“Una squadra al lavoro con l’obiettivo di fare buone cose per il nostro Paese”. All’autocelebrazione del governo Renzi, che in questi giorni ha lanciato una serie di iniziative per festeggiare il secondo compleanno, non poteva mancare il ministero del Lavoro di Giuliano Poletti. Sul sito istituzionale, è stata pubblicata una presentazione che ripercorre questi 24 mesi di governo. Nel segno di #lavorodisquadra, l’hashtag per lanciare l’evento sui social, il lettore può tuffarsi in un album dei ricordi, con le immancabili slide e svariate foto del ministro, per rammentare “le tappe più significative, dal Jobs Act a Garanzia Giovani, dal servizio civile ai provvedimenti di carattere sociale”. Peccato che i risultati vantati nelle slide, sottoposti alla prova dei fatti, si mostrino in tutta la loro fragilità. Non a caso, Poletti è il ministro che è uscito maggiormente ridimensionato dall’ultimo rimpasto di governo, perdendo le deleghe alla famiglia e al Jobs act degli autonomi.
“Tutto cominciò a febbraio 2014”, esordisce la narrazione del governo, con l’istantanea di Poletti che giura di fronte a Giorgio Napolitano. E presto si arriva al Jobs act, una delle più importanti riforme di questo esecutivo. “Meno precarietà, più lavoro stabile – si legge nella slide – Il nostro obiettivo è la lotta alla precarietà. Vogliamo far tornare il contratto a tempo indeterminato la modalità normale di assunzione”. Eppure, i risultati in questo senso stentano ad arrivare. Anche la prima ricerca accademica sugli effetti della riforma, a dicembre, spiegava che “il Jobs act sta fallendo nei suoi obiettivi principali: promuovere l’occupazione e ridurre la quota di contratti temporanei e atipici”, cioè il precariato.
Nei mesi successivi sono giunte altre conferme. E’ vero che nel 2015 è aumentata l’occupazione a tempo indeterminato, grazie soprattutto al generoso bonus contributivo, ma al contempo il precariato ha spinto il piede sull’acceleratore. Secondo l’Istat, nel 2015 l’occupazione stabile è aumentata dello 0,9%, quella a termine del 4,9 per cento. E anche dai dati Inps sui contratti, sbandierati dal ministero (“Il Jobs Act funziona. Secondo i dati Inps, nel 2015 i contratti a tempo indeterminato sono stati 764mila in più rispetto al 2014”), si evince che il 61,9% dei nuovi rapporti di lavoro nel 2015 sono a tempo determinato, mentre quelli stabili si fermano a quota 30,7 per cento. Allo stesso tempo, va sempre ricordato che proprio il Jobs act ha minato alla radice il concetto di stabilità del contratto a tempo indeterminato, abolendo di fatto l’articolo 18 e sdoganando i licenziamenti illegittimi senza possibilità di reintegrare il lavoratore.
Ma probabilmente anche il governo si è reso conto che qualcosa non va per il verso giusto. Alla voce “promemoria per il futuro“, il ministero del Lavoro si ripromette di “controllare l’evoluzione dell’utilizzo dei voucher“. In effetti, i buoni per pagare il lavoro occasionale stanno registrando un boom fuori da ogni controllo: nel 2015, sono stati emessi 115 milioni di tagliandi, con un balzo in avanti del 66% rispetto all’anno precedente. Non a caso, nel maggio scorso, il presidente dell’Inps Tito Boeri aveva definito i voucher “la nuova frontiera del precariato”. L’espansione dei buoni lavoro, in realtà, dura da diversi anni, ma il Jobs act non ha fatto altro che favorirla ulteriormente: il limite di reddito percepibile da un lavoratore attraverso i voucher è stato aumentato da 5mila a 7mila euro annui.
Ma la riforma del lavoro non è l’unica tappa che il ministero ricorda come #lavorodisquadra. Un altro risultato sottolineato dalla presentazione è Garanzia Giovani: “Oggi, in un anno e mezzo, più di 970mila giovani si sono iscritti al programma, che offre opportunità di formazione, tirocinio, servizio civile e lavoro. Più di 618milasono stati presi in carico dai servizi per l’impiego e a oltre 284mila è stata formulata almeno una proposta”. Insomma, poco più di un giovane su quattro ha ricevuto un’offerta di lavoro, o più probabilmente di tirocinio. E spesso anche chi ha avuto questa opportunità ha poco da festeggiare. In molte Regioni italiane, infatti, i pagamenti sono in ritardo di svariati mesi e i giovani, costretti a lavorare senza alcun introito, sono tentati di rinunciare al progetto.
Oltre ai giovani, un’altra piaga del mondo del lavoro italiano sono gli esodati. “Stanziati 1,5 miliardi fino al 2023 – si legge nella presentazione – Con quest’ultimo provvedimento, le persone tutelate sono divenute 172mila”. Con la legge di stabilità 2016, infatti, il governo rivendica di avere coperto 26mila persone. Eppure, secondo i dati dell’Inps, gli esodati da salvaguardare sono 49.500: all’appello mancano ben 23mila lavoratori. E il loro destino sembra tutt’altro che roseo, dal momento che lo stesso ministro Poletti aveva precisato che questo sarebbe stato l’ultimo intervento di salvaguardia.
Sfogliando le ultime pagine del pamphlet celebrativo, si arriva infine a gennaio 2016: “Il governo approva il provvedimento che contiene norme relative al contrasto alla povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali”. Per queste misure, l’esecutivo stanzierà a regime 1,5 miliardi di euro all’anno. Secondo le associazioni di settore, è troppo poco: servirebbero almeno 7 miliardi. Inoltre, gli addetti ai lavori segnalano che i servizi di welfare sui quali vuole puntare Poletti non sono all’altezza della sfida lanciata dal governo. E per chiudere, la legge delega sul contrasto alla povertà è stata al centro delle polemiche dei giorni scorsi. Il testo prevede infatti la possibilità di razionalizzare alcune prestazioni previdenziali, tra le quali figurano le pensioni di reversibilità, cioè la quota di assegno che, dopo la morte del pensionato, viene corrisposta al coniuge e alla famiglia. Dopo la pioggia di critiche lanciate al governo, accusato di “fare cassa sulle spalle delle vedove”, il ministro del Lavoro ha dovuto aggiustare il tiro, spiegando che non sono previsti interventi sulle pensioni di reversibilità.