E dopo Berlusconi iniziò l’era delle larghe intese. Con tre governi che, dal 2011 in poi, si sono dati il cambio a Palazzo Chigi. Da Mario Monti a Matteo Renzi, passando per Enrico Letta, nel ruolo di presidente del Consiglio. Con due effetti evidenti sulla composizione degli esecutivi. A cominciare dalla moltiplicazione dei partiti rappresentati nelle diverse compagini ministeriali. A tenere la contabilità, l’ultimo dossier dell’Associazione Openpolis, dal titolo “Fidati di me” e dedicato ai primi due anni di attività del governo guidato dall’ex sindaco di Firenze.
RITORNO AL PASSATO – Se con l’ex Cavaliere alla guida del Paese le forze in campo si erano ridotte a soli due movimenti (Popolo delle libertà e Lega Nord), da Monti in poi è stato un continuo crescendo. “Attualmente i membri del governo Renzi appartengono a 6 movimenti politici diversi: Partito democratico, Nuovo centrodestra, Scelta civica, Partito socialista italiano, Unione di centro e Democrazia solidale”. Ma non basta. Perché il dato più sorprendente “è il numero di nomi ricorrenti negli incarichi assegnati dagli ultimi quattro premier”. Tra insediamenti e rimpasti, dal 2008 ad oggi sono stati nominati oltre 200 tra ministri, viceministri e sottosegretari. E “nel 30% di queste nomine ricorrono sempre gli stessi volti”. In particolare si contano “trenta persone che hanno svolto o svolgono un ruolo di primo piano in almeno due degli ultimi quattro governi”.
ESERCITO DI GOVERNO – Dal 22 febbraio 2013, data del giuramento del governo in carica, “vari avvicendamenti hanno variato la sua composizione”. Che oggi conta 63 componenti. “Il numero più alto da due anni a questa parte”, sottolinea il dossier. Si va dai 35 membri del Partito democratico ai 13 del Nuovo centrodestra. “Sul gradino più basso del podio, la squadra di indipendenti e tecnici che conta 7 incarichi”. Non solo: “La percentuale di donne e under 40 nel governo Renzi è costantemente in calo dal 22 febbraio ad oggi”. Nel “caricometro” degli ultimi quattro governi stilato da Openpolis spiccano 7 nomi che, dal 2008 ad oggi, hanno rivestito almeno 3 diversi incarichi. “Quattro di questi appartengono al Nuovo centrodestra (Angelino Alfano, Antonio Gentile, Luigi Casero e Simona Vicari), due al Partito democratico (Claudio De Vincenti, e Graziano Delrio) e uno a Democrazia solidale (Mario Giro)”.
CHIAMAMI FIDUCIA – Ma i numeri fotografano anche un aspetto cruciale: la centralità dell’esecutivo nella produzione legislativa del Paese. Se, infatti, “quasi il 30% dei disegni di legge proposti dal governo Renzi diventano legge”, per i parlamentari “non si arriva neanche all’1%”. Non solo. “Nella XVII legislatura le proposte dei due esecutivi che si sono succeduti (Letta e Renzi) sono state approvate mediamente in 156 giorni”, mentre “quelle dei parlamentari hanno richiesto più di un anno (392 giorni)”. Discorso analogo per gli emendamenti: 1 su 2 presentato dal governo viene approvato contro una percentuale di successo del 5,42% e dell’1,25% delle proposte di modifica presentate rispettivamente da deputati e senatori. Insomma, un governo che incide molto più del Parlamento nell’iter legislativo. Grazie anche all’arma della fiducia. Che ha determinato l’approvazione del “31,01% delle leggi” durante l’esecutivo guidato da Matteo Renzi. “La seconda percentuale più alta degli ultimi quattro governi, battuto solamente da Mario Monti (45%)”. Anche se, guardando “i numeri assoluti”, l’attuale primo ministro “supera il primato” del senatore a vita 51 a 49. Inoltre, in 5 casi, il premier in carica ha dovuto richiedere per ben 3 volte la fiducia. E’ successo, ricorda il dossier, per il decreto competitività, il Jobs Act, la riforma della pubblica amministrazione, la legge di stabilità 2015 e l’Italicum.
