Vincono Donald Trump in South Carolina (32,5 per cento dei voti) e Hillary Clinton in Nevada (il 52,7 per cento). Si ritira Jeb Bush. Tra i repubblicani comincia a chiarirsi il campo dei contendenti, con Ted Cruz, e soprattutto Marco Rubio, a sfidare Trump. Tra i democratici l’ex-First lady vince, ma Sanders la tallona da vicino (al senatore del Vermont è andato il 47,2 per cento dei voti). Un segnale non positivo, per lei, è la perdita della maggioranza del voto ispanico.
Sono questi i dati più significativi del sabato elettorale americano, mentre si avvicina l’appuntamento più importante delle primarie presidenziali, il Super Tuesday, martedì 1 marzo, con quindici Stati al voto e centinaia di delegati i lizza.
Repubblicani. Chi è l’alternativa a Trump?
Donald Trump è ormai, a tutti gli effetti, il candidato da battere. Non è stata una settimana facile per lui. Il papa l’ha accusato di “non essere cristiano”. I conservatori del South Carolina lo hanno messo sotto pressione per il suo passato appoggio all’aborto e per aver cercato di cacciare una donna anziana dalla sua casa di Atlantic City, dove Trump voleva costruire il parcheggio per un casinò. Di più, Trump ha ridicolizzato George W. Bush per la gestione della guerra in Iraq, accusando il presidente di avere mentito sulle armi di distruzione di massa. Altro argomento controverso in uno Stato che ha una forte presenza di personale militare.
Eppure, nonostante attacchi, polemiche, passi falsi, Trump è riuscito in South Carolina a portare a casa una vittoria convincente. Dai sondaggi fatti ai seggi, emerge che Trump ha qualche difficoltà ad attrarre il voto femminile e quello dei più giovani; ma vince tra gli uomini, gli indipendenti e tra gli elettori evangelici. E’ una coalizione che dovrebbe tranquillamente dargli altre importanti vittorie il 1 marzo, al Super Tuesday. Sette degli Stati che voteranno allora o sono al Sud o confinano con regioni molto conservatrici. Il sostrato culturale perfetto per Donald Trump.
Dietro il magnate repubblicano, la corsa comincia a chiarirsi. Jeb Bush ha annunciato il suo ritiro. Ha dovuto soffocare un singhiozzo, ha chiesto che il prossimo candidato sia una persona che serva il Paese “con onore e decenza”. Una campagna tutta sbagliata, la sua, ricca di finanziamenti ma povera di energia, entusiasmo, visione. Pronto al ritiro anche Ben Carson, il neurochirurgo che ha sinora collezionato solo sconfitte – e lo scherno dei rivali. Anche John Kasich sembra messo male. In queste ore ha snobbato il South Carolina e fatto campagna in Massachussetts e Vermont, dove si voterà il 1 marzo e dove il profilo moderato del governatore dell’Ohio pare più capace di attrarre voti. Ma senza gli Stati del Sud, senza i settori più conservatori, un repubblicano non vince la nomination. E dunque Kasich non sembra in grado di andare avanti.
Restano Ted Cruz e Marco Rubio. In South Carolina, Cruz ha incassato una sconfitta pesante. Nel discorso del dopo voto, ha cercato di nascondere la delusione dicendo di essere stato oggetto di “attacchi personali” e di essere “comunque in corsa per il secondo posto”. Ma essere in corsa per il secondo posto in South Carolina – uno Stato con un forte elettorato conservatore e religioso – non è sufficiente per l’uomo che ha cercato di posizionarsi come il candidato conservatore e religioso. Nei giorni scorsi, Cruz ha ripetuto di essere a favore della tortura per presunti terroristi e raccontato la storia del generale John J. Pershing, che prima di mettere a morte i prigionieri islamici nelle Filippine, un secolo, fa, intingeva le pallottole nel “sangue di maiale”. I dettagli cruenti non sono bastati. Cruz non allarga la sua base elettorale e non vince nemmeno la maggioranza del voto evangelico (che va a Trump).
Marco Rubio esce invece rafforzato dalle primarie in South Carolina. Non soltanto per via del secondo posto (con il 22,5 per cento dei consensi), ma soprattutto per i processi che si stanno consolidando. Subito dopo l’arrivo dei risultati, Rubio è apparso davanti ai suoi sostenitori con la governatrice del South Carolina, Nikki Haley, di origini indiane, e il senatore afro-americano Tim Scott. “E’ tempo che i figli della rivoluzione di Reagan” guidino il partito, ha detto Rubio, che cerca di rappresentare le primarie come una “scelta generazionale”. Ronald Reagan gli serve per rafforzare le sue credenziali in termini di conservatorismo; la giovane età – 44 anni – e le origini cubane potrebbero dare alla sua campagna un tono di apertura e innovazione. Probabile che, di fronte a Trump e al suo messaggio anti-establishment, sia proprio Rubio l’uomo su cui la dirigenza repubblicana punterà.
