Il cellulare di Giulio Regeni, il ricercatore italiano torturato e ucciso al Cairo, era intercettato dalle autorità egiziane. Lo riferisce l’edizione odierna del quotidiano cairota Al Masry Al Youm, che segue da vicino le indagini della procura di Giza sulla morte del ricercatore friulano. Secondo fonti della “prefettura di sicurezza di Giza”, interpellate dal giornale egiziano, “gli investigatori hanno condotto indagini sugli ultimi movimenti di Regeni prima della sua scomparsa il 25 gennaio e ascoltato le registrazioni delle sue ultime chiamate con il cellulare con l’aiuto delle compagnie di telefonia mobile”, arrivando alla conclusione che Regeni “è stato ucciso in un appartamento nel centro del Cairo e il suo corpo in seguito gettato sull’autostrada”. Sempre secondo fonti investigative, riportate dal quotidiano Al Youm, sarebbero stati arrestati “37 sospetti in relazione all’omicidio, inclusi alcuni soggetti con precedenti penali”.
L’esistenza di registrazioni che documentano le ultime telefonate di Giulio Regeni, finora mai resa nota dalle autorità italiane, è un elemento nuovo che potrebbe imprimere una svolta alle indagini. Da chi era intercettato il giovane visiting researcher dell’American University del Cairo? E perché? IlFattoQuotidiano.it ha chiesto informazioni a fonti del Ministero degli Esteri italiano, che al momento non hanno fornito né conferme né smentite.
L’ultima telefonata di Regeni il 25 gennaio scorso, secondo la ricostruzione fornita dal sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova, è stata effettuata alle 19,40 per avvisare dei suoi spostamenti un professore italiano, l’arabista Gennaro Gervasio, spiegandogli “che sarebbe uscito di casa verso le 20,00 per avviarsi alla vicina stazione della metropolitana, sarebbe sceso alla fermata Mahamed Naguib da dove avrebbe proseguito a piedi fino al ristorante”.
Informazioni precise che sarebbero state in possesso, insieme ai dati forniti dalla localizzazione del suo cellulare, delle autorità che lo stavano intercettando in quel momento. Ma il governo egiziano continua a ribadire l’estraneità della sua polizia nel caso Regeni: “Non è mai stato sotto la custodia della nostra polizia, e noi non siamo cosi “naif” da uccidere un giovane italiano e gettare il suo corpo il giorno della visita del Ministro Guidi al Cairo – ha affermato l’ambasciatore egiziano in Italia, Amr Helmy, in un’intervista a Radio Anch’io – dovete capire che lanciare delle accuse pesanti contro le forze di sicurezza egiziane senza alcuna prova può danneggiare i nostri rapporti”.
Sul punto è intervenuto il senatore Felice Casson, segretario del Copasir, il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti: “Ma per favore, non ci prendano in giro – ha dichiarato Casson a La Repubblica – per torturare sappiamo benissimo che non c’è bisogno di arrestare”.