Una riforma fatta nel modo che tutti i costituzionalisti consigliano di evitare: maggioranza contro opposizione. Così Antonio Baldassarre, presidente emerito della Corte Costituzionale, sul ddl Boschi di riforma del Senato, che definisce “un mostro”. L’occasione è la tavola rotonda promossa dall’associazione Libera Destra presieduta dall’ex Presidente della Camera Gianfranco Fini, con giuristi e esponenti del centrodestra di ieri (Renato Brunetta, Raffaele Fitto, Fabio Rampelli e Pasquale Viespoli), che si inserisce nel dibattito avviato dai comitati del no con riferimento al referendum previsto per il ddl. E su cui il premier Matteo Renzi ha già detto che “se perdo non solo vado a casa, ma smetto anche di fare politica”.
Secondo Baldassarre sono due sono gli aspetti positivi della riforma: l’abolizione del Cnel e la revisione del Titolo V, ma “sul resto sono contrario”. Nel mirino due elementi su tutti: il ruolo del Senato e l’assenza di check and balance. La riforma Boschi, dice, è scopiazzata dai land tedeschi ma dimenticando che quei luoghi sono assolutamente peculiari. In Germania “i land sono Stati veri e propri”, finanche con una Corte Costituzionale “mentre l’Italia è un’altra cosa”. In secondo luogo Baldassarre mette l’accento sulla “pericolosa concentrazione di poteri nelle mani di premier e governo”. Che oltre a nominare il Presidente della Repubblica, potrebbero anche esprimere la maggioranza dei giudici della Corte Costituzionale. In quel caso “verrebbero annullati tutti i poteri di controllo”. Senza contare che la riforma non specifica come verranno eletti i futuri senatori, aprendo ad un “problema di rappresentanza parlamentare”.
Una riforma del genere si può fare solo in seno ad un’Assemblea Costituente, propone invece Alfonso Celotto, docente di Diritto Costituzionale all’Università Roma Tre e già capo legislativo del Ministero delle Riforme. Il perché è presto detto. Il nuovo Senato avrebbe diverse vesti: federale, di controllo ma anche legislativo per via del potere su alcune leggi. “E allora è chiaro che il bicameralismo del ’48 è obsoleto, ma quello frutto della riforma porterebbe ad un Senato pasticciato”. Certo, è stato un errore non aver presentato in sede di dibattito “emendamenti comuni a tutti il centrodestra”, ammonisce Raffaele Fitto, convinto che “non dobbiamo fare questa battaglia solo in chiave antirenziana, ma per comporre uno schema nuovo ed unitario in vista dei prossimi appuntamenti elettorali”.
Annibale Marini presidente del Comitato del No sottolinea che il nodo è al principio, perché “questa riforma nasce da un Parlamento illegittimo, nato da una legge elettorale incostituzionale”. Questo è un Parlamento illegittimo “che dovrebbe essere sciolto mentre continua allegramente a legiferare”. E la minaccia di dimissioni avanzata da Renzi “altro non è che la dimostrazione di una riforma di parte”. Parla di inno al rinnovamento fine a stesso Gianfranco Fini, perché “non porta a nulla se non a un o con me o contro di me, il solito ritornello, propaganda e non alta politica così come si imporrebbe trattandosi della carta”. E ricorda che la corsa al plebiscito del premier non solo porta male a chi la insegue ma corrisponde alla sua convinzione: “Renzi sa bene che è una pessima riforma e bocciarla non serve solo a mandare a casa il governo: il Paese non può permettersi una Costituzione così raffazzonata”. Ed è la ragione per cui il Capo dello Stato “avrebbe dovuto sciogliere questo Parlamento”. E auspica la nascita di un comitato, dal centro alla destra, per il no diverso da quelli già esistenti ma che li affianchi: “Non un partito ma un comitato con una ragione sociale chiara: per la Repubblica presidenziale e no alla riforma Renzi”.
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