POCHE RISPOSTE – Poi c’è il capitolo delle interrogazioni parlamentari. “Da quando Matteo Renzi è premier” ne sono state “depositate oltre 21.000” per chiedere “al governo o a un ministro dei chiarimenti su fatti o notizie, o ottenere spiegazioni su specifici provvedimenti”. Ma ad oggi “solo il 35,20% ha ottenuto una risposta”. E alcuni ministeri, “come quello della Giustizia guidato da Andrea Orlando, si fermano al 18,61%”. Fra i più virtuosi ci sono, invece, il dicastero della Difesa (guidato da Roberta Pinotti), quello degli Affari esteri (Federica Mogherini e poi Paolo Gentiloni) e quello dei Rapporti con il Parlamento (Maria Elena Boschi) che hanno risposto rispettivamente al 65,8%, al 70,20% e al 74,29% delle interrogazioni. Mentre “il ministero che ha ricevuto più quesiti è quello dell’Infrastrutture e dei trasporti (Maurizio Lupi e poi Graziano Delrio): oltre 2.131”.
RIUNIONI LAMPO – Dal 22 febbraio 2014 al 5 febbraio 2016, Openpolis ha contato 102 riunioni del Consiglio dei ministri. “In media, poco più di 4 al mese per un totale di oltre 100 ore di lavoro”. Dai resoconti ufficiali, evidenzia il dossier, emerge spesso “la mera formalità di questi incontri, occasione più che altro di raccontare in conferenza stampa decisioni già prese altrove”. Un’affermazione che Openpolis sostanzia con i numeri: “Ben 11 incontri sono durati dai 4 agli 8 minuti, 15 dai 10 ai 20 minuti e altri 7 dai 20 ai 25 minuti. Questo vuol dire che ben 33 incontri (il 32,35%) sono durati meno di mezz’ora”. Il dossier prende in considerazione anche il tema della sovrapposizione di ruoli di parlamentare e di membro del governo. “Ad oggi il doppio incarico parlamentare-ministro riguarda 9 persone”, che in media partecipano “solo all’8,66% delle votazioni elettroniche in aula”. Quando va bene, “come nel caso della ministra (Stefania) Giannini, si arriva al 36,48% delle votazioni in aula”. Quando va male, “per esempio con il ministro Gentiloni”, ci si ferma allo “0,25% di presenze”. Risultato: “L’incompatibilità dei due ruoli è evidente”.
CARA PRESIDENZA – E per finire le spese. “La macchina di Palazzo Chigi, come tutti gli organi dello stato, ha dei costi”. E Openpolis ha preso “in esame le entrate e le uscite della Presidenza del consiglio dei ministri”, includendo “sia le attività e le funzioni del premier, sia quelle dei vari dipartimenti”. Dalle politiche antidroga, alla protezione civile, passando per le politiche europee, gli affari regionali, “sono stati analizzati i conti finanziari dal 2011 al 2014, per un volume di spesa che in totale supera i 15 miliardi di euro”, basando la ricerca sui “bilanci consuntivi, che non considerano quindi solo le previsioni di inizio anno, ma che calcolano anche le cifre effettivamente impegnate nel corso dei mesi”. Con le riforme realizzate da Mario Monti, “il budget totale è sceso sui 4 miliardi di euro annui”. Nel 2013, anno del governo Letta, “il bilancio consuntivo è stato ridotto a 3,5 miliardi”. Ed “è risalito poi con il primo anno di governo Renzi a 3,6 miliardi”.
