“Dovendo fare la spending review, a mio avviso giusta, è chiaro che abbiamo meno soldi degli altri da spendere e la crescita è più bassa degli altri”. Così Matteo Renzi, martedì 23 febbraio, ha attribuito al taglio delle uscite della pubblica amministrazione lo stentato progresso del pil italiano. Il premier ha citato i dati del Tesoro, che dopo l’allarme della Corte dei Conti sul “parziale insuccesso” della revisione della spesa ha diffuso un documento in cui sostiene che l’anno scorso la spending è ammontata a 18 miliardi e quest’anno i risparmi arriveranno a quota 25 miliardi. Risultati ribaditi dal presidente del Consiglio l’1 marzo, dopo i dati ufficiali dell’Istat sui conti pubblici e la crescita 2015. Ma secondo la Ragioneria generale dello Stato gli interventi dell’ultima legge di Stabilità contengono le uscite di soli 7,2 miliardi, contro i 10 auspicati dall’esecutivo fino allo scorso autunno e i 34 previsti dal piano dell’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli. E a stretto giro il centro studi di Unimpresa ha risposto con un’analisi secondo cui “lo scorso anno la spesa pubblica è aumentata di 52 miliardi di euro e le tasse sono cresciute di quasi 26 miliardi”. Come stanno davvero le cose?
Il Tesoro somma i risultati di cinque leggi – Il ministero dell’Economia, per arrivare a 25 miliardi, somma i risultati di cinque diverse leggi, la prima delle quali peraltro – si tratta di un decreto sull’emersione dei capitali detenuti all’estero – varata a gennaio 2014 dal precedente esecutivo Letta. Ci sono poi il decreto 66 del 2014, quello sul bonus degli 80 euro (che prevedeva tra l’altro tagli ai ministeri, razionalizzazione degli immobili della pubblica amministrazione e un tetto di 240mila euro agli stipendi dei manager pubblici), il decreto di Marianna Madia con le prime misure di riforma della pubblica amministrazione e le manovre finanziarie per il 2015 e il 2016. A questo va aggiunta la voce “revisione politiche invariate”, cioè ad esempio i soldi destinati annualmente a 5 per mille, missioni di pace e non autosufficienze, il cui ammontare, spiega XX Settembre a ilfattoquotidiano.it, “è stato ridotto rispetto a quanto rifinanziato per prassi”.
L’impatto dell’ultima finanziaria è quantificato in effetti in 7,17 miliardi. Il contributo maggiore, 13 miliardi, consiste invece nelle ricadute della Stabilità precedente, varata nel dicembre 2014 dopo che il governo ha dato il benservito a Cottarelli. Oggetto delle battute del presidente del Consiglio secondo il quale la sua proposta di ridurre le uscite per l’illuminazione pubblica avrebbe creato “allarme sociale pazzesco”. Salvo che, come chiarito dall’economista, per risparmiare basta spegnere i lampioni nelle aree industriali, senza effetti sulle strade in cui di sera circolano i cittadini.
Il resto arriva per 2,8 miliardi dal decreto 66, per 1,3 dalle “politiche invariate”. Più di 560 milioni derivano poi dal decreto del 2014 con Disposizioni urgenti in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero e 113 milioni dal decreto Madia dell’agosto 2014, che ha previsto tra l’altro lo stop alle consulenze a pagamento per i pensionati e la mobilità obbligatoria per gli statali.
Unimpresa: “Spesa su di 52 miliardi, tasse aumentate di 26” – I dati di Unimpresa sono in contrasto solo apparente con il risultato rivendicato dal governo. Si riferiscono infatti alla somma delle uscite correnti dello Stato, dagli stipendi ai trasferimenti a famiglie e imprese, come gli sgravi contributivi per le assunzioni a tempo indeterminato. Secondo dati della Banca d’Italia esaminati dall’associazione delle piccole e medie imprese nel 2015 il totale si è attestato a 536,4 miliardi, in crescita di 52,6 (+10,87%) rispetto ai 483,8 del 2014, mentre il totale delle tasse versate da famiglie e imprese è stato di 433,5 miliardi contro i 407,5 del 2014.
La Ragioneria: “Stanziati 570,4 miliardi, 14 in più rispetto al 2014” – Per tagliare la testa al toro conviene comunque consultare il rapporto “Il bilancio in breve” della Ragioneria generale dello Stato relativo al 2015. Secondo il quale “le risorse stanziate per le spese finali dello Stato per il 2015 ammontano a circa 570,4 miliardi di euro, con un incremento di circa 14 miliardi rispetto alle previsioni della legge di bilancio 2014 e circa 11 miliardi rispetto al valore del bilancio assestato”. Quanto al 2016, “gli stanziamenti di bilancio si riducono rispetto all’anno precedente (di circa 4 miliardi)”. Nel 2015 “crescono i trasferimenti correnti a famiglie in conseguenza della stabilizzazione dell’assegno di 80 euro”, “aumentano i redditi da lavoro dipendente in conseguenza delle disposizioni della legge di stabilità per l’attuazione del piano La buona scuola” e “i consumi intermedi registrano una flessione rispetto alle previsioni dell’esercizio precedente, per effetto delle riduzioni di spese di funzionamento delle Amministrazioni centrali e in modo particolare quelle del ministero della difesa”. Tra le altre voci che determinano incrementi di spesa ci sono poi “l’istituzione di un fondo, con una dotazione di 6,4 miliardi di euro nel triennio, destinato a far fronte agli oneri derivanti dall’attuazione dei provvedimenti normativi di riforma degli ammortizzatori sociali” nonché a “finanziare l’attuazione dei provvedimenti normativi volti a favorire la stipula di contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti”.