La cosa più disorientante è che non riesco a liberarmi da questa impressione: sto andando a Milano per parlare con Eco della morte di Eco, e rivedere insieme quella marea di cose fatte che richiedono una grande mente per essere narrate con ordine e restituire a ciascuna il senso che ha avuto. E quando ti rendi conto che non funziona così, comincia a insediarsi il lutto, che a colpi, a scatti, a sorprese (un po’ i ricordi, un po’ i fatti) si rivela una esperienza assurda. Non c’è rifugio ma fai barricata coi ricordi.
I giorni di Eco sono talmente tanti che non corrispondono a un calendario e non sono la somma del tempo vissuto. Sono strisce di cose pensose, festose, inattese, tra cultura e invenzione, tra erudizione profonda e battuta azzeccata, tra diario e anticipazione (potrei anche dire “profezia”, ma temo il suo piemontese rancore verso la retorica e la celebrazione) che non puoi fare un tuo personale bilancio, per quanto ti proclami “amico di una vita”. E’ vero, sarebbe un modo di fronteggiare il peso eccessivo di ciò che è appena accaduto (Umberto Eco è morto) e che è un controsenso, con quel tipo vita che, come certi film, non si presta al riassunto. Potresti dire che lo conosci da tanto, ma quel tanto poi lo devi moltiplicare per tanti modi di essere, agire, capire, lavorare, pubblicare, esistere e lasciare impronte in parti del sapere e in parti del mondo e dentro culture diverse che allargano enormemente lo spazio, finché persino tu, che credi di esserci sempre stato, sei un punto fra altri che hanno partecipato o testimoniato di una vita che ha stupito molto, ha creato ammirazione e sorpresa mentre scorreva e dava l’impressione di durare sempre.
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Un’immagine del ’93 con Umberto Eco e Furio Colombo alla presentazione di un libro di Monica Vitti. Con loro anche Andrea Barbato
Mi ricordo due scene sul treno della Cina, destinazione Pechino, sulla via della seta, tanti anni fa (come dirò ai suoi nipoti). In una siamo seduti per terra in un treno affollato, circondati di bambini perché stavamo cantando canzoni alpine italiane, e i bambini cinesi, abbastanza intonati, si accodavano, al punto che Eco (che sapeva di musica e suonava parecchi strumenti) ha cominciato a insegnare, far ripetere, dirigere, e dopo un po’ tutto il vagone seguiva. In un’altra scena, alcuni di noi erano il pubblico di una disputa linguistica fra Eco e i giovani professori cinesi che ci guidavano. E il tema della discussione, in inglese, era: quella specie di altarino che nell’ideogramma cinese si disegna sotto le parole riferite al potere sono un gradino? Sono un altare? Sono un atto dovuto?
“La Nave di Teseo” è stata l’ultima avventura vissuta insieme. Come ai tempi della Rai (ricordate? il concorso) come ai tempi del Gruppo 63 a Palermo, come ai tempi del Dams a Bologna, come ai tempi del viaggio in Cina, come ai tempi della Academie des Cultures presieduta da Elie Wiesel dove si discuteva e lavorava ogni anno, a Parigi, con Jacques LeGoff, Toni Morrison, Wole Soynka, Luciano Berio, Umberto e io avevamo l’impegno di preparare per l’Academie, un programma scolastico online di educazione alla pace, per le scuole elementari, come ai tempi dell’Istituto di Cultura di New York, che allora io dirigevo, dove dialogavano con lui, di volta in volta, (“le conversazioni in pubblico”) Susan Sontag o Vanessa Redgrave, come alla Columbia University, dove un 25 Aprile è stato celebrato da Umberto insieme a Giorgio Strehler. Davanti a una folla di professori e studenti.
Ma “La Nave di Teseo” è stata forse l’evento più sorprendente e più giovane per uno scrittore che aveva già inondato il mondo con milioni di copie in tutte le lingue, ma non ha permesso di cambiare l’editore storico italiano per ragioni commerciali che non lo riguardavano. “Io non sono in vendita”, ha detto al suo editore Bompiani (parte del gruppo in vendita Rcs). E tutta la Bompiani, a cominciare dal suo capo, Elisabetta Sgarbi, e molti autori anche grandi e consapevoli del rischio, lo hanno seguito senza pensarci. Al nipote teenager Emanuele, che spesso è stato compagno di conversazione del celebre nonno (che però era nonno assoluto, fino al punto da andarlo a prendere a scuola quando il primo dei suoi nipoti era bambino) che gli aveva chiesto: “Perché lo fate?” aveva risposto, da piemontese un po’ risorgimentale e privo di retorica: “Perché si deve”.