SEGRETARIATO DI LUSSO – La voce principale di spesa riguarda sempre la protezione civile. “In media parliamo di oltre il 60% del budget” (il 62,14 contro il 69,33 del 2013). Tra i costi più pesanti ci sono anche quelli del segretariato generale. “Si tratta delle spese a supporto dei compiti della Presidenza, e all’organizzazione e alle gestione amministrativa”. Una voce che “sotto il governo Renzi” è “passata dall’11% al 20% del totale”. Un livello “record nella storia recente”, sottolinea il dossier: “Se nel 2013 parlavamo di 396 milioni, nel 2014 si sono raggiunti i 754 milioni”. In crescita, sempre rispetto al 2013 (governo Letta), anche la spesa per la gioventù (dal 4,1 al 5,85%), mentre scendono quelle per l’editoria (dal 7,61 al 6%), per gli affari regionali (dal 3,69 al 2,87%) e la funzione pubblica (dall’1,34 all’1,16%).
Twitter: @Antonio_Pitoni
Governo
Renzi, due anni al governo. Rapporto Openpolis: tra fiducie, spese e poltrone
L’ultimo dossier Openpolis ha messo a confronto gli ultimi quattro esecutivi. Salgono a 6 i partiti rappresentati nella squadra del rottamatore che ha raggiunto i 63 componenti. Sorprese nell’iter normativo: quasi il 30% dei disegni di legge di iniziativa governativa viene approvato contro l’1% di quelli parlamentari. Poche risposte alle interrogazioni (35,20%). Frequente ricorso alla fiducia (31,01%). Seconda percentuale dopo Monti. E nel 2014 i costi della Presidenza del Consiglio sono tornati a salire: 3,6 miliardi contro i 3,5 del 2013 con Letta
E dopo Berlusconi iniziò l’era delle larghe intese. Con tre governi che, dal 2011 in poi, si sono dati il cambio a Palazzo Chigi. Da Mario Monti a Matteo Renzi, passando per Enrico Letta, nel ruolo di presidente del Consiglio. Con due effetti evidenti sulla composizione degli esecutivi. A cominciare dalla moltiplicazione dei partiti rappresentati nelle diverse compagini ministeriali. A tenere la contabilità, l’ultimo dossier dell’Associazione Openpolis, dal titolo “Fidati di me” e dedicato ai primi due anni di attività del governo guidato dall’ex sindaco di Firenze.
RITORNO AL PASSATO – Se con l’ex Cavaliere alla guida del Paese le forze in campo si erano ridotte a soli due movimenti (Popolo delle libertà e Lega Nord), da Monti in poi è stato un continuo crescendo. “Attualmente i membri del governo Renzi appartengono a 6 movimenti politici diversi: Partito democratico, Nuovo centrodestra, Scelta civica, Partito socialista italiano, Unione di centro e Democrazia solidale”. Ma non basta. Perché il dato più sorprendente “è il numero di nomi ricorrenti negli incarichi assegnati dagli ultimi quattro premier”. Tra insediamenti e rimpasti, dal 2008 ad oggi sono stati nominati oltre 200 tra ministri, viceministri e sottosegretari. E “nel 30% di queste nomine ricorrono sempre gli stessi volti”. In particolare si contano “trenta persone che hanno svolto o svolgono un ruolo di primo piano in almeno due degli ultimi quattro governi”.
ESERCITO DI GOVERNO – Dal 22 febbraio 2013, data del giuramento del governo in carica, “vari avvicendamenti hanno variato la sua composizione”. Che oggi conta 63 componenti. “Il numero più alto da due anni a questa parte”, sottolinea il dossier. Si va dai 35 membri del Partito democratico ai 13 del Nuovo centrodestra. “Sul gradino più basso del podio, la squadra di indipendenti e tecnici che conta 7 incarichi”. Non solo: “La percentuale di donne e under 40 nel governo Renzi è costantemente in calo dal 22 febbraio ad oggi”. Nel “caricometro” degli ultimi quattro governi stilato da Openpolis spiccano 7 nomi che, dal 2008 ad oggi, hanno rivestito almeno 3 diversi incarichi. “Quattro di questi appartengono al Nuovo centrodestra (Angelino Alfano, Antonio Gentile, Luigi Casero e Simona Vicari), due al Partito democratico (Claudio De Vincenti, e Graziano Delrio) e uno a Democrazia solidale (Mario Giro)”.