Hillary Clinton. Una vittoria, molte incognite.
“Alcuni possono aver dubitato. Noi non abbiamo mai dubitato di noi stessi”, ha urlato la Clinton alla folla dei sostenitori, dopo che Associated Press ha ufficializzato la sua vittoria in Nevada. Con lei, dietro di lei, il marito Bill, che negli ultimi giorni ha consolidato la sua presenza nella campagna elettorale – a un comizio, ha paragonato il messaggio di Bernie Sanders al populismo del Tea Party, guadagnandosi la risposta di Sanders, che ha ricordato il ruolo dell’amministrazione Clinton nella deregulation di Wall Street degli anni Novanta.
La Clinton, all’arrivo dei risultati, si è congratulata con il suo rivale, ma non ha fatto mancare una nota critica. “La verità è che noi non siamo un Paese da un unico tema. Abbiamo bisogno di qualcosa di più che un piano per le banche. E’ la classe media che ha bisogno di crescere”. Il team Clinton accoglie con sollievo il risultato del Nevada. La vittoria di strettissimo margine in Iowa e la sconfitta bruciante in New Hampshire avevano fatto sorgere molti dubbi sulla sua candidatura. Da una prima analisi del voto, appare che l’ex-segretario di stato ha raccolto la maggioranza del voto delle donne, degli elettori più anziani e degli afro-americani, con una prova convincente nella Clark County di Las Vegas, l’area più urbanizzata di uno Stato peraltro pochissimo abitato come il Nevada. Ci sono però segni piuttosto negativi per lei. Alla Clinton non sfugge soltanto, come ormai abitudine, il voto giovanile (al nord, a Reno, sede del campus della University of Nevada, Sanders è stato facile vincitore). Alla Clinton in Nevada è mancata anche la maggioranza del voto ispanico. Secondo un rilevamento Nbc, il 53% del voto ispanico è andato a Sanders, che ha raccolto consensi soprattutto nei settori più giovani e a basso reddito della comunità ispanica. Si tratta di un fatto che mostra la persistente debolezza della candidatura Clinton, nonostante gli sforzi che in questi ultimi giorni Hillary ha fatto per rappresentarsi come la candidata delle minoranze e delle richieste di cittadinanza.
La prossima tappa, per i democratici, è il South Carolina e gli Stati del Super Tuesday, dove una forte presenza di elettorato afro-americano e tendenzialmente conservatore sembra favorire la Clinton. Ma la nomination appare ancora lontana, e faticosa la strada per raggiungerla. Sanders promette di essere un osso duro. Ha detto ieri, dopo il voto, il senatore del Vermont: “Poche settimane fa eravamo dietro di 25 punti in Nevada. Abbiamo recuperato gran parte dello svantaggio e proseguiamo la campagna col vento in poppa”.
Elezioni USA 2016
Primarie Usa, Trump vince in South Carolina, Clinton in Nevada. Jeb Bush getta la spugna
Con il voto in Nevada comincia a chiarirsi il campo repubblicano: Marco Rubio principale sfidante del miliardario, si ritira il rampollo della dinastia conservatrice. Più complicato il quadro in casa democratica: l'ex First Lady conquista il South Carolina, ma Sanders la tallona. Il primo marzo il Super Tuesday, con15 Stati al voto
Vincono Donald Trump in South Carolina (32,5 per cento dei voti) e Hillary Clinton in Nevada (il 52,7 per cento). Si ritira Jeb Bush. Tra i repubblicani comincia a chiarirsi il campo dei contendenti, con Ted Cruz, e soprattutto Marco Rubio, a sfidare Trump. Tra i democratici l’ex-First lady vince, ma Sanders la tallona da vicino (al senatore del Vermont è andato il 47,2 per cento dei voti). Un segnale non positivo, per lei, è la perdita della maggioranza del voto ispanico.
Sono questi i dati più significativi del sabato elettorale americano, mentre si avvicina l’appuntamento più importante delle primarie presidenziali, il Super Tuesday, martedì 1 marzo, con quindici Stati al voto e centinaia di delegati i lizza.
Repubblicani. Chi è l’alternativa a Trump?
