilini e amici di Giulio. Gentiloni: "Lontani dalla verità"
I segni di un violento pestaggio. Tante ferite e abrasioni sul corpo. E un colpo finale alla testa, che ha provocato la morte. Così è stato ucciso Giulio Regeni, il ricercatore friulano il cui cadavere è stato trovato abbandonato lungo una strada che dal Cairo porta ad Alessandria giovedì scorso. A dirlo è l’autopsia, ancora in corso, eseguita dall’equipe medica coordinata da Vittorio Fineschi dell’Istituto di medicina legale dell’Università La Sapienza, che confermerebbe l’ipotesi delle torture già emersa dai primi esami autoptici compiuti in Egitto. Il cadavere è stato sottoposto ad una tac, ad un esame tossicologico e a radiografie.
La salma del 28enne è arrivata in Italia sabato dall’Egitto. Ad attenderla il ministro della Giustizia Andrea Orlando che chiede alle autorità egiziane “verità e giustizia” e di collaborare con quelle italiane, la Procura di Roma in particolare. Il ministro si è anche intrattenuto con i familiari arrivati a Fiumicino sullo stesso volo. Gli esami autoptici sono stati disposti dalla procura di Roma Sergio Colaiocco che ha aperto un’inchiesta per omicidio a carico di ignoti. Dal Cairo, parallelamente, arriva la notizia dell’inizio dei rilievi tecnici sui campioni di tessuto prelevati con l’avvertenza, però, che gli esiti non saranno pronti prima della fine del mese. Entrambi i referti contribuiranno a chiarire le reali circostanze della morte del ragazzo su cui da giorni si rincorrono le ipotesi. Quella prevalente vorrebbe il giovane ricercatore finito nel mirino dei servizi per i suoi articoli e i suoi rapporti con l‘opposizione politica e sindacale al regime di Abd al-Fattah al-Sisi.
Fiori, foto e cartelli. Sit-in davanti all’ambasciata italiana
Proprio oggi un sit-in sul retro dell’ambasciata italiana al Cairo ha commemorato Regeni. Al raduno hanno partecipato circa 500 persone, molti attivisti per i diritti umani e civili, sindacalisti. Diversi anche i semplici cittadini venuti a testimoniare solidarietà all’Italia e alla famiglia di Regeni. Alcuni portavano candele infilate in bicchieri di plastica per proteggerle dal leggero vento e fiori. Sono stati mostrati anche alcuni cartelli tra cui uno denunciava l’uccisione di oppositori egiziani. Mazzi di fiori, candele e lumini sono stati posti accanto al cancello posteriore della rappresentanza diplomatica italiana.
Le indagini, smentiti gli arresti
Sul fronte delle indagini le notizie sono ancora scarse e contraddittorie, come dimostra il rilascio dei due fermanti che ieri sembrava segnare un passo avanti. Questa mattina le autorità hanno convocato per interrogatori i tre coinquilini di Regeni, due uomini e una donna. Fonti della sicurezza al Cairo hanno riferito inoltre che il team italiano arrivato ieri “ha incontrato ufficiali dell’Interpol e della sicurezza nazionale per esaminare le inchieste e le indagini effettuate finora”. Scopo dell’incontro, viene aggiunto, è quello di “coordinare le ricerche e assicurare tutta l’assistenza tecnica necessaria a svelare il mistero”. “Siamo lontani dalla verità“, ha detto il ministro degli esteri, Paolo Gentiloni.
Il sospetto di torture per 36 ore
Giulio, stando alla ricostruzione del quotidiano online, è stato fermato il 25 gennaio, quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir, insieme ad una quarantina di oppositori dell’attuale governo. Poco dopo è stato trasferito con tutti gli altri in una caserma della polizia o in una delle sedi del Mukhabarat. Visto che parlava l’arabo, è possibile che sia stato ritenuto “in grado di rispondere alle domande” e quindi di “fornire nomi e informazioni” sulle altre persone che si trovavano insieme a lui. Di qui l’interrogatorio e le violenze, andate avanti per almeno 36 ore, forse due giorni.
Le tante piste di indagine
La prima segue è quella del lavoro di Regeni e dei suoi rapporti con l’opposizione al regime di Al Sisi. Il giovane, secondo questa pista, sarebbe stato catturato perché rivelasse l’identità delle sue fonti. Scoprire chi gli avesse passato le informazioni contenute nei suoi articoli pubblicati sotto pseudonimo sull’agenzia Nena news — specializzata sui temi del Medio Oriente — e in parte ripresi dal quotidiano Il Manifesto. Individuare la “rete” di amici e conoscenti che lo aiutava nelle sue ricerche sul sindacato. Ma non è la sola. Secondo l’Huffington Post, i responsabili vanno cercati “negli ambienti più oscuri e violenti della polizia politica o dei servizi segreti egiziani, il famigerato Mukhabarat”, che avrebbero agito all’insaputa del presidente. Forse per screditare lo stesso regime, per sabotare le relazioni con l’Italia e il ruolo di Roma nel negoziato libico, è una delle ipotesi. Non è esclusa, infine, quella di un atto di terrorsimo.