CHIAMAMI FIDUCIA – Ma i numeri fotografano anche un aspetto cruciale: la centralità dell’esecutivo nella produzione legislativa del Paese. Se, infatti, “quasi il 30% dei disegni di legge proposti dal governo Renzi diventano legge”, per i parlamentari “non si arriva neanche all’1%”. Non solo. “Nella XVII legislatura le proposte dei due esecutivi che si sono succeduti (Letta e Renzi) sono state approvate mediamente in 156 giorni”, mentre “quelle dei parlamentari hanno richiesto più di un anno (392 giorni)”. Discorso analogo per gli emendamenti: 1 su 2 presentato dal governo viene approvato contro una percentuale di successo del 5,42% e dell’1,25% delle proposte di modifica presentate rispettivamente da deputati e senatori. Insomma, un governo che incide molto più del Parlamento nell’iter legislativo. Grazie anche all’arma della fiducia. Che ha determinato l’approvazione del “31,01% delle leggi” durante l’esecutivo guidato da Matteo Renzi. “La seconda percentuale più alta degli ultimi quattro governi, battuto solamente da Mario Monti (45%)”. Anche se, guardando “i numeri assoluti”, l’attuale primo ministro “supera il primato” del senatore a vita 51 a 49. Inoltre, in 5 casi, il premier in carica ha dovuto richiedere per ben 3 volte la fiducia. E’ successo, ricorda il dossier, per il decreto competitività, il Jobs Act, la riforma della pubblica amministrazione, la legge di stabilità 2015 e l’Italicum.
POCHE RISPOSTE – Poi c’è il capitolo delle interrogazioni parlamentari. “Da quando Matteo Renzi è premier” ne sono state “depositate oltre 21.000” per chiedere “al governo o a un ministro dei chiarimenti su fatti o notizie, o ottenere spiegazioni su specifici provvedimenti”. Ma ad oggi “solo il 35,20% ha ottenuto una risposta”. E alcuni ministeri, “come quello della Giustizia guidato da Andrea Orlando, si fermano al 18,61%”. Fra i più virtuosi ci sono, invece, il dicastero della Difesa (guidato da Roberta Pinotti), quello degli Affari esteri (Federica Mogherini e poi Paolo Gentiloni) e quello dei Rapporti con il Parlamento (Maria Elena Boschi) che hanno risposto rispettivamente al 65,8%, al 70,20% e al 74,29% delle interrogazioni. Mentre “il ministero che ha ricevuto più quesiti è quello dell’Infrastrutture e dei trasporti (Maurizio Lupi e poi Graziano Delrio): oltre 2.131”.
RIUNIONI LAMPO – Dal 22 febbraio 2014 al 5 febbraio 2016, Openpolis ha contato 102 riunioni del Consiglio dei ministri. “In media, poco più di 4 al mese per un totale di oltre 100 ore di lavoro”. Dai resoconti ufficiali, evidenzia il dossier, emerge spesso “la mera formalità di questi incontri, occasione più che altro di raccontare in conferenza stampa decisioni già prese altrove”. Un’affermazione che Openpolis sostanzia con i numeri: “Ben 11 incontri sono durati dai 4 agli 8 minuti, 15 dai 10 ai 20 minuti e altri 7 dai 20 ai 25 minuti. Questo vuol dire che ben 33 incontri (il 32,35%) sono durati meno di mezz’ora”. Il dossier prende in considerazione anche il tema della sovrapposizione di ruoli di parlamentare e di membro del governo. “Ad oggi il doppio incarico parlamentare-ministro riguarda 9 persone”, che in media partecipano “solo all’8,66% delle votazioni elettroniche in aula”. Quando va bene, “come nel caso della ministra (Stefania) Giannini, si arriva al 36,48% delle votazioni in aula”. Quando va male, “per esempio con il ministro Gentiloni”, ci si ferma allo “0,25% di presenze”. Risultato: “L’incompatibilità dei due ruoli è evidente”.