Donald Trump è ormai, a tutti gli effetti, il candidato da battere. Non è stata una settimana facile per lui. Il papa l’ha accusato di “non essere cristiano”. I conservatori del South Carolina lo hanno messo sotto pressione per il suo passato appoggio all’aborto e per aver cercato di cacciare una donna anziana dalla sua casa di Atlantic City, dove Trump voleva costruire il parcheggio per un casinò. Di più, Trump ha ridicolizzato George W. Bush per la gestione della guerra in Iraq, accusando il presidente di avere mentito sulle armi di distruzione di massa. Altro argomento controverso in uno Stato che ha una forte presenza di personale militare.
Eppure, nonostante attacchi, polemiche, passi falsi, Trump è riuscito in South Carolina a portare a casa una vittoria convincente. Dai sondaggi fatti ai seggi, emerge che Trump ha qualche difficoltà ad attrarre il voto femminile e quello dei più giovani; ma vince tra gli uomini, gli indipendenti e tra gli elettori evangelici. E’ una coalizione che dovrebbe tranquillamente dargli altre importanti vittorie il 1 marzo, al Super Tuesday. Sette degli Stati che voteranno allora o sono al Sud o confinano con regioni molto conservatrici. Il sostrato culturale perfetto per Donald Trump.
Dietro il magnate repubblicano, la corsa comincia a chiarirsi. Jeb Bush ha annunciato il suo ritiro. Ha dovuto soffocare un singhiozzo, ha chiesto che il prossimo candidato sia una persona che serva il Paese “con onore e decenza”. Una campagna tutta sbagliata, la sua, ricca di finanziamenti ma povera di energia, entusiasmo, visione. Pronto al ritiro anche Ben Carson, il neurochirurgo che ha sinora collezionato solo sconfitte – e lo scherno dei rivali. Anche John Kasich sembra messo male. In queste ore ha snobbato il South Carolina e fatto campagna in Massachussetts e Vermont, dove si voterà il 1 marzo e dove il profilo moderato del governatore dell’Ohio pare più capace di attrarre voti. Ma senza gli Stati del Sud, senza i settori più conservatori, un repubblicano non vince la nomination. E dunque Kasich non sembra in grado di andare avanti.
Restano Ted Cruz e Marco Rubio. In South Carolina, Cruz ha incassato una sconfitta pesante. Nel discorso del dopo voto, ha cercato di nascondere la delusione dicendo di essere stato oggetto di “attacchi personali” e di essere “comunque in corsa per il secondo posto”. Ma essere in corsa per il secondo posto in South Carolina – uno Stato con un forte elettorato conservatore e religioso – non è sufficiente per l’uomo che ha cercato di posizionarsi come il candidato conservatore e religioso. Nei giorni scorsi, Cruz ha ripetuto di essere a favore della tortura per presunti terroristi e raccontato la storia del generale John J. Pershing, che prima di mettere a morte i prigionieri islamici nelle Filippine, un secolo, fa, intingeva le pallottole nel “sangue di maiale”. I dettagli cruenti non sono bastati. Cruz non allarga la sua base elettorale e non vince nemmeno la maggioranza del voto evangelico (che va a Trump).
Marco Rubio esce invece rafforzato dalle primarie in South Carolina. Non soltanto per via del secondo posto (con il 22,5 per cento dei consensi), ma soprattutto per i processi che si stanno consolidando. Subito dopo l’arrivo dei risultati, Rubio è apparso davanti ai suoi sostenitori con la governatrice del South Carolina, Nikki Haley, di origini indiane, e il senatore afro-americano Tim Scott. “E’ tempo che i figli della rivoluzione di Reagan” guidino il partito, ha detto Rubio, che cerca di rappresentare le primarie come una “scelta generazionale”. Ronald Reagan gli serve per rafforzare le sue credenziali in termini di conservatorismo; la giovane età – 44 anni – e le origini cubane potrebbero dare alla sua campagna un tono di apertura e innovazione. Probabile che, di fronte a Trump e al suo messaggio anti-establishment, sia proprio Rubio l’uomo su cui la dirigenza repubblicana punterà.
Hillary Clinton. Una vittoria, molte incognite.
“Alcuni possono aver dubitato. Noi non abbiamo mai dubitato di noi stessi”, ha urlato la Clinton alla folla dei sostenitori, dopo che Associated Press ha ufficializzato la sua vittoria in Nevada. Con lei, dietro di lei, il marito Bill, che negli ultimi giorni ha consolidato la sua presenza nella campagna elettorale – a un comizio, ha paragonato il messaggio di Bernie Sanders al populismo del Tea Party, guadagnandosi la risposta di Sanders, che ha ricordato il ruolo dell’amministrazione Clinton nella deregulation di Wall Street degli anni Novanta.
