Il sistema d’accoglienza italiano dei richiedenti asilo è fallito: non esiste un elenco pubblico dei cosiddetti Cas, centri di accoglienza straordinaria; della loro ubicazione e della loro gestione. Non c’è trasparenza sugli affidamenti, sui finanziamenti. Gli immigrati sono ospitati in pizzerie o vecchi casolari convertiti in centri di accoglienza; gli operatori spesso non conoscono l’inglese e sono a tempo pieno a fronte di contratti di lavoro part-time. Di fronte a qualsiasi malattia, in alcuni centri, si somministrano paracetamolo e nimesulide e in alcune zone, l’accoglienza risulta essere gestita da soggetti già denunciati in passato. In poche parole: la situazione è fuori controllo. A lanciare una forte denuncia, con dati puntuali, copie di missive alle Prefetture e loro risposte, resoconti di visite ai Cas, sono due note associazioni Libera e Cittadinanzattiva, oltre ai promotori della campagna LasciateCIEntrare. Che questa mattina a Roma, alla federazione nazionale della stampa, hanno presentato il rapporto Sull’accoglienza, la detenzione amministrativa e i rimpatri forzati.
Le parole usate nella presentazione del rapporto sono eloquenti: siamo di fronte ad “un altro pezzo di business che, a quanto sembra, sfugge ad un controllo preciso, dettagliato e sistematico”.
A finire sotto accusa sono il ministero dell’Interno e le prefetture cui le associazioni hanno inviato una formale richiesta di accesso civico, secondo il Decreto legislativo 33/2013: “La risposta ufficiale pervenuta – viene citato nel dossier – è stata perlopiù evasiva. Su 106 prefetture hanno risposto solo 53 e soltanto 2 (Arezzo e Bari) hanno fornito quasi tutte le informazioni richieste”.
“Siamo di fronte – spiega Gabriella Guido, portavoce di LasciateCIEntrare – ad una colpevole incapacità di gestire il fenomeno da parte delle prefetture. Ci domandiamo perché quella di Arezzo è stata precisa e puntuale e tutte le altre no. Ci chiediamo perché gli Sprar funzionano e il resto no. C’è la volontà di non ottimizzare un sistema: i flussi migratori non sono un’emergenza. Non siamo la Svezia, sappiamo che i migranti sbarcano da noi: possibile che in tutti questi anni non siamo stati in grado di mettere in funzione un sistema che regge?”.
A Cittadinanzattiva, Libera e LasciateCIEntrare non è piaciuta la risposta degli uffici diretti dal ministro Angelino Alfano: “In ordine alla nostra richiesta di avere l’elenco completo delle strutture temporanee presenti nel territorio di competenza della Prefettura, il ministero ha ritenuto che per tale informazione non sia previsto alcun obbligo di pubblicazione”, appellandosi ad una “inopportuna diffusione di notizie a tutela della sicurezza dei richiedenti asilo accolti nelle strutture”.
Impossibile avere dagli uffici del ministero l’elenco dei soggetti gestori e il numero delle persone ospitate in ciascuna struttura: tutto demandato alle prefetture. Una raccolta dati inaccessibile visto che – come hanno spiegato gli estensori del rapporto – solo 8 prefetture su 52 hanno fornito l’elenco e l’ubicazione delle strutture e solo nove la lista dei soggetti gestori.
Siamo di fronte, secondo la fotografia fornita nel dossier, a 3.090 centri di accoglienza straordinaria; 430 Sprar (sistemi di protezione per richiedenti asilo e rifugiati gestiti da enti locali); 133 Cara (centri governativi) per un totale di 98.632 migranti di cui 70.918, ossia il 72%, accolti nei Cas.
Un sistema che nel 2015 è costato 1, 16 miliardi di euro, ovvero lo 0,14% della spesa pubblica nazionale: “A fronte di questi dati non vi è trasparenza – denunciano le tre associazioni – sugli affidamenti, sui finanziamenti, sul rispetto degli standard di erogazione dei servizi previsti da convenzioni e capitolati d’appalto”. Gli autori del dossier non esitano a fare nomi e cognomi della “mala –accoglienza”: “La cooperativa “Malgrado tutto” in Calabria, nonostante la più che discutibile gestione del Cie di Lamezia Terme nel passato, più volte denunciata dall’associazione “Kasbah” continua a gestire nello stesso luogo un Cas”.
La lista di ciò che non va è lunga: dagli staff sprovvisti di formazione in materia di protezione internazionale all’hotel “Flumina” di Sarno o al Cas di Feroleto (Catanzaro); alle strutture, in particolare lungo il litorale Domizio, dotate di un unico operatore che fa tutto; ai casi di immigrati a Lamezia e Amantea dove gli ospiti raccontano di essere finiti nelle mani del “caporalato”; alle strutture lontanissime dai centri abitati nell’Agrigentino o nel Cosentino.
“Questi migranti – dice Gabriella Guido – rimangono nei centri un tempo infinito: diventano un costo per lo Stato e vivono per un anno o più in un limbo senza fare nulla per l’inclusione. La sensazione conclamata è che sono solo numeri e servono solo a fare cassa per alcuni imprenditori. Ci spiace dirlo ma dobbiamo domandarci perché in Trentino i centri funzionano a differenza di molti al Sud dove c’è una mala gestione”.