CARA PRESIDENZA – E per finire le spese. “La macchina di Palazzo Chigi, come tutti gli organi dello stato, ha dei costi”. E Openpolis ha preso “in esame le entrate e le uscite della Presidenza del consiglio dei ministri”, includendo “sia le attività e le funzioni del premier, sia quelle dei vari dipartimenti”. Dalle politiche antidroga, alla protezione civile, passando per le politiche europee, gli affari regionali, “sono stati analizzati i conti finanziari dal 2011 al 2014, per un volume di spesa che in totale supera i 15 miliardi di euro”, basando la ricerca sui “bilanci consuntivi, che non considerano quindi solo le previsioni di inizio anno, ma che calcolano anche le cifre effettivamente impegnate nel corso dei mesi”. Con le riforme realizzate da Mario Monti, “il budget totale è sceso sui 4 miliardi di euro annui”. Nel 2013, anno del governo Letta, “il bilancio consuntivo è stato ridotto a 3,5 miliardi”. Ed “è risalito poi con il primo anno di governo Renzi a 3,6 miliardi”.
SEGRETARIATO DI LUSSO – La voce principale di spesa riguarda sempre la protezione civile. “In media parliamo di oltre il 60% del budget” (il 62,14 contro il 69,33 del 2013). Tra i costi più pesanti ci sono anche quelli del segretariato generale. “Si tratta delle spese a supporto dei compiti della Presidenza, e all’organizzazione e alle gestione amministrativa”. Una voce che “sotto il governo Renzi” è “passata dall’11% al 20% del totale”. Un livello “record nella storia recente”, sottolinea il dossier: “Se nel 2013 parlavamo di 396 milioni, nel 2014 si sono raggiunti i 754 milioni”. In crescita, sempre rispetto al 2013 (governo Letta), anche la spesa per la gioventù (dal 4,1 al 5,85%), mentre scendono quelle per l’editoria (dal 7,61 al 6%), per gli affari regionali (dal 3,69 al 2,87%) e la funzione pubblica (dall’1,34 all’1,16%).
Twitter: @Antonio_Pitoni
B.COME BASTA!
di Marco Travaglio 14€ AcquistaArticolo Precedente
Sovvenzioni ai giornali: “Per dare più soldi agli editori rischiano di rimetterci i pensionati al minimo”
Articolo Successivo
Denis Verdini, il viceministro Zanetti: “Meglio lui che Alfano, la sinistra Pd vuole solo ricattare”
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Mondo
Mosca: “Zelensky ha fallito negli Usa. È ossessionato dalla guerra”. L’ucraino abbassa i toni: “Capisco il dialogo Trump-Putin”, ma insiste sulle garanzie
Politica
Trump-Zelensky, è scontro tra Lega e FI. Opposizioni a Meloni: “Venga in Aula prima del Consiglio Ue”
Zonaeuro
L’Europa stretta tra due fuochi: l'indecisione di Bruxelles e i rischi dei due vertici del 2 e 6 marzo
Roma, 1 mar (Adnkronos) - "Grazie Fulco per aver insegnato a intere generazioni la cura e la conservazione della natura. Fondatore del WWF, parlamentare, sempre attento a portare fuori dai recinti l'ambientalismo convinto che doveva vivere soprattutto nella società e nei comportamenti individuali e collettivo per cambiare anche la politica. In un mondo in grave crisi climatica la Sua saggezza e conoscenza divulgativa ci mancherà molto". Lo dice Paolo Cento, già parlamentare dei Verdi e direttore della rivista ambientalista 'Articolo 9'.