E adesso abbiamo la ragione per continuare, impedendoci però di dire che lo facciamo “in suo nome”, per evitare i fulmini del suo disappunto piemontese per le celebrazioni.
I flash di memoria, che giungono, come è inevitabile, in disordine e non obbediscono alla sequenza del prima e del dopo, sono utili con Eco, a causa di un tratto unico della sua vita. Non è di quelli che maturano (come in tante biografie americane) e fanno mille mestieri e un po’ di frequentazioni sbagliate prima di diventare il genio. Umberto è saltato in scena allegro come si è allegri a vent’anni, niente affatto spaesato in un villaggio come la Rai, che non sapeva di essere già globale ma lo era, e si è accorto subito di abitanti molto strani e molto diversi, come Mike Bongiorno e Luciano Berio. Negli stessi anni che si potrebbero chiamare avanguardia dell’avanguardia, Eco ha scritto La fenomenologia di Mike Bongiorno e ha lavorato con Luciano Berio a quel Omaggio a Joyce che è diventato il primo testo musicale della grande e bella produzione musicale di Berio, su lavoro letterario di Eco (quasi nessuno conosceva Joyce) e con la partecipazione, di cui mi vanto ancora, della mia voce. Intanto John Cage, padre dell’avanguardia di tutti i luoghi, i generi e i tempi, veniva a mangiare con noi a casa di Berio (la moglie era allora Cathy Barberian, dalla voce indimenticabile) in attesa di presentarsi a Lascia e Raddoppia come concorrente (alla fine vincente) nello show di Mike Bongiorno.
L’enciclopedismo che Umberto prescrive ai più giovani come fondamento del nuovo c’era già in pieno, nell’Eco giovane che non ha mai smesso di scrivere, di ridere, di insegnare e di trasformare la cultura alta in romanzo. C’era già l’idea della scuola che tutti vanno cercando, ripetendo a volte la sciocchezza dello studio simile il più possibile al lavoro, invece che formidabile esercizio di intelligenza. Ma è urgente, e questo è il punto duro e insopportabile del lutto, parlarne con lui.
Furio Colombo
Giornalista e scrittore
Cultura - 20 Febbraio 2016
Umberto Eco, amico di una vita. Non è mai stato in vendita, fino alla fine
La cosa più disorientante è che non riesco a liberarmi da questa impressione: sto andando a Milano per parlare con Eco della morte di Eco, e rivedere insieme quella marea di cose fatte che richiedono una grande mente per essere narrate con ordine e restituire a ciascuna il senso che ha avuto. E quando ti rendi conto che non funziona così, comincia a insediarsi il lutto, che a colpi, a scatti, a sorprese (un po’ i ricordi, un po’ i fatti) si rivela una esperienza assurda. Non c’è rifugio ma fai barricata coi ricordi.
I giorni di Eco sono talmente tanti che non corrispondono a un calendario e non sono la somma del tempo vissuto. Sono strisce di cose pensose, festose, inattese, tra cultura e invenzione, tra erudizione profonda e battuta azzeccata, tra diario e anticipazione (potrei anche dire “profezia”, ma temo il suo piemontese rancore verso la retorica e la celebrazione) che non puoi fare un tuo personale bilancio, per quanto ti proclami “amico di una vita”. E’ vero, sarebbe un modo di fronteggiare il peso eccessivo di ciò che è appena accaduto (Umberto Eco è morto) e che è un controsenso, con quel tipo vita che, come certi film, non si presta al riassunto. Potresti dire che lo conosci da tanto, ma quel tanto poi lo devi moltiplicare per tanti modi di essere, agire, capire, lavorare, pubblicare, esistere e lasciare impronte in parti del sapere e in parti del mondo e dentro culture diverse che allargano enormemente lo spazio, finché persino tu, che credi di esserci sempre stato, sei un punto fra altri che hanno partecipato o testimoniato di una vita che ha stupito molto, ha creato ammirazione e sorpresa mentre scorreva e dava l’impressione di durare sempre.