La Clinton, all’arrivo dei risultati, si è congratulata con il suo rivale, ma non ha fatto mancare una nota critica. “La verità è che noi non siamo un Paese da un unico tema. Abbiamo bisogno di qualcosa di più che un piano per le banche. E’ la classe media che ha bisogno di crescere”. Il team Clinton accoglie con sollievo il risultato del Nevada. La vittoria di strettissimo margine in Iowa e la sconfitta bruciante in New Hampshire avevano fatto sorgere molti dubbi sulla sua candidatura. Da una prima analisi del voto, appare che l’ex-segretario di stato ha raccolto la maggioranza del voto delle donne, degli elettori più anziani e degli afro-americani, con una prova convincente nella Clark County di Las Vegas, l’area più urbanizzata di uno Stato peraltro pochissimo abitato come il Nevada. Ci sono però segni piuttosto negativi per lei. Alla Clinton non sfugge soltanto, come ormai abitudine, il voto giovanile (al nord, a Reno, sede del campus della University of Nevada, Sanders è stato facile vincitore). Alla Clinton in Nevada è mancata anche la maggioranza del voto ispanico. Secondo un rilevamento Nbc, il 53% del voto ispanico è andato a Sanders, che ha raccolto consensi soprattutto nei settori più giovani e a basso reddito della comunità ispanica. Si tratta di un fatto che mostra la persistente debolezza della candidatura Clinton, nonostante gli sforzi che in questi ultimi giorni Hillary ha fatto per rappresentarsi come la candidata delle minoranze e delle richieste di cittadinanza.
La prossima tappa, per i democratici, è il South Carolina e gli Stati del Super Tuesday, dove una forte presenza di elettorato afro-americano e tendenzialmente conservatore sembra favorire la Clinton. Ma la nomination appare ancora lontana, e faticosa la strada per raggiungerla. Sanders promette di essere un osso duro. Ha detto ieri, dopo il voto, il senatore del Vermont: “Poche settimane fa eravamo dietro di 25 punti in Nevada. Abbiamo recuperato gran parte dello svantaggio e proseguiamo la campagna col vento in poppa”.
TRUMP POWER
di Furio Colombo 12€ AcquistaArticolo Precedente
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Caro bollette, a due settimane dagli annunci di Giorgetti il decreto slitta ancora: cdm rinviato a venerdì
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Io sono un artista libero, non mi sono mai schierato politicamente". Così Simone Cristicchi, ospite a 'Maschio Selvaggio' su Rai Radio 2, risponde alla conduttrice Nunzia De Girolamo quando fa notare al cantautore romano come la canzone sanremese 'Quando sarai piccola' sia piaciuta tanto a Elly Schlein quanto a Giorgia Meloni.
"Si tende sempre a identificare gli artisti politicamente, la musica invece non ha fazioni, non ha colori. Devo dire che tu hai messo insieme la destra e la sinistra", ha detto De Girolamo al cantautore arrivato quinto nella classifica finale. "Questo mi fa sorridere - ha confessato Cristicchi - sono molto contento di questo apprezzamento bipartisan, o anche super partes, che ha generato la mia canzone. Io sono sempre stato un artista libero, non mi sono mai schierato politicamente, proprio perché volevo che la mia musica e la mia arte potesse arrivare a tutti ed è giusto che sia così".
"Ovviamente ho le mie idee, come tutti, non le rinnego e non mi vergogno di esternarle quando è il momento e quando ho voglia, però - ha concluso il cantautore - sono veramente contento di aver fatto questa canzone che sia piaciuta più o meno a tutti".
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Il caro bollette è un problema sempre più grave, che non possiamo più far finta di non vedere. Paghiamo le bollette più care d’Europa, che a sua volta paga le bollette più alte tra i competitor internazionali. Siamo i più tartassati tra i tartassati, con un evidente danno alla competitività delle imprese e al potere di acquisto delle famiglie. I lavoratori, in particolare, pagano questi aumenti tre volte: la prima in casa quando arriva la bolletta, la seconda perché le aziende devono metterli in cassa integrazione poiché con l’energia alle stelle perdono produttività, la terza perché l’energia spinge a rialzo l’inflazione e i prodotti nel carrello della spesa costano di più". Lo dice Annalisa Corrado della segreteria del Partito Democratico.