Roma, 1 mar (Adnkronos) - "Giorgia Meloni non ha nulla da dire sulle parole dell’inviato speciale di Trump?". Lo scrive sui social al deputato di Iv Maria Elena Boschi, rilanciando il colloquio di Paolo Zampolli con il Foglio.
Roma, 1 mar. (Adnkronos) - A sedici anni dall'ultima presenza di un Capo dello Stato, in quel caso Giorgio Napolitano, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, torna in Giappone per una visita ufficiale in programma da lunedì 3 a domenica 9 marzo. Un appuntamento che suggella una fase di svolta nei rapporti tra l'Italia e il Paese del Sol Levante, visto che l'entrata in vigore nel 2023 del Partenariato strategico e il successivo Piano di azione siglato tra i rispettivi Governi l'estate scorsa in occasione del G7 a Borgo Egnazia segnano l'avvio di un rapporto caratterizzato da un nuovo dinamismo, che si preannuncia foriero di conseguenze positive e di prospettive da esplorare, che vanno ad inserirsi in una già collaudata comunanza di vedute e di interessi sul piano politico ed economico.
Basti pensare all'attenzione sempre crescente dell'Italia per le problematiche del Sud-est asiatico, con l'intensificazione di un dialogo a livello Nato e tra Unione europea e Giappone, per il quale il partenariato con gli Stati Uniti rappresenta un pilastro fondamentale, anche per la stabilità dell'Indo-pacifico. Con la necessità per il Paese del Sol Levante di trovare un equilibrio nei rapporti con la Cina, tra tensioni di carattere geopolitico da governare e interessi commerciali da salvaguardare.
Le circa 150 nostre aziende che operano in Giappone e le circa 380 giapponesi che sono nel nostro Paese, il Business-Forum in programma a Roma il prossimo 13 maggio, con la partecipazione di circa 200 imprese nipponiche e italiane, sono invece la dimostrazione di quanto sia rilevante e in crescita la partnership economica, che oltre alla presenza italiana nei tradizionali settori del design, della moda e dell'agroalimentare vede aumentare la collaborazione sul piano industriale e tecnologico. Si inserisce proprio in questo contesto il progetto Gcap per il caccia di sesta generazione basato sulla collaborazione tra Italia, Giappone e Regno Unito.
Si svilupperà quindi lungo questa direttrice il programma della visita di Mattarella, con impegni di carattere istituzionale, economico e culturale. Lunedì 3 marzo alle 19 ora locale (8 ore avanti il fuso orario rispetto all'Italia dove quindi saranno le 11), il Capo dello Stato vedrà a Tokyo la comunità italiana. Poi martedì l'incontro con l'imperatore Naruhito e l'imperatrice Masako e i colloqui con gli speaker, rispettivamente, della Camera dei Rappresentanti e della Camera dei Consiglieri. Quindi il concerto del tenore Vittorio Grigolo, offerto dall'Italia alla presenza dei rappresentanti della Casa imperiale.
Mercoledì 5 alle 11 (le 3 di notte in Italia) è previsto un confronto del presidente della Repubblica con rappresentanti della Confindustria giapponese ed esponenti dell'imprenditoria italiana, mentre alle 18 Mattarella vedrà il premier giapponese, Shigeru Ishiba.
Nelle giornate di giovedì e venerdì il Capo dello Stato sarà invece a Kyoto, dove sono in programma appuntamenti di carattere artistico e culturale e l'incontro con i nostri connazionali. Particolarmente significativa, anche per i risvolti legati alla attuale e delicata situazione internazionale, l'ultima tappa a Hiroshima, prevista sabato 8 marzo, con la visita al Museo della Pace e l'incontro con l'Associazione dei sopravvissuti ai bombardamenti nucleari e con l'organizzazione Nihon Hidankyo, impegnata per l'abolizione delle armi nucleari e insignita lo scorso anno del Premio Nobel per la pace. Domenica 9 il rientro a Roma.