Un’immagine del ’93 con Umberto Eco e Furio Colombo alla presentazione di un libro di Monica Vitti. Con loro anche Andrea Barbato
Mi ricordo due scene sul treno della Cina, destinazione Pechino, sulla via della seta, tanti anni fa (come dirò ai suoi nipoti). In una siamo seduti per terra in un treno affollato, circondati di bambini perché stavamo cantando canzoni alpine italiane, e i bambini cinesi, abbastanza intonati, si accodavano, al punto che Eco (che sapeva di musica e suonava parecchi strumenti) ha cominciato a insegnare, far ripetere, dirigere, e dopo un po’ tutto il vagone seguiva. In un’altra scena, alcuni di noi erano il pubblico di una disputa linguistica fra Eco e i giovani professori cinesi che ci guidavano. E il tema della discussione, in inglese, era: quella specie di altarino che nell’ideogramma cinese si disegna sotto le parole riferite al potere sono un gradino? Sono un altare? Sono un atto dovuto?
“La Nave di Teseo” è stata l’ultima avventura vissuta insieme. Come ai tempi della Rai (ricordate? il concorso) come ai tempi del Gruppo 63 a Palermo, come ai tempi del Dams a Bologna, come ai tempi del viaggio in Cina, come ai tempi della Academie des Cultures presieduta da Elie Wiesel dove si discuteva e lavorava ogni anno, a Parigi, con Jacques LeGoff, Toni Morrison, Wole Soynka, Luciano Berio, Umberto e io avevamo l’impegno di preparare per l’Academie, un programma scolastico online di educazione alla pace, per le scuole elementari, come ai tempi dell’Istituto di Cultura di New York, che allora io dirigevo, dove dialogavano con lui, di volta in volta, (“le conversazioni in pubblico”) Susan Sontag o Vanessa Redgrave, come alla Columbia University, dove un 25 Aprile è stato celebrato da Umberto insieme a Giorgio Strehler. Davanti a una folla di professori e studenti.
Ma “La Nave di Teseo” è stata forse l’evento più sorprendente e più giovane per uno scrittore che aveva già inondato il mondo con milioni di copie in tutte le lingue, ma non ha permesso di cambiare l’editore storico italiano per ragioni commerciali che non lo riguardavano. “Io non sono in vendita”, ha detto al suo editore Bompiani (parte del gruppo in vendita Rcs). E tutta la Bompiani, a cominciare dal suo capo, Elisabetta Sgarbi, e molti autori anche grandi e consapevoli del rischio, lo hanno seguito senza pensarci. Al nipote teenager Emanuele, che spesso è stato compagno di conversazione del celebre nonno (che però era nonno assoluto, fino al punto da andarlo a prendere a scuola quando il primo dei suoi nipoti era bambino) che gli aveva chiesto: “Perché lo fate?” aveva risposto, da piemontese un po’ risorgimentale e privo di retorica: “Perché si deve”.
E adesso abbiamo la ragione per continuare, impedendoci però di dire che lo facciamo “in suo nome”, per evitare i fulmini del suo disappunto piemontese per le celebrazioni.
I flash di memoria, che giungono, come è inevitabile, in disordine e non obbediscono alla sequenza del prima e del dopo, sono utili con Eco, a causa di un tratto unico della sua vita. Non è di quelli che maturano (come in tante biografie americane) e fanno mille mestieri e un po’ di frequentazioni sbagliate prima di diventare il genio. Umberto è saltato in scena allegro come si è allegri a vent’anni, niente affatto spaesato in un villaggio come la Rai, che non sapeva di essere già globale ma lo era, e si è accorto subito di abitanti molto strani e molto diversi, come Mike Bongiorno e Luciano Berio. Negli stessi anni che si potrebbero chiamare avanguardia dell’avanguardia, Eco ha scritto La fenomenologia di Mike Bongiorno e ha lavorato con Luciano Berio a quel Omaggio a Joyce che è diventato il primo testo musicale della grande e bella produzione musicale di Berio, su lavoro letterario di Eco (quasi nessuno conosceva Joyce) e con la partecipazione, di cui mi vanto ancora, della mia voce. Intanto John Cage, padre dell’avanguardia di tutti i luoghi, i generi e i tempi, veniva a mangiare con noi a casa di Berio (la moglie era allora Cathy Barberian, dalla voce indimenticabile) in attesa di presentarsi a Lascia e Raddoppia come concorrente (alla fine vincente) nello show di Mike Bongiorno.