"Agire è possibile e doveroso. Possiamo farlo subito, a partire dalla protezione dei soggetti vulnerabili, oltre 3 milioni e mezzo di utenti, per il quali il governo vuole bandire aste che sarebbero una iattura. Bisogna fermarle immediatamente e riformare piuttosto l’acquirente unico, che al momento gestisce il servizio di tutela della vulnerabilità, perché possa tornare a stipulare i contratti pluriennali di acquisto, agendo come vero e proprio gruppo d’acquisto".
"È necessario inoltre agire ad ogni livello possibile per disaccoppiare il prezzo dell’energia da quello del gas: occorre lavorare ad una riforma europea dei mercati, scenario non immediato, agendo però contemporaneamente ed immediatamente per un “disaccoppiamento di fatto”, come quello che si potrebbe attuare supportando i contratti pluriennali con i produttori di energia da fonti rinnovabili (PPA, Power purchase agreement). Dovremmo prendere esempio dalla Spagna di Sanchez, inoltre, che ha imposto un tetto al prezzo del gas, ottenendo risultati brillanti che hanno trainato la ripresa d’industria ed economia. Dobbiamo fare di più e meglio per la transizione energetica per liberarci dalla dipendenza del gas: oltre ad insistere su sufficienza energetica ed elettrificazione dei consumi, dobbiamo agire ad ogni livello perché la quota di energia da fonti rinnovabili nel nostro mix di produzione cresca: questo è l’unico modo strutturale di far penetrare il beneficio in bolletta del basso costo delle energie pulite".
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - “Allarmano e inquietano gli atti violenti rivolti in questi giorni contro le Forze dell’Ordine, a loro va la nostra piena solidarietà”. Lo dichiara la deputata di Italia Viva Maria Elena Boschi dopo gli incendi dolosi che hanno coinvolto questa mattina il commissariato e la Polstrada di Albano Laziale e nei giorni scorsi il comando della Compagnia dei carabinieri di Castel Gandolfo.
“Auguriamo agli agenti intossicati una pronta guarigione. Nell’attesa che sia fatta chiarezza sulle dinamiche e che i responsabili siano consegnati alla giustizia, non possiamo che schierarci senza indugio al fianco di chi ogni giorno si impegna per la sicurezza delle cittadine e dei cittadini”, conclude.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Le bollette energetiche di famiglie e imprese sono alle stelle. Meloni ha fischiettato per mesi, ignorando anche le nostre proposte. E oggi annuncia il rinvio di un Cdm promesso ormai due settimane fa. Non avevano detto di essere 'pronti'?". Lo ha scritto sui social Chiara Braga, capogruppo Pd alla Camera dei Deputati.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Tutto quello che ha a che fare con le emergenze vere di cittadini, famiglie, imprese passa in secondo piano nell’agenda del governo Meloni. Così è stato ed è per le liste d’attesa e per il diritto alla salute negato a milioni di concittadini, così è per il caro-bollette che da troppi mesi penalizza le aziende italiane e mette in ginocchio le fasce sociali più disagiate". Così in una nota Marina Sereni, responsabile Salute e Sanità nella segreteria del Partito Democratico.
"Oggi la segretaria del Pd Elly Schlein ha presentato proposte molto chiare e concrete, che raccolgono peraltro l’interesse di imprenditori e associazioni degli utenti. Il Cdm sul problema del caro energia pare invece che slitti a venerdì. La presidente Meloni ne approfitti per raccogliere le nostre proposte sul disaccoppiamento del prezzo dell’energia da quello del gas e sull’Acquirente unico".
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - La lotta alle mafie andrebbe portata avanti "in maniera trasversale. Ma non stiamo vedendo disponibilità all'ascolto e al lavoro comune da parte di questa destra". Lo ha detto Elly Schlein al seminario sulla legalità al Nazareno. "Noi continueremo a fare da pungolo costante, il messaggio che deve arrivare chiaro alle nuove generazioni è che la mafia è un male, e un freno al nostro Paese. Il Pd oggi più che mai è intenzionato a portare avanti questo lavoro con determinazione, mano nella mano con le realtà che affrontano il problema ogni giorno e ne sanno certamente più di noi".
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - Nel contrasto alle mafie "il ruolo delle forze dell'ordine e della magistratura è fondamentale. Noi riconosciamo e sosteniamo il lavoro quotidiano delle forze dell'ordine. Vanno sostenute le forze dell'ordine, come la magistratura, che invece vediamo attaccata tutti i giorni da chi governa". Lo ha detto Elly Schlein al seminario sulla legalità al Nazareno.