Roma, 1 mar (Adnkronos) - "Mentre la vigilanza resta bloccata dal ricatto della maggioranza, gli ascolti della Rai continuano a precipitare, soprattutto nel settore dell’informazione, dove assistiamo a una vera e propria desertificazione. Un tempo i programmi di approfondimento erano punti di riferimento, oggi vengono sistematicamente penalizzati da scelte di palinsesto incomprensibili". Lo dicono i parlamentari del M5s della commissione di Vigilanza Rai.
"Un esempio? Fiction di grande successo, capaci di catalizzare milioni di spettatori, vengono mandate in onda in diretta concorrenza con trasmissioni storiche d’informazione. È successo con Rocco Schiavone contro Chi l’ha visto?, e si ripete con Imma Tataranni opposta a Report -proseguono-. Chi ha interesse a sabotare l’informazione di qualità? Come se non bastasse, la Rai autorizza con leggerezza la partecipazione di suoi volti di punta sulle reti concorrenti, depotenziando i propri programmi".
"Domani sera, Stefano De Martino sarà ospite di Fabio Fazio: un conduttore che già raccoglie ottimi ascolti, ha bisogno di fare promozione sul Nove? Ma a chi serve davvero questa ospitata, a De Martino o a Fazio? È solo una coincidenza che entrambi abbiano lo stesso agente? Di certo, non si può pensare di premiare chi è responsabile di tutto questo affidandogli la supergestione dei palinsesti. Per salvare la Rai serve competenza, non amichettismo", concludono gli esponenti M5s.
Roma, 1 mar (Adnkronos) - "Tra l’invasore Putin e il bullo Trump, noi stiamo con Zelensky, con l’Ucraina e con l’Unione europea, ormai unico argine al neocolonialismo e al neo imperialismo di Usa e Russia. Per questo +Europa parteciperà alle piazze per l’Ucraina che si stanno organizzando in tutta Italia, comprese quelle di oggi a Milano davanti al consolato USA e di domani in piazza dei Mercanti, così come a Roma in Piazza Santi Apostoli sempre domani. Non possiamo più stare a guardare. È il momento che tutti coloro che credono nell’Europa Unita e nella democrazia si schierino dalla parte di Kiev, dell’Europa, dei diritti e della libertà”. Lo annuncia il segretario di Più Europa Riccardo Magi.
Roma, 1 mar (Adnkronos) - "Apprezzabile la manifestazione in favore dell’Ucraina, domani pomeriggio. Ridicolo però che venga da Carlo Calenda, che ha distrutto il progetto Stati Uniti d’Europa non aderendo alla lista e regalando posti al parlamento europeo ai sovranisti filo Putin". Lo scrive sui social il senatore di Iv Ivan Scalfarotto.
Roma, 1 mar (Adnkronos) - "Le immagini di ieri dallo Studio ovale hanno sconvolto il mondo. Siamo in una situazione internazionale senza precedenti e il comunicato della premier Meloni, giunto ben ultimo dopo altri leader europei, non fa chiarezza sulla posizione dell’Italia". Lo dicono Chiara Braga e Francesco Boccia, capigruppo Pd alla Camera e al Senato.
"Meloni deve spiegare al paese se ha intenzione di abbandonare l’Ucraina al suo destino, se pensa di distinguersi dal resto dell’Europa e come intende rispondere all’arroganza degli Stati Uniti e di Trump. Non può continuare a nascondersi e a scansare la questione di fondo: dove colloca l’Italia nel mondo in questo drammatico frangente. Basta video e comunicazioni tardive, venga in Parlamento già prima del vertice europeo straordinario del 6 marzo", aggiungono Braga e Boccia.