L’enciclopedismo che Umberto prescrive ai più giovani come fondamento del nuovo c’era già in pieno, nell’Eco giovane che non ha mai smesso di scrivere, di ridere, di insegnare e di trasformare la cultura alta in romanzo. C’era già l’idea della scuola che tutti vanno cercando, ripetendo a volte la sciocchezza dello studio simile il più possibile al lavoro, invece che formidabile esercizio di intelligenza. Ma è urgente, e questo è il punto duro e insopportabile del lutto, parlarne con lui.
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Milano, 24 feb.(Adnkronos) - “La presentazione di Fondazione Bicocca è un momento importante perché Bicocca ha già dimostrato, spostandosi in quest'area geografica della città, di fare tanto per il territorio in cui è immersa, con una trasformazione ambientale e strutturale". Lo afferma Alessia Cappello, assessora allo Sviluppo economico e politiche del lavoro del Comune di Milano, in occasione della presentazione della Fondazione Bicocca, svoltasi presso l’Aula magna dell’Ateneo milanese.
"Basti pensare - dice - a tutti gli investimenti sul verde che ha fatto e che circondano quest'area, ma soprattutto culturale, sulla parte che riguarda la proprietà intellettuale, il trasferimento tecnologico, la possibilità di avvicinare e orientare ancora di più tante ragazze e ragazzi alle materie che l’Università Bicocca rappresenta in questo territorio. Ora attraverso la Fondazione, si cerca di creare quel ponte ancora più esplicito, ancora più forte con il mercato del lavoro”.
"L’obiettivo della Fondazione è trasformare da un lato il mercato del lavoro, avvicinandolo sempre di più alle aspettative di tante ragazze e ragazzi, dall'altro lato avvicinare questo patrimonio di giovani alle proposte che ci sono nel mercato del lavoro, orientandoli e formandoli nel modo corretto a fronte delle tante vacancies che ci sono in diversi settori. Un obiettivo molto utile non solo a Milano, ma al nostro Paese”, conclude.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Il costo delle bollette in Italia ha raggiunto picchi insostenibili per famiglie e imprese. Oggi la segretaria Schlein ha dimostrato che sono possibili interventi urgenti e immediati per abbassare il costo dell’energia. Nello stesso giorno in cui il governo Meloni fa slittare il cdm per affrontare la questione: sono nel caos. Seguano le proposte del Pd, perché gli italiani non possono rimetterci di tasca propria per l’incompetenza di questa destra". Lo scrive sui social Alessandro Zan del Pd.
Milano, 24 feb.(Adnkronos) - “Il valore di Fondazione Bicocca è un atto di coraggio, ma anche di eredità, perché questo è il mio ultimo anno di mandato. Pertanto, l'ottica è mettere a disposizione le competenze, ma anche il coraggio, di un grande ateneo pubblico multidisciplinare, come Bicocca, a disposizione della società civile a 360 gradi”. Così Giovanna Iannantuoni, rettrice dell’università degli studi di Milano-Bicocca, in occasione della presentazione della Fondazione Bicocca, svoltasi presso l’Aula magna dell’Ateneo milanese.
“Tutti noi sappiamo dell'incertezza economica, dei problemi relativi al mancato sviluppo delle competenze e dell'inverno demografico. Queste sfide non sono solo italiane, ma anche europee, rispetto a colossi come Stati Uniti e Cina e fanno riflettere sul gap di innovazione tecnologica che caratterizza tutta l'Europa e in particolare il nostro Paese. Pertanto - spiega la rettrice Iannantuoni - è motivo di orgoglio avere da un lato lo sviluppo delle competenze e dall’altro mettere a disposizione i nostri laboratori e le nostre migliori menti insieme alle imprese per fare sviluppo e crescita. Non c'è innovazione tecnologica se non c’è giustizia sociale, cioè se l’innovazione non è a favore di tutti. Un esempio sono le polemiche legate alle auto elettriche”.