In Italia è polemica politica
I rapporti Italia-Egitto diventano oggetto di polemica. A sollevarla è una nota congiunta di deputati e senatori M5S delle commissioni Esteri di Camera e Senato, che accusano: “Il nostro governo si sta barcamenando nel completo imbarazzo, perché questo tragedia è il prezzo che l’Italia paga a causa dei rapporti tra Matteo Renzi e il generale Al-Sisi. Ora vogliamo la verità”. Si segnala anche la nota del senatore leghista Calderoli che evoca “l’invasione islamica” mentre Gianluca Pini, componente del Comitato Permanente sui Diritti Umani, chiedendo al governo di riferire attacca “l’incapacità del governo italiano di rapportarsi con l’Egitto per accertare la verità”. Stefano Maullu (FI), europarlamentare, che chiede al governo un atteggiamento più duro con l’Egitto.
Una piazza per Giulio
E intanto, simbolicamente, c’è chi ha pensato di intitolare la prima piazza alla memoria del ricercatore italiano. “E’ stata intitolata una piazza alla memoria di Giulio Regeni davanti la sede dell’Ambasciata egiziana in via Salaria 267 all’ingresso di Villa Ada. E un cartello con scritto ‘piazza dei desaparecidos’ è stata piantato in terra davanti all’Ambasciata. L’iniziativa è di alcuni attivisti di Sinistra Ecologia e Libertà di Roma”. Così, in una nota di Sel.
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Roma, 19 mar. -(Adnkronos) - "Il costo della batteria ad oggi rappresenta fino al 45% del costo totale di un veicolo elettrico. Oggi sono attive 263 Gigafactory in tutto il mondo: 214 sono localizzate in Cina, solo 13 in Europa. Le aziende cinesi hanno il primato del mercato, non solo in termini di produzione ma soprattutto di tecnologia". Lo sottolinea il presidente di Stellantis John Elkann, nell'audizione informale presso le Commissioni riunite Attività produttive di Camera e Senato, facendo il punto sui problemi del mercato automobilistico.
"I produttori automobilistici europei - ricorda - stanno affrontando uno svantaggio strutturale rispetto ai loro concorrenti cinesi, pari al 40% del costo manifatturiero complessivo. In particolare, i prezzi dell'energia di paesi produttori di auto europei risultano 5 volte più alti di quelli cinesi. Bisogna inoltre rammentare che per quanto riguarda una Gigafactory, il consumo di energia necessario è 10 volte superiore a quello di uno stabilimento produttivo di autovetture". "Per questa ragione - auspica - l’Europa dovrebbe far scendere i prezzi dell’energia a valori competitivi globali e di mantenerli a livelli costanti e prevedibili".
Palermo, 19 mar. (Adnkronos) - "A proposito delle ultime piogge che, per fortuna, hanno risparmiato Firenze, non solo per l'utilizzo dello scolmatore, ma anche per la scarsa piovosità al Nord del capoluogo nel Val d'Arno e Alto casentino, il governo si permette di suggerire alla Regione e al comune di Pisa l'opportunità di procedere al completamento dello scolmatore e consentirgli la portata stabilita nel progetto originario. D'intesa con Regione e Comune di Pisa si valuterebbe la possibilità di uno specifico finanziamento". Così il ministro per la Protezione civile nel corso del Question time alla Camera dei deputati.
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Roma, 19 mar. (Adnkronos) - "La lettura del manifesto di Ventotene da parte di Giorgia Meloni oggi è stata una provocazione, quando utilizza certe modalità si dimentica di essere la presidente del Consiglio e torna ad essere militante del suo partito". Così a Rai Radio1, ospite di Un Giorno da Pecora, l'ex presidente Pd e ministra Rosy Bindi, intervistata da Giorgio Lauro e Marisa Laurito.
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"Quel progetto coraggioso degli Stati Uniti d'Europa, la cui ambizione ha consentito di avere oltre 70 finora di pace nel nostro Continente e di garantire diritti fondamentali. Meloni dovrebbe vergognarsi di una vera e propria apologia di fascismo che offende gravemente la nostra storia, la nostra memoria, il fondamento della nostra Costituzione democratica. Un'inaccettabile arma di distrazione di massa per distogliere l'attenzione dalla totale ambiguità della risoluzione di maggioranza sulla difesa europea che non dà nessun mandato chiaro alla Premier in vista del prossimo Consiglio Ue”.
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