Bambine che a 10 anni già postano foto in pose provocanti su Facebook e maschietti delle elementari che diventano molto nervosi quando gli viene tolto il computer. E poi ci sono quelle ore chiusi in camera persi in un mondo virtuale dal quale è difficile riemergere e le feste di compleanno trascorse tutti chini sugli smartphone, senza socializzare. Sono i sintomi delle baby dipendenze digitali, che le nuove generazioni iniziano a sviluppare sin dalla tenera età. Ed è per insegnare a mamme e papà come riconoscere, e contrastare, le abitudini che potrebbero condurre a queste dipendenze che a Genova sono nati i primi gruppi di supporto “Incomincio da 3”. Un progetto pensato per aiutare i genitori a riflettere sulle proprie modalità educative, “perché quando i ragazzi sviluppano una dipendenza – racconta Cristiana Busso, psicologa del Sert di Genova Quarto – spesso è già tardi per intervenire. Bisogna giocare d’anticipo”.

“Incomincio da 3” è stato ideato dal Sert di Quarto in collaborazione con la cooperativa sociale Minerva, nata nel 2008 nell’ambito dei servizi educativi per le famiglie. “I comportamenti a rischio – spiega Roberta Facchini, educatrice di Minerva – possono svilupparsi già all’età di 2 o 3 anni. Sono diffusi e socialmente accettati, ma rappresentano l’inizio di un percorso da cui non si riesce più a tornare indietro. Non sono ancora dipendenze, ma già da piccoli i bambini imparano a riempire i vuoti delle loro giornate con la tecnologia”. Giochi e gadget che, crescendo, diventano un’ossessione, tanto che negli ultimi anni, tra i ragazzi, sono aumentate sensibilmente le “dipendenze senza sostanze”, cioè gioco d’azzardo, soprattutto online, videogiochi e computer, intesi sia come internet, sia come social network. E secondo uno studio pilota nel 2015 dalla onlus Peter Pan, il 34% dei bambini italiani, tra gli 11 e i 13 anni, che giocano ai videogame violenti, presenta ansia e sintomi neurovegetativi. “Mio figlio di 5 anni – racconta una mamma iscritta al gruppo – un anno fa aveva iniziato a giocare con dei giochi al computer. Ho capito che era troppo presto perché faceva fatica a staccarsene e soprattutto diventava nervoso se non riusciva a terminare i giochi un po’ più impegnativi”.

“Spesso a noi genitori capita di vedere i figli seduti col naso all’ingiù, a fissare lo schermo, anche se fuori è una bella giornata – spiega Federica Salaris, grafica e mamma di due maschietti di 7 e 8 anni – non socializzano, si chiudono in loro stessi. I miei bimbi hanno una console, ma noi a casa cerchiamo di dare il buon esempio, evitando di mostrarci sempre attaccati ai cellulari e offrendo loro diversi stimoli: lo sport, il gioco all’aria aperta, le care vecchie figurine”. La prevenzione, spiegano infatti Facchini e Busso, parte proprio dalla famiglia. “Dai racconti dei genitori – raccontano le ideatrici del progetto – emerge un’incapacità nel porre limiti. Spesso si preoccupano più di rendere felici i figli, che di aiutarli a diventare grandi”.

Alla base c’è uno stile educativo incentrato sul “tutto e subito”, sulla carenza di regole, su un rapporto genitori e figli sbilanciato a favore dei bambini. “Si bruciano le tappe evolutive, i bimbi crescono troppo in fretta – spiega Busso – e un altro aspetto di questa tendenza è la sessualizzazione precoce, con bambine truccate o portate dall’estetista prima di una festa, come adulti, e bambini introdotti troppo presto in un mondo, quello del web, dove non ci sono filtri”.

L’effetto è una sovraesposizione a stimoli per i quali i più piccoli non sono ancora pronti, alle prese con una tecnologia a cui hanno accesso senza però comprenderne appieno il significato. O i rischi. “Pensate che esistono giochi che permettono ai bambini di scattarsi selfie già nella culla e seggioloni che hanno un braccio per il tablet. Ma se un bimbo di 4 anni capisce come si usa il touch screen, non significa che sia pronto ad avere uno smartphone”. Il genitore, invece, spiega la psicologa del Sert, deve sentirsi legittimato a dire no: “Se decido di imporre limiti all’uso di un videogioco, non lo faccio per far soffrire il bimbo, ma per aiutarlo a crescere. Il che non vuol demonizzare la tecnologia, ma avere la consapevolezza che servono delle regole”.

“Come mamma di una bimba di 8 anni – racconta Eliana Ferraris – mi è capitato di sentirmi desueta, a disagio e stupita davanti all’uso continuo della tecnologia che molti bambini, anche piccoli, fanno. Poi, confrontandomi con altri genitori iscritti al gruppo, mi sono resa conto che non ero l’unica a provare tanta perplessità, mi sono sentita meno sola”. Eliana ha trasformato ciò che ha appreso partecipando a “Incomincio da 3” in un libro, Guardiamo le gocce, illustrato dalla Salaris: una favola per bambini ma anche per genitori, per raccontare di ciò che si rischia di perdere quando ci si rinchiude nel mondo della tecnologia. “E’ una questione di mezze misure – sorride Ferraris – e noi genitori non dobbiamo sentirci ‘cattivi’ solo perché qualche volta non accontentiamo i nostri figli”.

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