“Quindi, il nostro approccio è multidisciplinare, innovativo e diverso, com’è diversa Bicocca, e si propone come una piattaforma di connessioni per il futuro, come abbiamo voluto chiamare la giornata di oggi e aspettiamo tutte le imprese del terzo settore, gli Irccs, gli istituti di cura, le scienze della vita, Tutti insieme per dare una speranza diversa al nostro Paese”, conclude.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Il governo Meloni, in quasi due anni, non ha adottato alcuna misura efficace per contrastare l’aumento delle bollette, preferendo smantellare il mercato tutelato e aggravando così la situazione di famiglie e imprese". Lo afferma Ubaldo Pagano, capogruppo del Partito Democratico in Commissione Bilancio alla Camera, sottolineando la necessità di un cambio di rotta immediato. Il Partito Democratico torna a chiedere interventi concreti, proponendo due soluzioni centrali: separare il costo dell’energia da quello del gas e istituire un ente pubblico che possa garantire prezzi più accessibili.
"Non possiamo accettare – aggiunge Pagano – che il nostro sistema energetico rimanga vincolato a un meccanismo che pesa enormemente sulle tasche di cittadini e aziende. Il gas è la fonte più costosa e instabile, e continuare a legare il prezzo dell’elettricità a questa risorsa è un errore che il governo deve correggere subito. Le bollette stanno raggiungendo livelli insostenibili proprio nei mesi di maggiore consumo: Meloni e la sua maggioranza si decidano ad agire, perché gli italiani non possono più aspettare", conclude Pagano.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Non è più procrastinabile un intervento del Governo per contenere i costi delle bollette, oramai insostenibili per milioni di italiani. Governo e maggioranza facciano proprie le proposte del Pd avanzate da Elly Schlein e tutte a costo zero. Proposte semplici, chiare ed efficaci. Approviamole con spirito bipartisan per il bene del Paese". Così in una nota il senatore del Pd Michele Fina.
"Dopo che il taglio delle accise, promesso dalla presidente Meloni, era rimasto intrappolato nella distanza che c'è tra il dire e il fare e nulla è stato fatto è ora che maggioranza e governo prendano atto della gravità della situazione. Come si fa a non rendersi conto che questa emergenza bollette si aggiunge all’aumento di carburante, RC Auto e pedaggi, beni alimentari, materiale scolastico e affitti? Una situazione sconfortante che si va ad aggiungere ad una economia che arretra da 750 giorni, proprio mentre attendiamo gli effetti nefasti dei dazi di Trump".
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - Si riunirà domani pomeriggio il gruppo Pd della Camera e all'ordine del giorno c'è anche la questione della pdl Cisl sulla partecipazione dei lavoratori. Dopodomani infatti si riunirà in mattinata il Comitato dei 9 e quindi è atteso il provvedimento in aula. Provvedimento sul quale si sono registrate sensibilità diverse tra i dem. Con il disagio dell'area riformista, in particolare, a dire no all'iniziativa promossa dalla Cisl. Per un altro pezzo dei dem invece, come Arturo Scotto e Maria Cecilia Guerra, il testo base è stato stravolto dalla maggioranza ed è quindi insostenibile. Testo su cui, per altro, ha messo il cappello la stessa premier Giorgia Meloni parlando all'ultima assemblea Cisl.
I dem, per trovare una quadra, si erano già confrontati nelle settimane scorse in una riunione del gruppo a Montecitorio. Si era deciso di rinviare la decisione sul voto, in attesa di vedere se la maggioranza si fosse resa disponibile ad accogliere alcune modifiche, in aula, proposte dal Pd. "Attendiamo un segnale", si era detto. A quasi un mese di distanza però il 'segnale' non sembra arrivato. Dice Scotto, capogruppo Pd in commissione Lavoro: "Noi abbiamo tenuto sempre come bussola il merito. E votare no al mandato al relatore, è stata un scelta di merito perchè il testo base Cisl è stato completamente stravolto e peggiorato. Tanto che viene da chiedersi come sia possibile che un grande sindacato come la Cisl possa riconoscere come proprio il provvedimento che arriva in aula...".
"Ma -aggiunge- abbiamo detto che eravamo disponibili a modificare il nostro no in commissione, se in aula la maggioranza avesse dato l'ok ad alcune significative modifiche. Al momento, però non abbiamo avuto alcun segnale in questa direzione". E quindi, va a finire che il Pd si divide? "Non credo proprio". Magari si va verso un'astensione? "Domani abbiamo il gruppo, discuteremo domani".
