“Io sono credente e non ricorrerei all’eutanasia“, dice Mina Welby, che è rimasta credente anche dopo che al marito Piergiorgio – il 20 dicembre 2006 – il Vicariato della diocesi di Roma negò il funerale religioso. Mina Welby è rasserenante anche al telefono: “Capisco che non sia facile fare un articolo con me perché infilo troppi argomenti nel discorso. Oggi metto il punto fermo sul rispetto del diritto alla libertà personale inviolabile come del resto è sancito nell’articolo 13 della Costituzione“. Nelle prossime settimane il Parlamento italiano dovrà affrontare il tema dell’eutanasia. “Una legge serve – afferma – e una legge in democrazia non può essere impositiva ma deve permettere a chi ne ha bisogno di avvalersene in modo eticamente corretto e responsabile. Perché l’eutanasia clandestina in Italia esiste. Forse sono più i medici che lo fanno per un sentimento di pietà, ma qualcuno lo potrebbe fare anche per denaro“.
Affrontare il pensiero della morte dice Mina “per molti può essere un apprezzamento del vivere anche se difficile. D’altronde l’eutanasia dovrebbe significare una porta di emergenza e non la regola”. Così è stato per Giovanna di cui Mina racconta la storia a partire dall’ultima mail in cui scriveva: “Mina, credo che non si faccia più nulla”. Giovanna aveva già deciso e fatto tutto da sola: aveva contattato la clinica in Svizzera dove avrebbe voluto che mettessero fine alle sue sofferenze. Aveva fissato il giorno e solamente dopo aveva spiegato a Mina che la voleva al suo fianco. Erano già stati prenotati i voli e la casa dove si sarebbe soggiornato. Tutto già programmato fino al momento in cui Giovanna si rese conto di non volere andare fino in fondo rivelando che “anche se la mia vita è dura, difficile e dolorosa credo che posso e voglio ancora farcela. Ho paura, Mina”.
Morì a casa sua 40 giorni dopo aver deciso di rinunciare al viaggio in Svizzera. Il suo medico curante l’aiutò con cure palliative. Quelle stesse profilassi che Mina Welby vorrebbe che venissero praticate a iniziare negli ospedali, quando le terapie sono giudicate non più efficaci e come lo dice la legge 38 del 2010. “È importante che il dibattito parlamentare sul fine vita sia sereno e si rifletta sui diritti delle persone. Personalismi e integralismo religioso non aiutano a fare una buona legge. I cittadini con il loro voto hanno delegato i parlamentari a dare delle regole alla comunità, non proibizioni, ma possibilità per migliorare la vita nel rispetto dei loro diritti. “Certo – prosegue – i precedenti non fanno ben sperare considerando che l’unico era stato il disegno di Legge Calabrò per fortuna naufragato con il governo che lo aveva sostenuto”.
I cittadini con oltre 67mila firme hanno fornito materia di discussione con il progetto di legge d’iniziativa popolare presentato dall’Associazione Luca Coscioni di cui è co-presidente: “Rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia“, depositato alla Camera nel settembre 2013 e composto da soli quattro articoli, il testo che prevede tra l’altro che “ogni cittadino può rifiutare l’inizio o la prosecuzione di trattamenti sanitari, nonché ogni tipo di trattamento di sostegno vitale e/o terapia nutrizionale. Il personale medico e sanitario è tenuto a rispettare la volontà del paziente”.
Nell’articolo 2 viene invece indicato che “il personale medico e sanitario che non rispetti la volontà manifestata dai soggetti e nei modi indicati nell’articolo precedente è tenuto, in aggiunta ad ogni altra conseguenza penale o civile ravvisabile nei fatti, al risarcimento del danno, morale e materiale, provocato dal suo comportamento”. L’articolo 3 riguarda la depenalizzazione degli articoli 575, 579, 580 e 593 del codice penale nei confronti del medico che pratica l’eutanasia a un malato terminale che la richiede in condizioni stringenti e particolari.
Mina Welby prosegue poi parlando delle malattie dolorose senza guarigione, quelle oncologiche, ma anche reumatiche o autoimmuni senza terapie realmente utili. “La legge 38 del 2010 sulle cure palliative è ancora molto sconosciuta e in Italia applicata a macchia di leopardo. Non è giusto che la persona debba essere incoraggiata alla sofferenza“. Mina Welby poi parla del ruolo dei e del loro compito di legislatori che però “non debbono entrare nella camera da letto dei malati, consigliando, proibendo e limitando la libertà nelle loro scelte. Non invadano ambulatori e studi dei medici ma rispettino i sanitari nel loro rapporto con i loro pazienti. I politici non hanno il dovere di influire sulla deontologia medica”. Poi conclude in modo chiaro: “Nel caso del fine vita il legislatore ha un solo dovere: fare una legge che rafforzi i diritti dei cittadini per quello che riguarda le loro scelte prese con consapevolezza e in responsabilità. E per quello che riguarda il medico, proteggerlo contro incriminazioni negli articoli 575, 579, 580 e 593 del codice penale, come descritto sopra”.
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