Roma, 24 feb. (Adnkronos Salute) - L'intervento e le cure per il tumore al seno possono avere un forte impatto sulla sfera emotiva e sessuale della donna; il bisogno di recuperare femminilità e intimità, così come il desiderio di maternità, sono molto sentiti dalle pazienti, che però non ne parlano. Lo confermano i dati di un'indagine condotta da Iqvia e promossa da Europa Donna Italia per comprendere l'impatto della malattia sull'identità femminile e la relazione di coppia. I risultati sono stati presentati nel corso del convegno scientifico 'Rəvolution in medicine', che si è tenuto sabato 22 febbraio all'università degli Studi di Milano.
Oltre il 90% delle donne riscontra problemi legati alla sfera sessuale in seguito a interventi e trattamenti per il tumore al seno, ma il 66% non ne parla con nessuno e il 42% rinuncia a gestirli, evidenzia la ricerca coordinata da Isabella Cecchini, responsabile del Centro studi Iqvia Italia, che ha coinvolto 382 donne con diagnosi di tumore al seno di diverse fasce di età e a diverso stadio di malattia. I risultati indicano che le tematiche relative a emozioni e sessualità sono percepite importanti per il 72% del campione, ma restano taciute non solo dalle donne stesse - principalmente per timore, vergogna, idea che siano aspetti secondari rispetto alle priorità dettate dalla malattia - ma anche dai medici.
"Rispetto agli esordi del mio essere oncologa - dichiara Manuelita Mazza, oncologa della Senologia medica dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano e responsabile scientifica di 'Rəvolution in medicine' - la vita delle pazienti è cambiata. In poco più di vent'anni ho assistito a grandi passi avanti nella capacità di curare il tumore al seno, anche nelle forme metastatiche; tuttavia, se si guarisce sempre di più e l'aspettativa di vita è più lunga, non sono certa sia anche più larga, più piena, più densa di vita stessa. La salute sessuale è un aspetto puntualmente trascurato del benessere di chi ha una diagnosi impegnativa come il tumore al seno, specie se metastatico, ma è parte integrante del benessere di ciascuna donna e non può essere un argomento omesso a fronte di una diagnosi di tumore al seno".
"Fornire alla paziente informazioni chiare sugli effetti collaterali sessuali dei trattamenti e, se desiderato, includere il partner nelle discussioni cliniche può fare una grande differenza - prosegue Mazza - Questa apertura non solo supporta meglio la paziente, ma le permette di sentirsi compresa in una delle sfere più intime e vulnerabili della sua vita".
I dati presentati confermano quanto un cambio di passo sia necessario: appena il 22% delle donne intervistate ha un alto livello di consapevolezza dell'impatto delle terapie sulla propria sessualità, l'11% ha interrotto la relazione con il proprio partner dopo la diagnosi di tumore al seno e 2 coppie su 3 hanno interrotto i rapporti sessuali. Anche sul fronte della maternità emergono dati significativi: solo 3 pazienti su 4 parlano del desiderio di diventare madri con il proprio medico di riferimento, e la comunicazione risulta chiara e rassicurante appena per la metà di esse, con il risultato che troppo spesso si rinuncia al proprio progetto di vita perché non si sono ricevute informazioni adeguate.
"E' il momento di promuovere un cambiamento - commenta Rosanna D'Antona, presidente di Europa Donna Italia - e far sì che i problemi riscontrati dalle pazienti nella sfera emotiva e sessuale escano dal cono d’ombra del tabù. Le donne chiedono un supporto specifico da parte dei medici e vorrebbero essere affiancate anche dagli psiconcologi. L'impegno di Europa Donna in queste direzioni non mancherà. Già dal 2022 abbiamo avviato il progetto 'Come Prima', dedicato al recupero della femminilità e al desiderio di maternità delle donne con tumore del seno, coinvolgendo le pazienti, i loro partner e i medici con materiale informativo e appuntamenti dedicati, e proseguono i nostri sforzi per promuovere e normalizzare il dialogo tra pazienti e professionisti sanitari, medici in primis, anche su questi aspetti. Non dimentichiamo che la presa in carico delle pazienti deve prendere in considerazione non solo la malattia di per sé, ma la donna nella sua interezza, con i suoi bisogni fisici e psicologici".